2020. Crisi drammatiche e nuove speranze
Si chiude l’anno 2019 in cui tutte le contraddizioni del sistema capitalista mondializzato si sono espresse in forme acute, drammatiche e distruttive.
Il capitalismo e le sue manifestazioni violente
A partire proprio dalla questione ambientale dove le caratteristiche produttive di sviluppo di questo sistema economico hanno determinato, speriamo non ancora irreversabilmente, ma il tempo è contato, quel minaccioso riscaldamento climatico che mette a rischio il futuro stesso del pianeta e che già colpisce intere popolazioni, senza che i governi e le forze dominanti abbiano né la forza, nè la volontà di prendere le misure radicali impellenti e necessarie su scala internazionale, come dimostrato dal recente fallimento della Conferenza di Madrid. La logica dell’accumulazione privata capitalista, del profitto, della feroce concorrenza delle multinazionali, quelle dell’energia, ma anche di tutte le altre, sospinge l’umanità verso la catastrofe.
Le forze politiche reazionarie della destra e dell’estrema destra sono portate in alto da questa crisi profonda del sistema ed avvelenano l’intera società con le loro ideologie rezionarie, razziste e fasciste; in alcuni grandi paesi sono giunte al governo con effetti drammatici sulle condizioni politiche e sociali delle loro popolazioni e con gravi ripercussioni sulle dinamiche geopolitiche mondiali. Uomini forti e dittatori vanno per la maggiore ed utilizzano nazionalismo, xenofobia, razzismo e gli strumenti repressivi per confermare il loro potere e gli interessi delle classi dominanti che rappresentano e dirigono.
In un quadro di nuove profonde contraddizioni e di nuove possibili crisi economiche, assistiamo a nuove guerre commerciali, a guerre vere e proprie particolarmente violente e crudeli in molte parti del mondi, in Medio Oriente, in Africa ed anche in Asia, a grandi di migrazioni, all’oppressione di minoranze etniche, al terrorismo di stato che fa da contraltare al terrorismo di altre forze reazionarie. La fortezza Europa, dietro la facciata di una democrazia che perde ogni giorno qualche pezzo delle conquiste democratiche e sociali strappate dal movimento dei lavoratori nel secondo dopoguerra, mostra il suo volto neocoloniale non solo per quel che fanno i loro governi in Africa, ma per aver trasformato il Mar Mediterraneo in un immenso cimitero. E l’Italia è in prima fila.
Il segno delle politiche economiche dei governi, siano essi di destra che di centro sinistra è uno solo: quello liberista, quello delle politiche dell’austerità che hanno massacrato le condizioni di vita delle popolazioni, quello della precarizzazione e della flessibilità del lavoro, del massimo sfruttamento della forza lavoro, quello del dominio padronale.
La grande offensiva capitalista, che dura ormai da alcuni decenni, ha inflitto al movimento delle classi lavoratrici delle dure e ripetute sconfitte, sia nelle sue articolazioni sindacali che in quelle politiche. Queste sconfitte sono state fortemente facilitate dalla subalternità delle direzioni burocratiche del movimento operaio alle esigenze del capitale e spiegano molto dello stato del mondo.
Queste considerazioni sono del tutto reali e possono spingere molti alla demoralizzazione, alla rinuncia alla lotta, alla speranza stessa; ma questa è solo, per fortuna, una faccia della realtà.
Un anno di grandi mobilitazioni popolari nel mondo
Il 2019 è stato infatti anche l’anno delle più grandi mobilitazioni femministe contro la violenza sulle donne e di quelle contro il riscaldamento climatico; in entrambi i casi il segno è stato il loro profondo carattere internazionale ed internazionalista. Non solo, l’anno che sta per finire è stato caratterizzato da una grande, in alcuni casi addirittura straordinaria, ripresa delle mobilitazioni popolari. Negli ultimi mesi e settimane una serie di grandi agitazioni popolari hanno investito, e stanno investendo, paesi diversi per sviluppo e collocazione geopolitica: parliamo delle grandi rivolte popolari in America Latina (Bolivia, Colombia, Cile, Honduras, Argentina) o alle mobilitazioni in Asia e nel Vicino e Medio Oriente, Iraq, Libano, ma anche Hong Kong: dal febbraio 2019 è in atto in Algeria una rivolta di massa che non ha eguali negli ultimi decenni per continuità e profondità.
