2024 Global AIDS update – The urgency of Now: AIDS at a crossroads. L’AIDS è a un bivio

Porre fine all’AIDS come minaccia per la salute pubblica entro il 2030? Se volessero, I leader mondiali potrebbero, purché mettano in campo tutte le risorse necessarie e proteggano da subito i diritti umani. E’ il messaggio del rapporto di aggiornamento UNAIDS 2024 su dati mondiali  e stato dell’epidemia che, non a caso si intitola: “The urgency of Now – AIDS at a crossroads – L’urgenza è adesso, l’AIDS è a un bivio” .

Dice la Direttrice esecutiva di UNAIDS, Winnie Byanyima: “I leader mondiali si sono impegnati a porre fine alla pandemia di AIDS come minaccia per la salute pubblica entro il 2030 e possono mantenere la loro promessa ma solo se garantiranno che la risposta all’HIV disponga delle risorse di cui ha bisogno e che i diritti umani di tutti siano protetti”.

Pubblicato lo scorso luglio a Ginevra e riferito ai dati 2023, il rapporto mostra gli innegabili progressi fatti grazie alle conquiste scientifiche e sanitarie ma, anche, i rischi di un brusco peggioramento, dovuto essenzialmente a scelte sbagliate sul piano politico, sociale ed economico. Insomma, sostiene UNAIDS, la fine dell’AIDS, potrebbe essere a portata di mano, i progressi sono davvero significativi ma troppo lenti e, rispetto agli obiettivi SDGs 2030, il mondo è globalmente fuori strada.

Ecco alcune delle evidenze più eclatanti: tra le quasi 40 milioni di persone che vivono con HIV nel mondo (39,9 milioni), tre su quattro sono attualmente in cura; si tratta di un dato straordinario in termini di salute pubblica se si pensa che fino al 2010 la copertura dei trattamenti era solo del 47%. Di contro, è davvero inaccettabile che, quasi un quarto della popolazione mondiale che vive con HIV -ben 9,3 milioni di persone- non riceva ancora le cure salvavita. La conseguenza è che ogni minuto, una persona nel mondo muore per patologie correlate all’AIDS.

Anche rispetto alle morti AIDS-correlate, i progressi sono innegabili visto che siamo passati dal milione e trecentomila del 2010 alle 630mila del 2023. Tuttavia, siamo ben lontani dai target necessari a centrare l’obiettivo 2025 che prevedeva di ridurle sotto le 250mila nel 2025 per arrivare a zero nel 2030.

Andamento analogo, con progressi molto significativi, si verifica per il numero annuo di nuove infezionimeno 39% dal 2010 con un crollo ancora più marcato in Africa orientale e meridionale (quasi il 60% di infezioni in meno). Tuttavia, secondo gli impegni presi dagli stati membri, le nuove infezioni da HIV sarebbero dovute scendere sotto le 370mila annue entro il 2025, invece, a fine 2023 erano ancora 1,3 milioni, una cifra superiore di tre volte a quella che si dovrebbe raggiungere. Inoltre, in tre regioni del mondo, le infezioni stanno addirittura aumentando: Medioriente/Nord Africa, Europa dell’est/Asia Centrale, America Latina.

Per la prima volta nella storia della pandemia di HIV, le nuove infezioni si registrano in misura maggiore al di fuori dall’Africa sub sahariana. Ciò riflette sia i risultati ottenuti in materia di prevenzione in gran parte dell’Africa sub sahariana, sia la mancanza di progressi comparabili nel resto del mondo, dove le persone delle popolazioni chiave e i loro partner sessuali continuano a essere trascurati nella maggior parte dei programmi per l’HIV.

