Alziamo la testa
Stiamo assistendo alla ricostruzione di una “nuova” ideologia che somiglia molto, al netto delle terminologie moderniste, a quella delle società europee dell’ottocento atta a plasmare una forma di popolo pagante, ignorante e felicemente silente sulla propria vita. Questa “nuova” ideologia, per poter vincere e trasformare le persone in sudditi, deve mistificare la realtà, deve condizionare la massa, convincerla che pur non avendo gli stessi privilegi di chi sta “in alto”, nella scala sociale, né avendo tutela dei propri diritti, sia convinta di essere in una situazione di benessere. Per raggiungere questo scopo una delle armi è l’utilizzo di una martellante propaganda che teorizzi l’ignoranza come chiave della felicità, la diffidenza verso il più povero come causa del nostro disagio, basti come esempio all’idea sempre più preponderante dell’immigrato che porta via il lavoro. Anche la ribellione viene concepita come controproducente, sia per la paura della reazione repressiva del potere, sia perché la prospettiva di un futuro che dipenda da noi stessi, la lotta per il cambiamento, vengono dipinte come chimere, come prospettive illusorie e dunque fonte di delusione.
Il condizionamento passa attraverso una strisciante propaganda che incita le persone all’esercizio dell’egoismo, del cinismo, dell’avidità, dell’indifferenza e della mancanza di empatia, rivolte soprattutto nei confronti di chi sta peggio. E chi non vuole entrare nel gregge deve vedersela non solo con chi sta troppo bene e vuole tenersi stretti i propri privilegi, ma anche con le schiere di propri simili, arruolati come soldati di ventura, che si prestano come mazzieri dei critici e dei ribelli. A riguardo, tanto per chiarire ulteriormente le intenzioni di lor signori, è passato sotto silenzio quanto affermato da Francesco Starace, amministratore delegato dell’ENEL, lo scorso 14 aprile durante una lezione in una scuola aziendale. Nel rispondere a una domanda su come si possa “promuovere il cambiamento” all’interno di un’azienda, ha spudoratamente affermato che bisogna individuare chi è contrario al cambiamento per “ispirare paura, promuovere il malessere, distruggere fisicamente i centri di potere che si oppongono al cambiamento”.
Ora, declinate secondo le categorie linguistiche dei manager, la parola “cambiamento” in licenziamenti, riduzione dei salari e aumento degli orari contrattuali, e “centri di potere che si oppongono al cambiamento” in lavoratori organizzati e avrete chiare le intenzioni, già in corso d’opera da almeno un decennio, di questi signorotti ottocenteschi che non amano più essere chiamati “datori di lavoro”, ma padroni. Ovviamente odiano la parola “sindacati”, ecco perché aborriscono anche la stessa innocua “concertazione” e vogliono soffocare (e lo stanno già facendo con l’aiuto del governo) i Patronati e le finanze del Sindacato dopo aver abolito di fatto i permessi per le RSU nel Pubblico Impiego. E’vero che la riduzione al silenzio e all’obbedienza dei sindacati pare cosa fatta, almeno per quanto riguarda le organizzazioni sindacali maggiori che sono in seria difficoltà nel mettersi di traverso nei confronti delle strategie aziendali che premiano, sempre più spesso, la fedeltà dei mediocri, dei dediti all’obbedienza per cupidigia e servilismo. Assistiamo così, quasi silenti, al bombardamento di continue ristrutturazioni (vedi accorpamenti e fusioni delle asl) che hanno come principale effetto (o fine?) quello di rendere perennemente instabile, quindi inefficiente e anche pericoloso, il sistema pubblico, mentre il sistema sanitario privato, assiste interessato e sempre più organizzato grazie alla disponibilità dei finanziamenti pubblici.
Tanto è vero che in Piemonte la Regione regala la programmazione alla Confindustria per un’accelera-zione del processo di privatizzazione, mutuando il suggerimento di Berlusconi (primavera 2009) alla assise di Confindustria di Bergamo con la dichiarazione: “imprenditori datevi alla sanità “. Ed ecco allora, la finanza di progetto per costruire la Città della Salute; la fine del consorzio informatico pubblico; il project financing per affidare le mense e i parcheggi; le sperimentazioni gestionali pubblico/privato. Chiamparino, alla stregua dei “governatori” di altre Regioni, a iniziare da Rossi in Toscana, non vuole essere da meno nei confronti di Formigoni prima e Maroni adesso in Lombardia: stabilisce rapporti preferenziali col privato anche sull’assistenza territoriale, le liste di attesa e la mobilità passiva. Per farlo come Dio Mercato comanda ecco la designazione a capo del controllo di gestione sulle Asl, di un manager della privata KPMG. Meglio di così si muore … noi : i cittadini, gli operatori, la democrazia.
Allora che fare per non farci plasmare come zombi e adattarci a una vita di assuefazione alla morte lenta o alla morte violenta per mancanza di sicurezza, o al suicidio per disperazione, o alla malattia indotta dalle pessime condizioni di vita quotidiana? Le opzioni sono molte. Arrabbiarsi è liberatorio quando subiamo un torto, sta a noi incanalare l’energia provando a sovvertire la situazione, contro il mortale stato di cose presenti, è sbagliato rifiutare la rabbia scegliendo apatia e lamento. Avere un senso critico per infrangere le regole imposte dal malcostume politico imperante è vitale. I dogmi di chi detiene il potere comunicativo, radicati da quasi trent’anni di commercializzazione del sapere, saranno sempre più persuasivi se non lottiamo per metterli in discussione.
L’adattamento è, in apparenza e sul momento, la scelta meno dolorosa e faticosa, vivere dentro gli schemi che paiono quelli più accettati dalla massa è un modello ispirato dall’istinto di sopravvivenza. Ma questo stare a guardare, nega l’essenza stessa dell’essere umano, annichilisce la persona annullando le sue capacità e prerogative professionali e relazionali. La fatica della contrapposizione è tanta, perché la forza della falsa narrazione di una vita felice solo perché superficiale e omologata ad un modello apparentemente condiviso dalla maggioranza delle persone, fatta dai media servi dei poteri forti, è oggettivamente potente e ci porta verso relazioni umane convenzionali che si nutrono di finti sorrisi e luoghi comuni, mentre le relazioni umane creative ed autentiche, che ci aiuterebbero a soffermarci su noi stessi e sulle condizioni della nostra vita e del nostro lavoro, sono osteggiate da patologiche routine.
Questi nostri “mali” materiali e relazionali, che ci affliggono e tendono a trasformarci in una massa ritenuta indistinta e senza sogni di rivalsa sull’esistente, disegnata come gregge da pascolare in una società sempre più anemica e individualista, possono essere curati e contrastati da un ritorno al sentirsi parte di una comunità di lavoro, di quartiere, che lotta per i vecchi e sani diritti al lavoro, alla salute, alla vita, con la testa alta, la schiena dritta ed una attiva presenza sociale. In questa società brutalizzata dalla competizione contro il più debole, con il liquame che viene offerto come comunicazione di massa si è sempre più sottomessi perchè non crea saperi ma obesità del cervello. “Siete proprio come vi vogliono i padroni: servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo”. Direbbe ancora Don Lorenzo Milani.
Franco Cilenti
Editoriale del numero di luglio del periodico Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
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