Anche in Europa il possente movimento di sciopero contro le pensioni in Francia ha preso il testimone della grande mobilitazione dei “gilet jaunes”. E sicuramente l’Europa è stata protagonista delle più importanti mobilitazioni sociali attorno ai temi della lotta contro il riscaldamento climatico e per i diritti delle donne, coinvolgendo persino un paese, la Svizzera, caratterizzato da un secolo da una profonda pace sociale: pensiamo all’immenso sciopero delle donne del 14 giugno, o alle grandi mobilitazioni sull’ambiente.
Diverse le ragioni che hanno scatenato e scatenano queste mobilitazioni: ma quasi tutte sono caratterizzate da una profonda radicalità, sovente da una dimensione anti-sistemica; non si tratta, va riconosciuto, di una rimessa in discussione diretta del capitalismo e della sua logica. Ma sicuramente, al centro di queste mobilitazioni vi sono le conseguenze, dirette ed indirette, del capitalismo e della sua logica imperialistica.
Lo sfondo di queste rivolte di massa è la lotta rivolta contro la povertà sempre più diffusa (nei cosiddetti paesi del Sud ma anche, sempre più, nei ricchi paesi del Nord del mondo), contro le crescenti disuguaglianze sociali e di genere, contro la corruzione dei poteri, la precarietà e la disoccupazione, in particolare tra i giovani. A cui si aggiunge la lotta contro un sistema economico che ha posto le premesse, lentamente ma inesorabilmente, per rendere il nostro pianeta in prospettiva invivibile.
Si tratta di mobilitazione dal basso, vere mobilitazioni popolari, spontanee e assai tenaci, che si sviluppano spesso attraverso forme di auto-organizzazione al di fuori da logiche burocratiche.
Di fronte a queste mobilitazioni, non mancano le manovre, integrando la repressione con “transizioni” che mantengono gran parte l’esistente: una sorta di fare che tutto cambi affinché tutto resti come prima. “Riforme” che tali non sono, tentativi di rispondere alle domande emergenti dal basso attraverso risposte di tipo istituzionale. Significativi i casi del Cile (dove la “riforma costituzionale” proposta ha come obiettivo di salvare il vecchio regime), o quello dell’Algeria con le elezioni di pochi giorni fa, organizzate con il solo obiettivo di mantenere un potere corrotto, antidemocratico e antisociale.
Di fronte a queste mobilitazioni, c’è anche l’appoggio delle grandi potenze imperialiste a regimi corrotti e dittature minacciate dalle mobilitazioni. Cina, Russia, Stati Uniti fanno a gara nel sostenere (ognuno nel suo campo di influenza) regimi indifendibili.
Per noi non ci sono valutazioni geo-politiche possibili: siamo e saremo sempre, senza se e senza ma, dalla parte delle classi lavoratrici e dei popoli in lotta le cui esigenze confliggono con quelle dei loro governi. Queste lotte hanno bisogno della nostra solidarietà, siano esse vicine o lontane, siano esse dirette contro governi palesemente nemici o “falsi amici”.
Mettersi dal punto di vista dei popoli in lotta, delle loro istanze di democrazia, di libertà, di soddisfacimento dei loro bisogni sociali: è questa la bussola di un vero internazionalismo.
Gli aspetti contrastanti dell’Italia
L’anno 2019 è stato segnato per larga parte dall’azione del governo gialloverde, uno dei peggiori governi della Repubblica, che ha saputo combinare la piena continuità con le politiche liberiste e l’agitazione reazionaria e nazionalista di Salvini e della Lega, con la piena correità del M5S, che ha permeato interi strati della popolazione all’odio e all’avversione verso i migranti e verso tutti i soggetti più deboli della società. Siamo davanti a strati di piccola e media borghesia, ma anche di lavoratori, che in questo modo pensano di poter difendere la “loro roba” e la loro condizione materiale messa in discussione dalle dinamiche del sistema capitalistico e dalle ritrutturazioni industriali che si susseguono da anni una dopo l’altra.