Il rischio, dunque, non è solo quello di non centrare gli obiettivi 2030 ma, addirittura, di tornare indietro: “E questo a causa di tagli alle risorse disponibili –avverte UNAIDS– e di una crescente spinta anti-diritti che interessa tutte le aree del globo”. Secondo le stime di UNAIDS se si perseguissero gli impegni presi e, dunque, le giuste scelte di politica sociale e sanitaria, le persone che vivono con HIV nel mondo e che, dunque, necessitano di cure per tutta la vita, potrebbero attestarsi a circa 29 milioni entro il 2050. Tuttavia, se si segue la strada sbagliata, il numero di persone che hanno bisogno di sostegno permanente salirà, sempre entro il 2050, a 46 milioni.

Meno risorse, diritti negati, crescita delle disuguaglianze, dunque, le principali minacce ai progressi fin qui fatti. Tra le prime disuguaglianze da combattere c’è quella di genere, ci dice UNAIDS. L’incidenza dell’HIV tra le adolescenti e le giovani donne è ancora molto, troppo, elevata in alcune aree dell’Africa mentre lo stigma e le discriminazioni frenano l’accesso ai servizi di lavoratori e lavoratrici del sesso, uomini che fanno sesso con uomini, persone che si iniettano  droghe. Ed è proprio tra queste popolazioni stigmatizzate, escluse o perseguitate che si registra il maggior numero di nuove infezioni: il 55% rispetto al 45% del 2010. “La recente ondata di politiche anti-diritti, anti-genere e anti-democrazia –denuncia UNAIDS– sta generando un giustificato timore tra le persone provenienti da comunità emarginate, proprio quelle che hanno più bisogno di servizi di prevenzione, test, trattamento e assistenza per l’HIV e tra gli eroici lavoratori in prima linea che li forniscono”.

Questo fenomeno va di pari passo con l’entità delle risorse stanziate per interventi presso queste popolazioni-chiave; dovrebbero essere il 20% del totale, invece, nel 2023, secondo calcoli UNAIDS: “Solo il 2,6% della spesa totale per l’HIV è stata destinata alle Key-populations”.

A diminuire sono, comunque, tutti i finanziamenti globali per l’HIV. Il calo delle risorse disponibili, 19, 8 miliardi di dollari nel 2023, è stato ben del 5% rispetto al 2022. Rispetto al fabbisogno indicato per il 2025, ossia 29,3 miliardi di dollari, il gap è ancora di nove miliardi e mezzo, forse troppo per essere colmato in tempo. A soffrire sono soprattutto i paesi a basso e medio reddito, schiacciati dalla crisi del debito e dall’inflazione, dove le risorse interne a disposizione dei servizi per l’HIV diminuiscono per il quarto anno consecutivo e con un calo del 6% rispetto al 2022.  “Il percorso che può mettere fine all’AIDS non è un mistero –ammonisce Byanima– E’ una scelta politica e finanziaria. Alcuni sono riluttanti a fornire le risorse necessarie per porre fine all’AIDS ma i costi per non farlo sarebbero esponenzialmente più alti. Ad alcuni potrebbe piacere abbandonare la risposta all’HIV perché la fine è ormai vicina –prosegue la direttrice UNAIDS– ma non possiamo porre fine a una pandemia solo in parte. I leader possono porre fine all’AIDS come minaccia per la salute pubblica solo superandolo ovunque, per tutti, solo mi sembra ripetitivo se scelgono la strada giusta. Noi, le persone, il popolo, garantiremo che lo facciano”.

AMERICA DEL NORD ED EUROPA CENTRO-OCCIDENTALE

Nei paesi più ricchi del pianeta e/o a welfare più avanzato, dove vivono circa 2,3 milioni di persone con HIV, gli obiettivi 2025 sono indubbiamente più vicini ma il gap da colmare resta troppo ampio rispetto alle potenzialità economicheLe disuguaglianze interne sono ancora elevate, soprattutto a sfavore delle Key population, mentre stigmapregiudizi e leggi criminalizzanti continuano a precludere l’accesso ai servizi proprio ai gruppi di popolazione che ne avrebbero più bisogno. Nel 2023 le nuove infezioni tra queste popolazioni sono state 56mila, in calo del 24% rispetto al 2010. I decessi correlati all’AIDS sono stati circa 13milain calo del 34% dal 2010.  La cascata “test-accesso alle terapie- soppressione virologica” ha raggiunto in quest’area nel 2022 quota ”89-77-70”, troppo lontana dal “95-95-95” prescritto da UNAIDS per il 2025. Tuttavia, nei soli paesi dell’Europa occidentale e centrale, dove la copertura dei servizi di test e trattamento è più elevata (e spesso gratuitai valori raggiungevano già nel 2022 quota “91-93-96” , con picchi più alti per i paesi della’Europa occidentale rispetto a quelli dell’Europa centrale.

