Te lo dò io il lavoro… A salario rumeno
Nella teoria economica migliore – quella marxiana – il limite inferiore del salario coincide con il minimo vitale necessario alla sopravvivenza del lavoratore. Niente consumi voluttuari, viente vacanze, niente di niente. Solo un alloggio e quanto basta per mangiare, in modo da riprodursi e riprodurre nuova forza lavoro.
Beh, sembra che nel capitalismo multinazionale anche questo limite fisiologico sia saltato. E che nella testa dei “manager” la sopravvivenza dei lavoratori non sia più neanche considerata. Ce ne sono tanti, “di riserva”, che si può tranquillamente ruotarli ogni pochi mesi e trovare sempre qualcuno che accetta un salario al di sotto della pura sopravvivenza.
Considerazioni filosofiche? Niente affatto. Alla Ceva di Stradella – multinazionale olandese-americana della logistica, non a caso, con una sede nell’Oltrepo pavese – è stato superato ogni limite precedente: 300 euro al mese.
Come si è arrivati a questo punto? E perché i lavoratori accettano un salario simile?
Il meccanismo adottato dalla Ceva è un prontuario di infamia imprenditoriale. I lavoratori – guardioni a parte – vengono assunti con contratto a tempo determinato, quindi tenuti apesi al rinnovo oppure ruotati senza problemi (l’”apprendistato” in certe mansioni, dura minuti, mica anni…). Per la scelta dei dipendenti precari la Ceva si rivolge immancabilmente a delle cooperative – il consorzio Premium Net – che gestiscono il subappalto succhiando dalla disoccupazione locale.
Tutto qui? Ma quando mai… La Premium subappalta, si diceva, quindi non fa altro che girare la richiesta di manodopera a una agenzia di Lodi. Vabbeh, direte voi, qui finisce il gioco: ci sono due “aziende” che si prendono qualche euro a testa per ogni lavoratore fornito alla Ceva, senza fare assolutamente niente. Caporali, insomma, come ce ne sono tanti…
No, invece. L’agenzia lodigiana si rivolge a sua volta a un’altra agenzia di lavoro interinale, la Byway Jpb Consulting srl. Perché? Perché ha sede a Bucarest, Romania. E quindi fa firmare contratti rumeni, pagati in parte in euro e per il resto in moneta locale, il leu (al cambio attuale 0,21 euro).
Non è legale, secondo la legislazione italiana ed europea. Non lo sarebbe neanche se fosse stata a suo tempo approvata la “direttiva Bolkestein”, secondo cui una multinazionale avrebbe potuto pagare secondo i contratti nazionali anche i lavoratori inviati all’estero (se ricordate la stagione della famosa polemica sull’”idraulico polacco”). I 70 lavoratori che prestano servizio per la Ceva nel polo della “Città del Libro” sono infatti italiani, scelti nel territorio in prossimità dello stabilimento.
Il trucco del subappalto si accompagna a una vera e propria truffa. Per aggirare tutte le normative una parte del salario viene pagata in chiaro e in euro: tre giornate al mese fatte figurare come “trasferta” – dalla Romania all’Italia per un facchino padano! – a 85 euro al giorno. Il resto viene pagato come si lavorassero a Timisoara. E così si raggiungono i 307 euro medi (1.400 leu) dellabusta paga (mai consegnata, per ovvii motivi). Niente contributi, niente ferie, niente malattia…
Ci si aspetterebbe che le forze di polizia si precipitino in loco per far rispettare le leggi nazionali. Figuriamoci… Al massimo accorrono per intimidire i lavoratori quando decidono di fare i picchetti.
La situazione era diventata così illegale che persino la Cgil – firmataria dell’accordo con la Ceva per subappaltare al consorzio di cooperative – si è sentita in dovere di intervenire con uno sciopero e blocco dei tir. Ha fatto fatica, perché il terrore tra i lavoratori era cresciuto a dismisura. E non si fa fatica a capirlo.
Un padrone rumeno che ti fa lavorare per una multinazionale orange-yankee, per il tramite di cooperative della bassa, il sindacato “ufficiale” che aveva dato la sua approvazione ad uno schema già di suo abbastanza truffaldino…
E’ questa l'”occupazione che cresce”, in Italia. Se volete gloriarvene…
Redazione
4/4/2017 http://contropiano.org
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