15a Conferenza Europea sull’Aids (EACS 2015)
Obiettivo 90-90-90: un traguardo raggiungibile per l’Europa? “L’Europa non ha affatto chiuso con l’AIDS e non c’è margine per abbassare la guardia”: così si è espresso il professor Michel Kazatchkine durante la sessione inaugurale della 15° Conferenza Europea sull’AIDS di Barcellona. Il professore ha aggiunto che nella regione europea è necessario intensificare gli sforzi in materia di prevenzione e trattamento dell’HIV, se si vuole raggiungere l’obiettivo fissato da UNAIDS per il 2020: diagnosticare il 90% delle infezioni da HIV, far entrare in terapia il 90% delle persone con diagnosi e raggiungere l’abbattimento della carica virale nel 90% delle persone in cura. Il professor Kazatchkine, inviato speciale del Segretario Generale dell’Onu per l’AIDS in Europa Orientale e Asia Centrale, ha affermato inoltre che “di fatto ci sono tre Europe: quella dell’Est, quella centrale e quella occidentale – con tre diverse epidemie, tre diverse risposte e tre diversi gradi di successo.” In Europa Orientale l’epidemia continua a crescere, soprattutto tra i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva (IDU), ma è in aumento anche la trasmissione per via sessuale. L’accesso ai servizi di prevenzione resta insufficiente e quello ai servizi di riduzione del danno è molto limitato. Le iniziative volte a promuovere la prevenzione, inoltre, sono ostacolate dalla carente collaborazione tra i governi locali e le organizzazioni non-governative. In Europa Centrale, sebbene la prevalenza sia bassa, l’incidenza HIV è in graduale aumento in molti paesi. Le concentrazioni più alte di eventi di trasmissione si registrano tra gli MSM (uomini che fanno sesso con uomini) e gli IDU, ma Kazatchkine ha denunciato che i governi locali mostrano “scarsa disponibilità a finanziare” programmi specificamente mirati a questi gruppi vulnerabili. In Europa Occidentale, infine, malgrado la copertura sanitaria universale, e malgrado la disponibilità di assistenza medica di alto livello e di un’ottima rete di sostegno sociale per le persone HIV-positive, il livello delle nuove infezioni è complessivamente rimasto stabile nel corso dell’ultimo decennio ed è addirittura aumentato tra gli MSM. Secondo il professor Kazatchkine è dunque necessario intensificare ulteriormente gli sforzi per prevenzione e trattamento dell’HIV, ma in Europa Occidentale e Centrale l’obiettivo di UNAIDS sarebbe realisticamente raggiungibile. Link collegati Resoconto completo su aidsmap.com
Modesta perdita di densità ossea in pazienti maschi giovani che assumono il Truvada come PrEP In uno studio condotto su pazienti maschi giovani che assumevano la profilassi pre-esposizione per l’HIV (PrEP) sono state osservate modeste perdite di densità ossea a seguito dell’assunzione del Truvada: i risultati sono stati presentati questa settimana alla Conferenza. La massa ossea raggiunge solitamente il picco massimo in età giovane-adulta, verso i 20 anni, e poi inizia gradualmente a diminuire. Il picco di massa ossea è considerato un importante predittore del rischio di fratture nel resto della vita. Il tenofovir disoproxil fumarato (Viread, impiegato anche nei combinati Truvada, Atripla, Eviplera e Stribild) è un farmaco ampiamente impiegato nella terapia dell’HIV: esso è generalmente sicuro e ben tollerato, ma notoriamente provoca una lieve diminuzione della massa ossea poco dopo che si inizia ad assumerlo. Il Truvada (un combinato a base di tenofovir ed emtricitabina) è sempre più frequentemente somministrato a persone HIV-negative a scopo preventivo – come profilassi pre-esposizione, appunto. Lo studio iPrEx aveva dimostrato che l’assunzione giornaliera del Truvada aveva ridotto del 92% il rischio di contrarre l’HIV in maschi gay che mantenessero livelli rilevabili del farmaco nel sangue. In questo nuovo studio si sono invece indagate le variazioni nella densità ossea in un gruppo di partecipanti a uno studio sulla PrEP negli Stati Uniti. Si trattava di uno studio dimostrativo in aperto mirato a verificare sicurezza e praticabilità della PrEP in 200 maschi gay di età compresa tra i 18 e i 22 anni. Gli autori hanno riscontrato perdite di densità minerale ossea nei partecipanti con livelli di tenofovir nel sangue sufficientemente alti da offrire un’elevata protezione dall’HIV. Al contrario, nei soggetti con livelli non rilevabili di farmaco, la densità ossea aumentava, come atteso alla loro età. Link collegati Resoconto completo su aidsmap.com