Negli Stati Uniti si registrano progressi disuguali tra i vari gruppi di popolazione. Secondo i CDC, Centers for Disease Control and Prevention, nel 2021 le persone nere e afroamericane dai tredici anni in su rappresentavano circa il 12% della popolazione degli Stati Uniti ma ben il 40% delle persone affette da HIVLe persone ispaniche e latine di età pari o superiore a tredici anni rappresentavano il 18% della popolazione e il 25% delle PWHIV. Tale disparità è particolarmente rilevante nella popolazione femminile. I dati CDC segnalano come tra il 2017 e il 2021, sebbene il numero annuale di infezioni da HIV tra le donne nere sia rimasto stabile, la percentuale di nuove infezioni sia stata tra loro dieci volte superiore rispetto a quella delle donne bianche e quattro volte superiore a quella delle donne latine.

Le criticità in Europa occidentale e centrale riguardano invece l’immigrazione e l’esistenza di leggi discriminatorie che prendono di mira popolazioni chiave a rischio di HIV e che ne limitano l’accesso ai servizi. Per questo, UNAIDS raccomanda servizi di prevenzione, test e trattamento per raggiungere queste popolazioni, spesso escluse dai sistemi sanitari nazionali. Diversi gli studi europei che dimostrano come gran parte delle persone migranti con HIV abbia contratto il virus dopo l’arrivo in Europa. In particolare, uno studio francese mostra che il 62% degli uomini gay migranti risultati positivi e degli altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini ha contratto l’HIV dopo l’arrivo in Francia, il 13% entro il primo anno.

Stigma e discriminazioni rimangono importanti barriere all’accesso ai servizi per l’HIV, anche in questa avanzata regione. Un sondaggio esplorativo condotto nel 2021 in Europa e Asia centrale ha rilevato che un intervistato su cinque (21%) aveva paura di rivolgersi ai servizi sanitari nel timore che venisse rivelato il proprio stato di sieropositività e uno su sette (16%) evitava del tutto i servizi sanitari per paura di essere discriminato. Un 20% degli intervistati ha riferito di aver subito trattamenti stigmatizzanti e un altro 15% riferisce veri e propri abusi verbali o fisici.

Per quanto riguarda le leggi discriminatorie, tra i 41 paesi presi in esame (in gran parte europei), ben 36 hanno leggi che criminalizzano del tutto o in parte il lavoro sessuale, tra questi è segnalata l’Italia. 26 paesi presentano leggi che criminalizzano il possesso di piccole quantità di droga, 34  hanno leggi che criminalizzano la mancata divulgazione, l’esposizione o la trasmissione dell’HIV, sia esplicitamente che tramite leggi generali sulle malattie o hanno avviato procedimenti penali basati su leggi generali negli ultimi dieci anni. Tra questi paesi è segnalata l’Italia. Un paese (Israele) presenta restrizioni di viaggio correlate all’HIV.

Nessun paese di questa regione ha leggi che criminalizzano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.

