25 APRILE
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Può uno storico essere minacciato di morte perché porta avanti con onestà intellettuale le sue ricerche? A quanto pare sì, soprattutto se lo storico in questione si propone di demolire, con rigore scientifico e approccio divulgativo, le interpretazioni ormai dominanti su questioni quali la Resistenza contro il nazi-fascismo e le vicende dell’Alto Adriatico (quello che in Italia viene definito “confine orientale”).
È quello che è accaduto, nelle ultime settimane, allo storico torinese Eric Gobetti, uno dei massimi studiosi italiani delle vicende dell’Alto Adriatico durante la seconda guerra mondiale: tra le sue pubblicazioni, si possono ricordare L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (2007), Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-43) (2013) e La resistenza dimenticata. Partigiani italiani in Montenegro (2018). Infine, del 2021 è E allora le foibe?, il volume che è stato appunto oggetto di polemiche e foriero di attacchi personali allo storico. La “colpa” di Gobetti? Quella di aver scritto un volume divulgativo e preciso che smentisce tutte le interpretazioni che, nate nell’alveo politico dell’estrema destra, cercano ormai di attecchire nel sentire comune e nelle narrazioni “condivise” e anti-antifasciste della seconda guerra mondiale. Così Gobetti, ad esempio, ricostruisce il numero delle vittime delle foibe (tra le 3.000 e le 4.000: non certo le decine o centinaia di migliaia di morti di cui si sente parlare nelle trasmissioni televisive!) oppure ricolloca nella giusta prospettiva la vicenda dell’omicidio della giovane Norma Cossetto, descritta iperbolicamente dalla retorica neofascista come «l’Anna Frank italiana», ma in realtà arrestata e poi uccisa dai partigiani nell’ottobre 1943 non perché “italiana”, come si vorrebbe far credere, ma perché fascista convinta.
Nelle pagine che seguono, Eric Gobetti risponde ad alcune domande, relative sia al suo caso particolare sia al più generale contesto culturale e politico che lo hanno spinto a scrivere il suo E allora le foibe?.
Ilenia Rossini
Partiamo dalla fine, cioè dalle polemiche e soprattutto dagli attacchi e dalle minacce che si sono coagulati intorno al tuo ultimo libro, E allora le foibe?. Ti aspettavi reazioni del genere, dopo uno studio ventennale delle vicende della Jugoslavia e dell’Alto Adriatico? Pensi che siano state amplificate dalla coincidenza temporale tra uscita e Giorno del Ricordo? Oppure dal fatto che il tuo volume coniughi con successo rigore storiografico e approccio divulgativo, diventando così destinato a una circolazione in un pubblico più ampio di quello dei soli addetti ai lavori?
Credo che quest’ultima sia la ragione fondamentale. Me lo aspettavo perché conosco da anni le difficoltà nel parlare pubblicamente e onestamente di questi temi. Temevo una reazione più aggressiva del solito, proprio perché si tratta di un libro divulgativo, edito da una casa editrice prestigiosa e rivolto al grande pubblico. Non è solo una questione di minacce fisiche o verbali: c’è tutta una strategia diffamatoria, volta a screditare gli storici, convincendoli a evitare di esporsi pubblicamente, mettendoli in difficoltà anche da un punto di vista lavorativo. Qualunque scuola, ente o associazione che mi invita a parlare deve sapere che andrà incontro a una campagna diffamatoria, aggressioni verbali e insulti a diversi livelli: politico, mediatico e sui social. Non è facile per nessuno lavorare in queste condizioni, tantomeno per chi, come me, non ha un incarico universitario fisso. Questo è l’obiettivo di tale strategia. Quest’anno si è aggiunta anche la censura vera e propria. Poche settimane fa il consiglio regionale del Veneto ha approvato una mozione che esclude la possibilità di parlare in sale pubbliche (quindi anche nelle scuole) a chi “sminuisce” il dramma delle foibe. Nel dibattito si è fatto praticamente solo il mio nome, ma è una disposizione che colpisce tutti gli storici, impedendogli di fatto di divulgare il proprio lavoro in un’importante regione d’Italia (ma una normativa analoga era stata approvata due anni fa in Friuli). Nella mozione si fa cenno anche alla cifra di vittime che sarebbe “giusta”, secondo i politici di estrema destra che l’hanno approvata, ovvero 12.000, che è tra il doppio e il triplo di quella reale. In questo modo sarà di fatto impedito agli storici onesti di esprimersi pubblicamente su questi temi in tutto il Veneto. È una situazione assurda e pericolosa, che assomiglia drammaticamente alla censura di epoca fascista.
