10 BUONI MOTIVI PER INTRODURRE LA SETTIMANA CORTA

’argomento è caldo, proprio in queste ultime settimane abbiamo visto fioccare diversi articoli sulla nuova misura che alcuni paesi, ma soprattutto alcune grandi aziende, hanno deciso di attuare a favore dei cittadini e dipendenti, che vede l’orario settimanale lavorativo ridotto dalle 40 ore di base a 36 o addirittura 32. La cosiddetta 4days week per gli anglofoni ma più semplicemente la settimana corta.

Spulciando qua e là tra le varie testate che riportano progetti sperimentali ma anche soluzioni più o meno definitive, ho trovato molti punti a favore di questo piano che, a conti fatti, potrebbe generare un vero e proprio cambiamento socio-culturale.

Un po’ come avvenne durante la prima e seconda rivoluzione industriale con l’avvento delle macchine e l’affermazione del luogo fabbrica, figlia delle proto factory, i primi luoghi dove più artigiani si riunivano per dedicarsi alla produzione di medesimi manufatti. Il nuovo modo di condurre il lavoro era un’assoluta novità per l’epoca in cui l’economia girava ancora intorno all’agricoltura e all’artigianato e i tempi di produzione, quando non erano dettati dalle stagioni, erano vincolati alle richieste e al tempo che poteva essere sottratto al lavoro nei campi. Anche il luogo dove venivano svolte certe mansioni era poco definito e la fabbrica di per sé rappresentò una vera e propria rivoluzione: uno spazio strettamente adibito al lavoro, regolamentato per tempi di accesso e di operazioni e del tutto vincolato alle macchine e alla nuovissima automazione che richiedeva da parte dell’essere umano una presenza costante e precisa.

Queste novità, nonostante rappresentassero un vero e proprio passo da giganti per l’innovazione tecnologica dell’epoca, portarono conseguenze negative alla vita quotidiana dei cittadini che si ritrovarono a lavorare anche 16 ore al giorno, sempre nello stesso luogo e compiendo meccanicamente sempre le stesse azioni. Per non parlare della presenza dei minori, considerati alla pari di un adulto e da sempre partecipativi nelle mansioni della dimensione rurale. Le nuove tecnologie non erano state in grado di garantire né uno stipendio adeguato al tempo sottratto alla vita, né un miglioramento del benessere psicofisico, anzi, molti lavoratori dell’epoca affermarono di rimpiangere la vita nei campi. Fu dalle condizioni estremamente precarie e malsane che nacquero i movimenti operai e grazie alle loro lotte, nel corso dei decenni, si ottennero dei radicali cambiamenti delle condizioni lavorative e l’attuazione di politiche di welfare che tutelassero i diritti di uomini, donne e bambini. Una tra tutte fu anche la riduzione dell’orario giornaliero a 8 ore.

L’avanzamento tecnologico e la meccanizzazione, avevano di fatto messo a disposizione nuovi e più veloci mezzi di produzione, oggettivamente le condizioni di vita avrebbero dovuto portare benefici e non difficoltà, e a mano a mano molti traguardi e tutele furono raggiunti.

Nell’epoca in cui viviamo attualmente, il discorso dovrebbe essere lo stesso: grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e alle tecnologie avanzate di cui disponiamo, l’orario fisso giornaliero è un concetto ormai obsoleto. Molte aziende stanno, fortunatamente, spostando il loro sguardo sul benessere dei propri dipendenti, pur sempre incentivate dal fatto che la produttività non ne risulta intaccata. Questo e altri risultati benèfici stimolano la riflessione sul tempo che ognuno di noi dedica al lavoro, rapportato di fatto alla redditività, al benessere dei singoli e, all’ultimo ma non meno importante, impatto sull’ambiente.

Supportata dalle motivazioni proposte dal movimento mondiale 4days week, ho provato a stilare un elenco di buoni motivi per cui è necessario rivedere gli attuali tempi di lavoro. Il movimento, infatti, promuove la riduzione delle ore settimanali dalle attuali 40, le famose 8 ore giornaliere per chi lavora cinque giorni a settimana, a 32, ricavando così un giorno di riposo in più o semplicemente permettendo maggiore elasticità all’organizzazione del tempo lavorativo.