EUROPA ORIENTALE E ASIA CENTRALE

Nell’Europa orientale e nell’Asia centrale, il numero annuale di nuove infezioni da HIV continua ad aumentare raggiungendo nel 2023, quota 140milaL’aumento rispetto al 2010 è ben del 20%. Quest’area, dunque, non solo non raggiungerà gli obiettivi 2030 ma continua ad allontanarsene. Il 92% dei casi è concentrato in quattro paesi: Kazakistan, Federazione Russa, Ucraina, Uzbekistan. Nel 2022 il 94% delle nuove infezioni ha riguardato popolazioni-chiave. Un fattore chiave dell’epidemia nella regione è dovuto a pratiche non sicure nell’utilizzo di siringhe per iniettarsi droghe e riguarda il 27% dei casi, nonostante questa percentuale sia diminuita del 10% dal 2000. Esplosivo è, invece, l’aumento degli uomini MSM che hanno contratto l’HIV: più 144% dal 2010, così come sono in forte aumento le infezioni tra sex worker (più 74%) e i loro clienti (più 109%). Tale dinamica è strettamente collegata allo stigma e alle leggi discriminatorie che colpiscono questi gruppi di popolazione.

In questa regione, i progressi verso il raggiungimento dell’obiettivo “10-10-10”(riduzione delle discriminazioni)  sono quasi inesistenti: quindici paesi criminalizzano la mancata comunicazione del proprio stato sierologico o la trasmissione, anche inconsapevole, dell’HIV. Sette sono quelli che perseguono il possesso di piccole quantità di stupefacenti, anche per uso personale mentre resta fortissimo lo stigma verso persone gay, MSM, transgender; tra questo gruppo di popolazione, segnala un’indagine, ben il 19% segnala di aver subito violenza sessuale o fisica.

La criminalizzazione innalza le barriere per l’accesso ai servizi la cui copertura resta, peraltro, molto insufficiente così come i programmi di test e trattamento. Nel 2023, segnala il rapporto, in quest’area, solo il 59% delle persone con HIV (meno di due terzi) era consapevole del proprio stato sierologico e solo la metà dei circa 2, 1 milioni di persone con HIV riceveva trattamenti antiretrovirali. Nel complesso, la percentuale di persone con HIV aventi carica virale soppressa è, in quest’area, la più bassa del mondo: il 42% circa. Non stupisce, in questo quadro, che il numero di decessi correlati all’AIDS continui ad aumentare: più 34% rispetto al 2010. Tra le poche note positive c’è il maggior ruolo che stanno assumendo nell’offerta di servizi le organizzazioni guidate dalle comunità ma anche l’enorme sforzo affrontato dall’Ucraina per assicurare le cure necessarie ai propri cittadini con HIV, nonostante la guerra. Nel 2023, le persone con HIV che ricevevano cure sono state 143.591, un numero vicino a quello precedente all’invasione.

NORD AFRICA E MEDIORIENTE

In Medio Oriente e Africa settentrionale, il numero di nuove infezioni da HIV è aumentato dal 2010 del 116%, i decessi AIDS correlati sono stati 6200, in calo solo del 6% dal 2010. La copertura dei trattamenti per l’HIV è del 49%, la più bassa al mondo, in particolare tra i bambini (35%) e tra le donne (44%). La regione è dunque ben lontana da tutti gli obiettivi 2025.  Va detto che la prevalenza di casi di HIV è ancora molto bassa: nel 2023 le nuove infezioni nell’area sono state 23mila mentre il totale di persone che vivono con HIV è stimato intorno alle 210mila. Tali numeri permetterebbero di poter rapidamente abbassare la curva infettiva se fossero messi in campi strumenti e servizi efficaci. Tuttavia, l’area è gravata da alcuni grandi problemi. Il primo riguarda le guerre e le gravissime crisi politiche, economiche e umanitarie che stanno colpendo molti paesi dell’area dalla Palestina alla Siria, alla Somalia, allo Yemen con conseguente crollo dell’assistenza sanitaria complessiva. L’altro nodo riguarda il fortissimo stigma, le leggi persecutorie e l’esclusione sociale che colpiscono alcune delle popolazioni più esposte, a partire dalle persone LGBTQIA+ e dai/dalle sex workers.