A proposito di epoca fascista… Come giustamente fai notare nel libro, negli ultimi anni anche la chiave di lettura delle foibe ha subito uno slittamento. Si è passati a un’esaltazione delle – vere o presunte – vittime, tra l’altro sempre amplificate nel numero e alleggerite di ogni responsabilità politica, in quanto italiane, a un’esaltazione delle vittime nonostante il loro essere fasciste. Puoi spiegare questo passaggio? A quale cambiamento culturale e a quali cambiamenti politici lo attribuisci?
Credo che si stia imponendo una sorta di egemonia politica e culturale della destra neo-nazionalista e neo-fascista. È un fenomeno che riguarda gran parte d’Europa, non solo l’Italia. Qui da noi la vicenda delle foibe è uno degli strumenti con cui i neofascisti stanno imponendo, con successo, il loro “racconto memoriale” sulla seconda guerra mondiale. Le onorificenze agli “infoibati” consegnate ai militi della RSI che combattevano al fianco dei nazisti, l’esaltazione di una “martire fascista” come Norma Cossetto, la diffusione del film Rosso Istria, che presenta i partigiani come aggressori e i nazisti come liberatori… In pratica il messaggio che si vuole diffondere nell’opinione pubblica è che nella seconda guerra mondiale c’erano i buoni, le vittime, che erano i bravi fascisti italiani, e i cattivi: i partigiani comunisti jugoslavi, criminali che uccidevano a sangue freddo per imporre un’ideologia sbagliata. Ecco, se togliamo da questa descrizione gli aggettivi nazionali (che peraltro sono in gran parte antistorici, perché le motivazioni nazionali non sono prevalenti) rimangono i fascisti buoni vittime dei partigiani comunisti cattivi. In sostanza lo scopo di tutta questa campagna è quello di riscrivere la nostra storia nazionale e capovolgere i valori fondanti della nostra Costituzione, che è frutto della Resistenza antifascista.
Dici bene, quando parli di fascisti “vittime”. Mi sembra che proprio questa vittimizzazione dei fascisti giochi un ruolo fondamentale. Quale ruolo pensi che abbiano giocato in questo passaggio culturale l’affermarsi di quello che alcuni hanno definito il “paradigma vittimario” o il passaggio dall’“epoca del testimone” all’“epoca della vittima”, nella quale appunto le vittime assumono un ruolo centrale nella narrazione degli eventi storici? E quanto appelli a una “memoria condivisa” in cui tutte le vacche sono grigie, come quelli che hanno caratterizzato la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi?
Anche in questo caso si tratta di una modalità globale, non solo italiana, di approcciarsi alla storia contemporanea. Da noi credo che all’origine, a partire dagli anni Novanta, gli attori di questo passaggio culturale (storici, politici, intellettuali, artisti…) fossero animanti da buone intenzioni. Lo scopo era, da una parte, dare visibilità alle vittime (dei rastrellamenti, delle deportazioni, dei bombardamenti, della resa dei conti…), in una storia che per molti anni era rimasta appiattita sul confronto militare, dall’altra cercare di ricomporre lo strappo della guerra civile del 1943-1945 sulla base del riconoscimento delle rispettive vittime fra gli eredi dell’esperienza partigiana e quelli del fascismo (i famosi “ragazzi di Salò”). Entrambi i tentativi si sono dimostrati velleitari e pericolosi. Una memoria condivisa è difficilmente raggiungibile (come conciliare ricordi personali o di gruppo tanto diversi?) e la valorizzazione delle vittime non può prescindere dalla ricostruzione storica, che consente di comprendere i fenomeni e attribuirgli il giusto valore etico e politico. Il rischio, che si è puntualmente verificato, è quello di assumere solo lo sguardo delle vittime, a prescindere dal loro posizionamento e delle loro responsabilità durante la guerra, finendo per mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, equiparando gli ideali che li animavano. Nel caso delle foibe siamo andati molto oltre, dato che si condannano solo i crimini dei partigiani, senza nemmeno accennare a quelli dei fascisti, quindi di fatto capovolgendo il sistema valoriale alla base della nostra democrazia. Seguendo coerentemente questa logica, cosa diremo un giorno del povero Hitler costretto al suicidio con la propria giovane moglie per non cadere nelle mani dei comunisti sovietici?