  1. SODDISFAZIONE E APPAGAMENTO

    Un esempio calzante è quello della sede italiana di Carter & Benson, una società di marketing che, riducendo la settimana, senza chiaramente intaccare la retribuzione, riporta come risultato la maggiore operatività dei lavoratori che si dicono più motivati, grazie anche al maggior coinvolgimento derivato dalle scelte manageriali: mettere all’apice il benessere delle persone, dimostrando fiducia e trasmettendo loro la possibilità di autonomia e responsabilità, incentiva l’operatività dei dipendenti, che trovano un nuovo slancio professionale per svolgere le loro mansioni.

    In Islanda, ad esempio, hanno avviato la sperimentazione nel 2015 a causa dei disagi causati dal troppo lavoro: nonostante fosse uno dei paesi con il più alto livello di reddito (circa 47mila dollari), il più basso tasso di disoccupazione (3,4%) e un generoso welfare, la produttività era inspiegabilmente bassa, circa 55,4 dollari per ora di lavoro e la settimana lavorativa tra le più pesanti d’Europa, 44,4 ore per gli impieghi a tempo pieno. Le persone intervistate si dicevano insoddisfatte, annoiate e frustrate dai loro ritmi e dall’incombenza dei lavori domestici, che spesso non avevano tempo o voglia di svolgere a causa della stanchezza. Con l’avvio del progetto sono state coinvolte inizialmente 2500 persone da vari settori pubblici, circa l’1% della popolazione attiva, gli ottimi risultati ottenuti, sia per produttività che per soddisfazione dei dipendenti, hanno permesso poi ai sindacati di rinegoziare i modelli lavorativi e portare la novità anche nel settore privato. Attualmente l’86% della popolazione islandese è passata ad avere orari ridotti mantenendo la stessa paga.
  2. PIÙ TEMPO LIBERO DA DEDICARE ALLA VITA PERSONALE

    Quante volte ci è capitato di rinunciare a eventi o incontri a causa dei tempi di lavoro o della stanchezza conseguente? Un altro risultato positivo della suddetta Carter & Benson è proprio quello della maggiore serenità dei propri dipendenti che con un giorno in più a disposizione possono dedicarsi alle loro attività personali e alla famiglia. La società mette anche a disposizione dei dipendenti due ore a settimana per praticare attività sportiva durante l’orario di lavoro.

    Anche in Spagna il governo, con la proposta di Podemos, ha messo in atto un progetto pilota per la riduzione a 32 delle ore lavorative. Per incentivare le aziende a prenderne parte, inoltre, ha messo a disposizione dei finanziamenti triennali per sostenere il cambiamento: 100% di copertura per il primo anno, 50% il secondo e 33% il terzo. L’idea nasce dalla necessità evidente di favorire una conciliazione tra la vita professionale e personale, ridurre lo stress giornaliero e migliorare in generale le condizioni di vita dei cittadini che, come abbiamo visto, risulterebbero in ogni caso più motivati a lavorare non riducendo la produttività.

    È di poche settimane fa la notizia che in Giappone il governo ha aperto il dibattito sulla riduzione degli orari di lavoro, a causa della forte preoccupazione per la decrescita demografica: la conclusione, che farà partire una serie di provvedimenti sull’argomento, è che concedendo maggiore tempo libero, le persone sono più propense a portare avanti i loro progetti di vita e ad agire liberamente sui propri obiettivi.
  3. MAGGIORE ATTENZIONE ALLA SALUTE MENTALE

    Proprio in Spagna, la proposta di Podemos parte dall’urgente necessità di tutelare la salute mentale della popolazione, particolarmente provata dagli orari sfinenti e dalle modalità di lavoro quotidiano che con regole rigide trasmettono un perenne controllo esterno sulla vita personale.

    Anche in Giappone, recentemente, è stato necessario mettere al centro del dibattito politico i ritmi lavorativi notoriamente estenuanti. Il paese infatti è tristemente famoso per il fenomeno del Karoshi, il ritmo di lavoro disumano che spesso riporta conseguenze gravissime come il suicidio, l’infarto o l’ictus, favorito anche dall’esiguo numero di giorni di ferie, tra i più bassi del mondo: nove, di cui spesso le persone nemmeno usufruiscono. Il rallentamento dei processi lavorativi produrrebbe anche un abbassamento delle spese medico sanitarie, investite in parte per la cura delle patologie legate al troppo lavoro e alle cadenze opprimenti.
  4. PRESTAZIONI E SERVIZI MIGLIORATI

    Aumentando la soddisfazione personale, alimentando la serenità e il buonumore, alzando di fatto la qualità della vita delle persone e il loro rendimento, anche i servizi erogati risultano migliorati, i clienti sono più soddisfatti e la loro fiducia nei confronti dell’azienda è cresciuta (sempre dai risultati di Carter & Benson). Non riducendo la retribuzione e mantenendo invariato il numero dei giorni di ferie, la crescita professionale è comunque garantita, la carriera individuale non risulta compromessa.