 Nel 2022 l’84% delle nuove infezioni riguardava proprio persone appartenenti alle popolazioni chiave. UNAIDS raccomanda per questo un rafforzamento dei programmi di cooperazione internazionale, l’eliminazione di leggi punitive e il rafforzamento dei servizi guidati dalle comunità. 

AMERICA LATINA

In questa regione, dove vivono circa 2,3 milioni di persone con HIV, i decessi per AIDS sono diminuiti del 28% dal 2010 ma sono aumentati tra le donne in Costa Rica, El Salvador, Messico, Panama, Paraguay e Perù. L’aumento delle nuove infezioni è stato del 9% con 23mila nuove segnalazioni nel 2023. Il 66% dei nuovi casi ha riguardato persone appartenenti a popolazioni chiave e loro partner. In particolare, l’aumento tra uomini gay ed MSM è stato del 20%, tra i/le sex workers del 42%, tra le donne transgender del 19%. Un’elevata prevalenza si registra anche tra le popolazioni afrodiscendenti e tra le minoranze indigene. In Brasile la prevalenza di HIV tra donne afrodiscendenti è superiore di due volte a quella della popolazione femminile generale, Oltre il 5% anche la prevalenza tra le comunità indigene del Venezuela, quasi del 10% tra quelle del Perù, del 7% in Colombia. Anche qui i problemi che allontanano il raggiungimento degli obiettivi 2025 sono da addebitare alle minori risorse finanziarie stanziate (meno 5% rispetto al 2022), a  leggi punitive e discriminatorie  nei confronti di Gay, MSM, donne, alla mancata integrazione di minoranze e popolazioni vulnerabili come quelle migranti. Proprio tra i migranti la prevalenza di HIV è almeno il doppio della media regionale. I servizi per l’HIV e per la prevenzione mostrano, inoltre, molti limiti nel raggiungimento di queste popolazioni. Nel 2023 solo 204.000 persone avevano utilizzato la PrEP almeno una volta mentre l’obiettivo UNAIDS regionale è di 2,3 milioni entro il 2025. Evidenzia forti ritardi anche il target “95-95-95”: nel 2023 le persone con HIV consapevoli del proprio stato sierologico si fermavano all’89%, quelle che avevano avuto accesso alle terapie al 73% con una quota di persone in soppressione virologica solo del 67%. I sondaggi condotti nei paesi dell’area mostrano livelli molti alti di stigma: più di un quarto delle persone con HIV ha denunciato episodi discriminatori quando ha cercato di accedere ad altri servizi sanitari, tra le persone transgender questa percentuale s’impenna fino al 70%. In Perù il 96% delle donne trans ha segnalato di aver subito violenza. Inoltre, otto paesi dell’area criminalizzano il lavoro sessuale altrettanti sono quelli che puniscono la mancata comunicazione del proprio stato sierologico, la trasmissione o la presunta esposizione all’HIV, nove richiedono il test per motivi di lavoro, matrimonio, residenza. Tuttavia, di recente tre paesi hanno eliminato ogni legge di questo tipo (Colombia, Uruguay, Venezuela). “Un ambiente legale che faciliti l’accesso a servizi per l’HIV efficaci, equi e incentrati sulla persona –ricorda UNAIDS– è essenziale per porre fine all’AIDS come minaccia per la salute pubblica”.