Farmaci generici per ridurre i costi del trattamento della MDR-TB Da uno studio presentato alla Conferenza emerge che si potrebbe risparmiare fino al 95% sui costi dei farmaci di nuova generazione per il trattamento della tubercolosi multifarmaco-resistente (MDR-TB) se venisse autorizzata la produzione degli equivalenti generici dei prodotti coperti da brevetto, come è stato fatto per gli antiretrovirali. Nel caso della bedaquilina, uno dei farmaci di più recente introduzione nella terapia della MDR-TB, il prezzo potrebbe calare dagli attuali 136 dollari fino a solo 8-16 dollari circa al mese, vale a dire approssimativamente del 90-95%. Con i generici, si potrebbero dunque ridurre sensibilmente i costi di svariati regimi sperimentali per la MDR-TB attualmente oggetto di trial clinici. Secondo gli autori dello studio, tuttavia, questi risultati saranno possibili solo se si riusciranno a superare gli ostacoli alla produzione dei generici posti dai brevetti, soprattutto nei paesi a medio reddito, e se aumenterà la domanda di nuovi farmaci per il trattamento della MDR-TB, incoraggiando i produttori di generici a sviluppare versioni equivalenti di tali sostanze. Per aumentare la domanda sarà necessario intensificare il controllo e la rilevazione dei casi di MDR-TB, ma senza necessariamente avere bisogno di fondi aggiuntivi. Anzi, il dott. Andrew Hill ha affermato che già con i budget attualmente stanziati si potrebbe trattare il decuplo dei pazienti colpiti da MDR-TB, se si riuscisse ad abbassare i prezzi dei farmaci. Link collegati Resoconto completo su aidsmap.com
Diagnosi di TBC e mancanza di accesso alla terapia antiretrovirale in Europa dell’Est In Europa dell’Est, le persone HIV-positive che contraggono la tubercolosi hanno una probabilità quattro volte maggiore di morire nel giro di un anno rispetto a pazienti nella stessa situazione, che però vivono in Europa occidentale o meridionale oppure in Sudamerica: è quanto emerge da un ampio studio internazionale presentato alla Conferenza. Lo studio ha riscontrato che, anche tenendo conto della prevalenza di resistenza ai farmaci antitubercolari di prima linea e dell’assunzione di terapie adeguate, le persone affette da TBC in Europa occidentale o meridionale o in Sudamerica avevano circa il 70% di probabilità in meno di morire nell’anno successivo alla diagnosi di TBC in confronto ai pazienti dell’Europa Orientale. A determinare questa situazione può aver contribuito la mancanza di accesso alle terapie antiretrovirali, ha spiegato Daria Podlekareva dell’Università di Copenaghen. Il livello di copertura del trattamento antiretrovirale in Europa dell’Est e Asia centrale è infatti tra i più bassi al mondo: nel 2013, solo il 21% delle persone HIV-positive residenti in questa regione riceveva la terapia. Sul basso livello di diffusione del trattamento antiretrovirale influisce anche la separazione tra i servizi sanitari per la tubercolosi e quelli specifici per l’HIV, ha osservato ancora la dott.ssa Podlekareva, che ha così concluso: “Bisogna curare il paziente, non la malattia.” Link collegati Resoconto completo su aidsmap.com
Accorciare i tempi della chemioprofilassi per la TBC è possibile, dice uno studio russo Un regime che prevede l’assunzione giornaliera per tre mesi di pirazinamide e isoniazide ha dimostrato, in uno studio russo, di prevenire la progressione in tubercolosi attiva tanto efficacemente quanto un ciclo di sei mesi di isoniazide. I risultati sono stati presentati alla Conferenza Europea sull’AIDS dalla dott.ssa Zinaida Zagdyn. L’isoniazide si era mostrato in grado di prevenire la progressione in tubercolosi attiva in pazienti HIV-positivi nell’Africa sub-sahariana risultati positivi al test tubercolinico. Tuttavia, un ciclo di trattamento di sei mesi può dare problemi di aderenza, ragion per cui sono allo studio regimi che consentano di accorciare i tempi del trattamento. Questo ciclo di tre mesi di isoniazide and pirazinamide era già raccomandato dalle linee guida russe per la prevenzione della TBC, ma mancavano dati clinici sulla sua sicurezza ed efficacia. In questo studio randomizzato condotto dall’Istituto di Ricerca sulla Tubercolosi di San Pietroburgo non sono state rilevate, tra i due regimi, differenze degne di nota nell’incidenza della tubercolosi attiva o di eventi avversi di grave entità.
Link collegati Resoconto completo su aidsmap.com
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!