    In Irlanda, dalla metà del 2019, la società di recruiting Ice Group, ha testato il modello della settimana corta vedendosi addirittura aumentare la produttività del 30%, grazie anche alla rimodulazione di certi comportamenti dei dipendenti, che percepivano meno necessari la pausa sigaretta o il tempo passato sui social network, diminuendo anche i giorni di assenza. La motivazione ha riportato benefici anche nell’atmosfera lavorativa, le persone negli uffici sono più rilassate e in armonia.
  5. UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA

    Uno dei punti fondamentali riportati dal movimento 4day week riguarda il riequilibrio sociale tra i lavori pagati e quelli non pagati, come ad esempio i ruoli di assistenza e cura della casa e della famiglia, tradizionalmente a carico delle donne che si sentono naturalmente più incoraggiate a rinunciare alla loro carriera e ai loro progetti lavorativi. Ridurre l’orario di lavoro permetterebbe agli uomini di essere più presenti dentro casa e occuparsi dei lavori domestici tanto quanto le loro compagne.

    In Spagna la società Telefónica ha avviato un programma pilota, con adesione volontaria, che prevede una settimana lavorativa di quattro giorni di cui almeno due in smartworking e una riduzione del 15% dello stipendio. L’esperimento durerà tre mesi e, come spiega il presidente Emilio Gayo, si tratta di un processo già avviato con la pandemia che ha dimostrato come il lavoro flessibile conferisca benefici sia sul rendimento che sull’umore dei dipendenti: l’obiettivo, ha detto, è quello di favorire lo sviluppo di una società migliore, migliorare l’equilibrio tra vita personale e professionale.

    Un altro punto importante del movimento riguarda anche il tempo dedicato ai propri affetti e agli individui sociali più deboli: i bambini, gli anziani e le persone con disabilità che in molti casi si vedono trascurati per motivi lavorativi. Il tempo libero e il lavoro flessibile permetterebbero di dedicarsi a loro in modo più coinvolgente e includente. Questo riguarda anche la partecipazione individuale alla vita collettiva e all’attivismo politico, lati della nostra esistenza che percepiamo ormai come sempre più marginali nella nostra quotidianità, perché “non abbiamo tempo” o “siamo troppo stanchi” per impegnarci: una società più giusta ha bisogno della voce e della partecipazione di tutt* noi ed è anche questo un ottimo motivo per rivendicare del tempo di vita.

  1. LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI

    In tutti i casi riportati fino a ora, una delle affermazioni più controverse è proprio quella che riguarda la possibilità di fare nuove assunzioni. Ridurre l’orario di lavoro, soprattutto per alcuni settori, non sarebbe compensato dall’incremento della produttività: in primis quello sanitario, che non prevede pause o stop di produzione e per coprire le ore scoperte necessiterebbe di nuovo personale. Questa è a tutti gli effetti una vera opportunità, per chi sa coglierla, che aiuterebbe ad abbassare le percentuali di disoccupazione, l’unico grande ostacolo, al momento, sono le risorse economiche.

    In Islanda, la soluzione sono stati gli investimenti pubblici, coprire i turni rimasti scoperti dalla settimana corta è costato al governo islandese 4,2 miliardi di corone all’anno, circa 28 milioni di euro, pari allo 0,5% del budget. Favorire con politiche governative la riduzione dell’orario e la conseguente necessità di nuove assunzioni, incentiverebbe gli imprenditori ad attuare piani lavorativi più umani, le aziende avrebbero l’opportunità di allargare le loro prestazioni con la presenza di nuove competenze e tutti quei lavoratori precari (ad esempio i rider) avrebbero opportunità maggiori di guadagno e stabilità.

    I punti riportati dal movimento 4days week, con un focus sul Regno Unito, sottolineano come troppo spesso il lavoro eccessivo (overwork), la disoccupazione (unemployment) e la sottoccupazione (underemployment) siano condizioni simultanee dello stesso Stato: l’attuazione della settimana breve aiuterebbe a ribilanciare queste condizioni e a indirizzare il mondo del lavoro a una dimensione più equa e vivibile.
  1. RIDUZIONE DELLE EMISSIONI

    Un altro punto del movimento 4days week riguarda proprio l’impronta ecologica: meno tempo sul posto di lavoro inciderebbe sui consumi energetici aziendali, gli spostamenti causati dal pendolarismo e l’utilizzo delle automobili in generale, diminuirebbero le emissioni di CO2 che nel Regno Unito arriverebbero a 127 tonnellate in meno entro il 2025.