 AFRICA ORIENTALE E DEL SUD

Nella regione più colpita al mondo dall’HIV si sono registrati anche i successi più importantiTra il 2010 e il 2023 il numero di persone colpite è sceso del 59% passando da 1,1 milioni a 450mila. Il numero di decessi correlati all’AIDS è diminuito nello stesso periodo del 57% da 600mila a 260mila. L’accesso ai trattamenti antiretrovirali continua ad aumentare e, secondo le stime, avrebbe raggiunto l’84% di tutte le persone che vivono con HIV nell’area. Tra loro il 94% avrebbe raggiunto la soppressione virologicaBen sette paesi: Botswana, Eswatini, Kenya, Malawi, Ruanda, Zambia e Zimbabwe, hanno già raggiunto gli obiettivi di test e trattamento del 95-95-95. Tuttavia, in un continente povero, che conta circa venti milioni di persone che vivono con l’HIV, le sfide da affrontare restano enormi.  Le ragazze adolescenti e le giovani donne tra 15 e 24 anni rappresentavano ancora il 27% delle nuove infezioni da HIV e hanno tre volte più probabilità di contrarre l’HIV rispetto ai loro coetanei maschi. L’incidenza dell’HIV, tra il 2010 e il 2022 è diminuita tra tutte le popolazioni chiave ma a tassi più lenti tra gli uomini gay e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini e tra le persone che si iniettano droghe.  La percentuale di bambini coperti dai trattamenti ART continua inoltre ad essere troppo bassa, il 65% nonostante alcuni paesi come Namibia e Botswana siano vicini all’eliminazione della trasmissione materno – infantile del virus.

A pesare sono barriere strutturali come la debolezza dei sistemi statuali e del welfare, povertà, disuguaglianze di genere, esclusione sociale. La maggior parte dei paesi della regione mantiene inoltre leggi che criminalizzano le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso, il lavoro sessuale o l’uso di droghe. Gli atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone affette da HIV restano elevati e peggiorano con il diffondersi di retoriche anti LGBTQIA+ e contrarie alla libertà femminile. Fondamentale è sostenere le organizzazioni guidate dalla comunità come NEPHAK in Kenia, National Empowerment Network of People Living with, divenuta centrale per fornire servizi di prevenzione e trattamento alle comunità più vulnerabili.

Cruciale per il destino dell’Africa resta il nodo delle risorse e degli aiuti internazionali, in gran parte assicurati dal PEPFAR, piano di aiuti finanziato dalla Presidenza degli Stati Uniti e dal Global Fund (fondo di aiuti finanziato da diversi paesi). Nel continente solo il 40% delle risorse disponibili per l’HIV proviene da fonti nazionali e, se si esclude il Sudafrica, tale percentuale scende al 25%. Nel 2023 le risorse totali stanziate ammontavano a 9,3 miliardi di dollari  ma per raggiungere il fabbisogno stimato per il 2025 mancano all’appello ancora il 18% delle risorse totali.

TARGET UNAIDS

Nella dichiarazioni politica ONU del 2021, gli Stati membri si sono impegnati a eliminare le disuguaglianze e a mettersi in carreggiata per porre fine all’AIDS entro il 2030 con zero morti annnui, zero nuove infezioni, zero discriminazioni contro le persone con HIV, terapie e cure assicurate per chiunque viva con il virus. UNAIDS ha fornito ai Governi un crono-programma e dei parametri molto concreti e per raggiungere questo obiettivo. La prossima tappa è il 2025. I dati contenuti in questo rapporto mostrano come, nonostante innegabili progressi, il mondo sia in ritardo su tutti gli obiettivi più importanti: le risorse necessarie diminuiscono, le popolazioni vulnerabili continuano ad essere criminalizzate e non sono sufficientemente raggiunte da programmi di prevenzione e screening, il coinvolgimento e il finanziamento delle organizzazioni guidate dalle communities resta molto insufficiente.  Vediamo come sta andando rispetto ad alcuni degli obiettivi più importanti.

Nuove infezioni annue

Il target 2025 prevede che l’aumento annuo delle infezioni debba essere contenuto sotto quota 370mila entro il prossimo anno. Nel 2023 invece erano ancora 1,3 milioni, oltre tre volte di più.

Un sotto-obiettivo importante riguarda le ragazze adolescenti e le giovani donne; tra loro le nuove infezioni devono scendere sotto le 50mila annue entro il 2025, invece, i dati 2023 riferiscono di almeno 210mila nuove infezioni tra le ragazze tra i 15 e i 24 anni.

