Apatia generazionale. I giovani non si ribellano?
Non è semplice far partecipare i giovani ai percorsi di crescita. Ci si iscrivono principalmente donne dai 38 anni in sù; sono loro le più motivate a costruire se stesse. Seguo tuttavia un gruppo di ragazzi e giovani adulti. Convincerli a lavorare su se stessi è stato faticoso. Non è facile che adolescenti, tardo adolescenti e giovani adulti siano interessati a costruire risorse per svincolarsi dal loro quotidiano: è l’unica cosa che hanno, il presente, l’oggi, l’adesso. Si chiedono “cosa facciamo stasera?” o “domani”o “sabato”.
E l’oggi è già complicato così, senza soldi e con una grande noia esistenziale dentro. Li senti dire “in questa città non c’è mai un c…o da fare” e ripetono gli stessi passi, i gesti, le parole come per rassicurarsi che il quotidiano sia prevedibile. Restano raccolti nel proprio gruppo omogeneo e un po’ autoreferenziale, che provengano dal muretto, dall’università, dal conservatorio. Molti sono brillanti, geniali ma questo non impedisce che abbiano la difficoltà di esplorare contesti altri: stanno tra loro, scegliendosi tra simili, cercando di non differire perchè vivono la fatica di un contesto culturale incerto e un mondo molto diverso da quello delle generazioni precedenti.
Innocenti o colpevoli, arrabbiati o candidi, carichi di nuove identità, semplici e sedotti dalla semplicità che li eccita per la sua realtà primitiva e portatrice di stupore diretto e immediato. Questo è lo stato del primitivo, dell’ingenuo. E i giovani sono così, finchè resistono a questo quotidiano deludente.
Si è creata una voragine tra la nostra esperienza e la loro. Essi non la stanno ripetendo, la vivono come se noi non fossimo mai esistiti. Sono anche molto arrabbiati con noi, come ogni nuova generazione. Ci reputano responsabili della mancanza di risorse economiche, del non aver preparato loro una struttura sociale che facilitasse il reperimento delle risorse tutte. È come se non gli avessimo lasciato nient’altro che grandi piazze di terra battuta e case diroccate, proprio a loro che sognano castelli. Si, non si accontenterebbero di niente di meno. Gli abbiamo consegnato, con la tv, il cinema e la politica da format, illusioni di consumi da re e regine, di possibilità irreali, per poi abbandonarli allo sconforto della delusione che i ragazzi vivono come una colpa perchè pensano che dipenda da loro la mancata realizzazione del lieto fine.
Perciò il miracolo diventa la loro unica possibilità di trovare scampo e non investono. Il colpo di fortuna arriva all’eletto che è chi è degno. E ognuno e ognuna di loro è un potenziale eletto. E ognuno pensa di meritarlo, il miracolo. La fama, il talento, un lavoro redditizio, il partner o la partner delle meraviglie, una casa fantastica. E la vita diventa un alternarsi tra l’essere schiavi del fantasticare e il confrontarsi con la mediocrità del quotidiano e la sensazione di essere inadeguati o non degni di ricevere quell’agognato accadimento spettante per il solo fatto di essere nati senza richiederlo.
Sono stati delusi dai genitori, dai miti di questi ultimi, dalle promesse della nascita. Vivono nell’oggi e per negare il vuoto esistenziale dato dall’assenza di quello spazio temporale di realizzazione di sè, consumano nell’immediato ogni spinta pulsionale. Bere male, mangiare male, tanto. Non c’è più il tempo di pensare uno spazio mentale che favorisca lo stare in sè, nell’ascolto delle proprie esigenze, nel dar prospettiva ai sogni. La relazione intima, affettiva, sessuale viene divorata, consumata senza assaporarla, senza uno sguardo, senza perdersi nell’ascolto di sè e dell’altro ma al contempo con una continua ricerca di stupore, nei propri occhi o in quelli dell’altro. C’è l’esigenza di essere visti, riconosciuti come unici, preziosi, preferiti e perciò premiati dalla vita. E i giovani si dividono tra chi crede nel miracolo di un amore-oggetto trasformativo che riempie ogni vuoto e restituisce quel vissuto di essere degni di risorse e coloro che non ci credono e continuano a consumare compulsivamente organi genitali e fantasie sessuali standardizzate seguendo le mode anche a letto.
Tutto ciò accade perchè il nostro contesto storico culturale consumistico è un esperto nel rubare lo spazio del pensiero: ogni individuo necessita di poter pensare se stesso nella propria realizzazione, sognare parti di sè che prendono forma, sintonizzarsi sui propri talenti e sul piacere di esprimersi compiutamente. I giovani vengono derubati da questa prospettiva. Per le generazioni precedenti il futuro serviva ad alleggerire il presente! I media hanno tolto anche questa illusione: sono annoveratili tra i diseredati di futuro, sono derubati della prospettiva e costretti ad essere schiavi di un quì ed ora consumistico e compulsivo. Un qui che nasce con l’adolescenza ma che la politica rafforza via via con il suo far scomparire la proposta e offrire solo il consumo in cambio dell’ottundimento della consapevolezza di avere diritto ad esistere. Viene loro rubata l’aspirazione e l’intento lasciandoli in un consumo masturbatorio di beni di scarsa qualità. L’assenza di futuro in quanto assenza di un lavoro è un messaggio che gambizza la possibilità di reinventarsi e rileggere l’oggi in modo da trasformare gli equilibri.
Per quanto sia vero che le gravi problematiche in tema di occupazione indeboliscano il nostro sistema sociale, è importante incoraggiare i nostri giovani a cercare ed abitare futuri reali e possibili, dando vita, con la loro capacità di reinventarsi e la loro freschezza, a nuove prospettive di relazione affettiva, di convivenza sociale e di semplice benessere economico, dalle ceneri delle nostre battaglie: perse o vinte che siano sono passate.
Deborah Carta
psicologa, psicoterapeuta, psicofisiologa clinica e arteterapeuta
Nel numero di aprile del periodico Lavoro e Salute wwww.lavoroesalute.org
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