    In Giappone la Microsoft, che nel 2019 ha sperimentato la settimana corta, ha registrato una riduzione del 23% dei consumi di elettricità (con un aumento parallelo della produttività del 40%), registrando così un decremento dei costi aziendali.

    Come riportano i risultati della sede italiana di Carter & Benson, il tempo libero a disposizione permette ai suoi dipendenti di praticare maggiori attività all’aperto, preferire le attività motorie o l’uso della bicicletta a scapito dei mezzi inquinanti.
  2. UNO STILE DI VITA PIÙ SANO

    Lavorare da casa, avere una giornata libera o un orario flessibile, comporta di fatto l’attuazione di uno stile di vita più sano: la possibilità di fare la spesa e di cucinare ingredienti freschi, anziché preferire il fast food o i cibi confezionati, aiuta la sostenibilità delle attività locali, la diminuzione dell’inquinamento dovuto ai rifiuti non riciclabili e una maggiore attenzione al benessere fisico. Avere più tempo significa potersi concentrare sulla propria salute senza compromessi e questo, incredibilmente, ha delle conseguenze anche sulle spese sanitarie pubbliche, i casi di malattie per stress o alimentazione sbagliata sono strettamente dipendenti dallo stile di vita lavorativo.

    4days week anche qui riporta un dato interessante del 2018: un quarto delle assenze sul luogo di lavoro per malattia, sono causate dal troppo lavoro. Nel Regno Unito si lavora troppo e male, poiché ci si ammala per i ritmi frenetici e per la mole che ognuno si ritrova a elaborare.
  3. RISPARMIO ECONOMICO DEI LAVORATORI

    Quando la nostra quotidianità è sommersa dagli impegni lavorativi, ogni spiraglio ci sembra un’opportunità di libertà, il senso di appagamento che spesso ci manca dal lavoro è soddisfatto dal desiderio di consumo, di spesa, di possesso materialistico. Questo atteggiamento dispendioso, unito alle necessità finanziarie di stare fuori casa tutto il giorno per lavoro, come l’abbonamento per i trasporti pubblici, i costi della benzina e del parcheggio, i pranzi di lavoro, comportano a ognuno di noi uno sforzo economico notevole che non è mai considerato al momento di una contrattazione lavorativa. Ridurre la settimana incentiverebbe, dunque, anche il risparmio personale: le persone meno stressate hanno meno bisogno di spendere e consumare, gli orari flessibili permettono di organizzare le proprie necessità e i propri consumi sulle possibilità individuali.

    Dall’esperimento irlandese di Ice Group, risulta infatti che il clima lavorativo e la serenità generale dei dipendenti sono conseguenze del senso di soddisfazione per il risparmio economico, con una giornata in meno in cui bisogna recarsi in ufficio, ogni dipendente si è visto ridurre la sua spesa di un intero giorno a settimana, per quanto riguarda spostamenti e pasti, trasmettendo letteralmente l’inizio di un nuovo stile di vita.
  4. RILANCIO DELL’ECONOMIA

    Nel maggio del 2020 la premier neozelandese Jacinda Harden, ha evocato la possibilità di introdurre la settimana corta e un’aggiunta dei giorni di ferie oltre a quelli già previsti dal governo, per incentivare la ripresa economica del paese in seguito alle perdite dovute alla pandemia. Concedere più tempo libero permetterebbe ai cittadini di uscire, consumare, viaggiare.

    Anche dal movimento 4days week scaturisce questa riflessione: un giorno in più a settimana incoraggerebbe gli short breaks, il cosiddetto turismo a breve distanza nel proprio paese. Sarebbe un buon modo per conoscere meglio il proprio territorio, valorizzarlo e sostenerlo, far circolare in modo più equilibrato l’economia locale.


Questa riflessione non vuole tralasciare le difficoltà comportate da un cambiamento così imponente, ma semplicemente mostrare in che modo tutti potremmo beneficiare di una rivoluzione dei ritmi di vita, di cui il lavoro è solo una delle tante sfaccettature che spesso ricopre ruoli e sedi più importanti di quello che dovrebbe. Perché tutti dovremmo aspirare a uno stile di vita più sano, equilibrato e felice che non ci imponga rinunce affettive o comportamenti vincolati: tutti vogliamo lavorare per vivere e non vivere per lavorare.

Beatrice Cattedra

4/8/2021 https://www.intersezionale.com

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