Decessi correlati all’AIDS

L’obiettivo entro il 2025, è ridurre i decessi per patologie correlate all’AIDS sotto quota 250mila ma nel 2023 il numero era ancora ben oltre il doppio: 630mila

Target 95-95-95: testare e trattare

Conoscere il proprio stato sierologico e accedere per tempo alle terapie è fondamentale sia per la salute delle persone con HIV, sia per la prevenzione generale. I trattamenti antiretrovirali, infatti, permettono di sopprimere o rendere non rilevabile la propria carica virale rendendo il virus non trasmissibile ad altre persone (U=U) 

 Tra gli obiettivi UNAIDS che i paesi membri si sono impegnati a perseguire entro il 2025 c’è quello “95-95-95” che prevede di render consapevole del proprio stato sierologico almeno il 95% delle persone con HIV, di assicurare al 95% di chi ha una diagnosi positiva l’accesso alle terapie e di assicurare almeno al 95% di chi beneficia delle terapie il raggiungimento della soppressione virologica. Nel 2023 questo target non era lontanissimo ma nemmeno abbastanza vicino da essere in linea entro il 2025. Globalmente eravamo ad un: “86-89-93”

Complessivamente, tre adulti su quattro che vivono con HIV nel mondo (73%) hanno una carica virale non rilevabile o soppressa: un grande miglioramento rispetto al 40% del 2015 ma le disparità nell’accesso alle terapie continuano a indebolire l’impatto positivo complessivo della cascata “Test and Treat”. Inaccettabile, ad esempio quella che riguarda i minorenni. I bambini tra zero e 14 anni vengono testati meno e accedono molto meno alle terapie. La stima è che solo il 43% del totale dei bambini che vivono con l’HIV (circa 1,4 milioni in tutto il mondo, l’86% dei quali vive nell’Africa sub-Sahariana), riceveva nel 2023 una terapia antiretrovirale. Il risultato è che le morti correlate all’AIDS riguardano per il 12% proprio i bambini, nonostante rappresentino solo il 3% di tutte le persone che vivono con HIV.  Va male anche per i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 19 anni: tra loro più di un terzo, il 36%, nel 2023 non riceveva ancora le terapie ART.

In generale, UNAIDS prescrive che entro il 2025 almeno 34 milioni di persone sui 40 milioni circa che vivono con HIV nel mondo, siano in terapia antiretrovirale. Nel 2023 invece le persone in terapia erano meno di 31 milioni.

AIDS pediatrico e trasmissione verticale

Uno dei principali obiettivi  per eliminare l’AIDS pediatrico è arrivare al 75% di bambini con carica virale soppressa entro il 2025; In realtà questa percentuale nel 2023 era solo del 48% rispetto a tutti i bambini con HIV e del 93% tra i bambini in trattamento.

Altra priorità è assicurare che almeno il 95% delle donne con HIV raggiunga la soppressione virologica prima del parto e durante l’allattamento. Al 2023, invece, questa percentuale era insufficiente raggiungendo appena l’84%.  

Prevenzione per tutti e PrEP

Altro obiettivo cruciale riguarda il raggiungimento delle Key-population e prevede di assicurare al 95% dei gruppi più vulnerabili all’HIV un accesso facilitato a percorsi di prevenzione combinata: dalla distribuzione di siringhe sterili e di oppioidi antagonisti, alla fornitura di condom e  di PrEP (Profilassi pre-Esposizione), allo screening di tutte le infezioni sessualmente trasmissibili. UNAIDS, sulla base di dati e studi parziali, ritiene, tuttavia, che questo obiettivo sia assolutamente lontano. Solo il 39% delle persone che si iniettano droghe e delle persone transgender avrebbe avuto accesso a programmi di prevenzione combinato e meno del 50% dei/delle sex workers.

Altro grande obiettivo da raggiungere entro il 2025 riguarda in modo specifico la PrEP, Profilassi Pre-esposizione che andrebbe assicurata almeno a 21,2 milioni di persone a rischio di contrarre l’HIV. Al 2023 le persone che risultavano utilizzare la PrEP nel mondo erano, invece, solo tre milioni e mezzo. Una copertura ben maggiore è raccomandata anche per la PeP, la profilassi post-esposizione.