Riflettendo sul revisionismo storico, sia quello relativo alla Resistenza in generale sia quello incentrato sul cosiddetto “confine orientale”, ho sempre ritenuto che l’obiettivo da infangare non fosse tanto – o quanto meno non solo – l’antifascismo in sé, quanto piuttosto l’idea stessa che ribellarsi – nelle forme che il momento storico rende opportune o necessarie – sia giusto. Se anche i partigiani avevano torto, allora nessuno aveva ragione, ed è meglio non “impelagarsi” proprio in questioni politiche, tanto più se mettono a repentaglio la propria vita e quella altrui. Condividi questa interpretazione?
Ma pare molto calzante. La storia è sempre storia contemporanea e la narrazione di un dato evento storico è sempre connessa all’attualità. Il messaggio che si vuole diffondere, rispetto alla Resistenza italiana, è che era proprio sbagliato agire, perché la Liberazione sarebbe comunque arrivata da parte degli angloamericani. La Resistenza avrebbe solo provocato nuovi lutti, a causa della reazione tedesca (comprensibile, addirittura “condivisibile” secondo un’interpretazione sempre più diffusa). Attualizzando il ragionamento, viene proprio da pensare che il messaggio sia quello di evitare di esporsi, di schierarsi e, al massimo, interpretare la parte della vittima, che tanto, prima o poi, verrà celebrata come martire, come eroe. La “martirizzazione” di Norma Cossetto sembra andare inquesta direzione anche se qui l’aspetto ideologico secondome rimane prevalente. Cioè, secondo l’immaginario che ci viene fornito, Norma Cossetto non è solo una vittima innocente: è una persona che si impegna, che si schiera lucidamente dalla parte “giusta”, ovvero quella del fascismo e del nazismo. Ma certo questo immaginario arriva da una parte specifica, quella neofascista, mentre il discorso pubblico prevalente è ancora dominato dal vittimismo dei bravi-italiani-innocenti-colpiti-in-quanto-italiani.
La nuova e meritoria collana Fact Checking dell’editore Laterza, di cui il tuo libro E allora le foibe – insieme a L’antifascismo non serve più a niente di Carlo Greppi e a Anche i partigiani però… di Chiara Colombini – fa parte, sembra porsi in antitesi con la pubblicistica divulgativa degli ultimi anni. Finalmente, aggiungo io. Non è una domanda elegantissima, trattandosi del tuo editore, ma che ruolo pensi possa svolgere, sul piano culturale, una politica editoriale che tenti di coniugare divulgazione, rigore storiografico e difesa del valore dell’antifascismo? Credi che stia avendo il successo che merita o che si tratti ancora di volumi la cui lettura rimane limitata a un numero ridotto di persone che già hanno un’idea e una posizione sulla questione? Si può arrivare così più facilmente alle generazioni più giovani?
Questo è il nostro scopo, senza dubbio e io cerco di essere ottimista e spero di sì. So per certo che molti studenti (universitari e delle superiori) hanno letto e apprezzato il mio libro, così come molte persone che non avevano un’idea chiara della vicenda o che magari avevano passivamente subito la costruzione di un immaginario errato. Poi certo fra i nostri lettori ci sono anche molte persone solidali, che percepiscono qualcosa di sbagliato nel discorso pubblico dominante ma non sanno trovare le parole giuste, non hanno gli strumenti per reagire. Ecco, questa è la nostra cassetta degli attrezzi, una serie di strumenti accessibili a tutti per reagire a chi, anche in buona fede, continua a dire: “E allora le foibe?”.
Intervista per Lavoro e Salute a cura di Ilenia Rossini
Pubblicata sul numero di aprile del mensile
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Ilenia Rossini, storica e autrice del libro “La voce delle donne nella Resistenza italiana (Unaltrastoria)”
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