Questo governo è caduto in agosto, non solo per le fughe in avanti improvvide di Salvini, ma anche per una precisa scelta di settori importanti della borghesia italiana congiuntamente ai loro omologhi europei; quello che lo ha sostituito, del PD e del M5S, galleggia su una società in cui le destre restano maggioritarie nell’opinione pubblica, mentre un’altra parte teme fortemente il ritorno di Salvini e della sua propaganda reazionaria; un governo borghese che continua nel solco delle precedenti politiche economiche liberiste, incapace anche solo di abrogare alcune delle leggi liberticide più fetenti del precedente governo, cioè i decreti di Salvini, che conferma pienamente tutte quelle misure economiche che hanno trasferito enormi ricchezze dal lavoro al capitale, che hanno precarizzato il lavoro, che hanno tolto qualsiasi efficace strumento di difesa ai lavoratori davanti alle ristrutturazioni industriali che scuotono la condizione di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di persone.
Tutto questo è possibile anche perchè le direzioni delle grandi organizzazioni sindacali, che pure vantano ancora milioni di iscritti, invece di costruire una loro piattaforma rivendicativa di difesa delle condizioni salariali ed occupazionali della classe che rappresentano, si sono subordinate mani e piedi ai diversi governi, e addirittura cercano nella alleanza con la Confindustria (la classe padronale) la loro sopravvivenza di apparato a scapito della condizione dei lavoratori.
L’elenco delle responsabilità degli apparati burocratici sindacali è lungo: passività, scioperi proclamati, ma “opportunamente” revocati, manifestazioni inefficaci, vertenze fabbrica per fabbrica contro i licenziamenti senza mai riunificarle in un movimento comune, senza le necessarie rivendicazioni generali quali il blocco dei licenziamenti, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la richiesta dell’intervento pubblico per rilevare le fabbriche in crisi, preservare i posti di lavoro ed operare le necessarie riconversioni e il rilancio produttivo. Nè passa per la testa dei dirigenti sindacali l’idea di battersi per l’abrogazione della legge Fornero e del Jobs Act.
E poi ci si stupisce se settori importanti di lavoratori, lasciati a se stessi e senza una prospettiva di difesa collettiva, di un programma forte di difesa del lavoro e del salario , finiscano per piegarsi alla propaganda e ai falsi bersagli della Lega e ripieghino nell’individualismo.
La possibilità di costruire una forte alternativa politica e sociale alle destre e ai capitalisti in realtà esiste anche in Italia. Pensiamo infatti alle grandi manifestazioni femministe che si sono prodotte anche questo anno nel paese, a quelle non meno imponenti contro il riscaldamento climatico, pensiamo alle dure ma isolate lotte sindacali per il posto di lavoro; ed infine alla forte spinta antirazzista e antifascista che in forme e tempi diversi si è espressa attraverso la penisola.
Tutti questi movimenti e queste aspirazioni devono essere riunificati dalle forze della sinistra di classe in una alternativa sociale e democratica contro i capitalisti, contro le destre, ma anche contro quei partiti, come il PD e l’attuale governo PD-M5S che in diverse forme sono tutti espressione delle classi dominanti italiane.
Ci vorrà del tempo, ma è un lavoro che possiamo e vogliamo fare. L’unità d’azione delle forze della sinistra di classe e di opposizione che si è espressa nella assemblea di Roma del 7 dicembre è un primo passo, certo ancora piccolo, ma indica la strada che deve essere percorsa; è di buon augurio, quell’augurio che facciamo a tutti noi e a tutti i nostri lettori, alla classe lavoratrice perché il 2020 possa essere un anno di grande ripresa sociale di un nuovo protagonismo vittorioso delle/degli sfruttate/i e delle/degli oppresse/i contro i potenti vecchi e nuovi.
Franco Turigliatto
1/1/2020 www.popoffquotidiano.it
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