Community leadership: il target “30-80-60”

UNAIDS considera cruciale per il raggiungimento degli obiettivi 2030 che una serie di servizi siano gestiti direttamente dalle communities e che a queste organizzazioni siano assicurati fondi sufficienti per svolgere questo ruolo. Il target indicato per il 2025 prescrive di assegnare alla communities almeno il 30% dei servizi per i test, in particolare per il test per l’HIV, servizi anche in grado di supportare l’accesso ai centri di trattamenti e il mantenimento in cura delle persone. Alle ONG guidate dalle comunità, andrebbero inoltre assegnati l’80% dei servizi e dei programmi per la prevenzione tra le popolazioni a più alto rischio o più marginalizzate, incluse le donne. Sempre alle communities andrebbero assegnati il 60% dei programmi volti a sostenere il raggiungimenti di obiettivi sociali che combattano l’esclusione e la marginalità. UNAIDS non ha, al momento, parametri per valutare lo stato d’attuazione di questo target, per questo sono stati costituiti appositi gruppi di lavoro. Tuttavia, non è difficile dedurre come si sia ancora molto lontani dagli obiettivi 2025.

Realizzare i diritti umani e combattere stigma e discriminazioni: l’obiettivo 10%

Per rendere socialmente efficace ogni strategia di contrasto all’HIV, UNAIDS prevede di ridurre sotto il 10% entro il 2025 leggi e costumi volti a criminalizzare il lavoro sessuale, il possesso di piccole quantità di droghe, i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, la trasmissione dell’HIV o la mancata rivelazione del proprio stato sierologico.  Rispetto a questi obiettivi globali, tuttavia, il mondo è completamente fuori rotta:

  • Criminalizzazione basata su leggi generali, volta a punire la mancata comunicazione del proprio stato di persona con HIV, la trasmissione del virus o l’esposizione al rischio: su 193 paesi sono solo trenta quelli che non prevedono questo tipo di persecuzione giudiziaria. Nei restanti 163 queste circostanze sono perseguite a vario titolo.
  • Criminalizzazione delle persone transessuali. E’ prevista in oltre sessanta paesi su 193.
  • Criminalizzazione di alcuni o più aspetti del lavoro sessuale. E’ prevista, a vario titolo, in ben 173 paesi.
  • Criminalizzazione dei rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. E’ prevista in 63 paesi su 193.
  • Criminalizzazione del possesso di piccole quantità di droga. E’ prevista in oltre 160 paesi su 193.

Stigma e discriminazioni possono agire anche attraverso mentalità e costumi. Sondaggi recenti in 42 paesi segnalano un 46,6% di atteggiamenti discriminatori, un livello quasi sei volte superiore all’obiettivo globale del 2025. In 19 dei 42 paesi, oltre il 50% delle persone ha segnalato atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone affette da HIV

Risorse e investimenti

Tema cruciale per UNAIDS è quello delle risorse. Un finanziamento pieno e adeguato, soprattutto verso i paesi a basso e medio reddito è fondamentale per giungere all’obiettivo della sconfitta dell’AIDS. I paesi che hanno sottoscritto l’agenda 2030 si erano impegnati a stanziare almeno 29 miliardi di dollari entro il 2025 ma nel 2023 la disponibilità era solo di 19,8 miliardi di dollari: un gap davvero troppo ampio per non mettere a repentaglio gli obiettivi 2030 e che richiama al massimo impegno e alla massima responsabilità tutti i governi del mondo.

 Altri link utili

https://crossroads.unaids.org/wp-content/uploads/2024/08/GAU-2024-Full-report_En.pdf

https://crossroads.unaids.org/wp-content/uploads/2024/07/GAU-2024-Annex-1-En.pdf

12/9/2024 https://www.lila.it/

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