Pietro Ichino: il “licenziatore” distratto

Marchiori - mgichino23-05-2008001

Al riguardo, non nutro alcun dubbio. Se la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea avesse avuto – rispetto alla C-causa 16/15 – un senso e un contenuto diversi dal principio, invece, affermato il giorno 14 del corrente mese, avremmo letto numerosi, lusinghieri, commenti a sostegno delle cose che, come troppo spesso è capitato in passato,“Ci chiede l’Europa”.

Non è avvenuto nulla di tutto questo.

I “cavalier serventi, gli opinionisti di parte, i tecnici “a contratto” e – tra questi, peggio di chiunque altro – i teorici prestati alla politica e dediti a sostenere    esclusivamente le esigenze e le ragioni dei “padroni”, si sono improvvisamente ammutoliti.

Evidentemente Intenti a felicitarsi per i milioni di nuovi posti di lavoro prodotti dal Job-act(!), non si sono accorti – o, per meglio dire, hanno fatto finta di non accorgersene – che qualcosa è cambiato.

Anche Pietro Ichino “il licenziatore”, sempre in prima linea nel sostenere i peggiori misfatti che, in materia di lavoro – in nome dell’abusato ritornello: “E’ l’Europa che lo chiede” – sono stati perpetrati dai governi Berlusconi, Monti e Renzi, non si è accorto che l’UE ha dichiarato illegittima la reiterazione dei contratti a termine nel pubblico impiego. La conseguenza pratica, è che la pubblica amministrazione deve stabilizzare il dipendente utilizzato attraverso il ricorso ad un numero eccessivo di contratti a termine.

In sostanza, la Corte di Giustizia, accogliendo il ricorso di una lavoratrice spagnola del settore ospedaliero, che aveva subito ben sette rinnovi di un contratto a tempo determinato, ha ribadito i contenuti della Direttiva 1999/70/CE e convertito il rapporto a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Evito di appesantire inutilmente questa nota riportando tutte le   considerazioni espresse dalla Corte nel valutare il caso ed emettere la sentenza.

E’ però indispensabile evidenziare che esse sono state svolte e sviluppate con riferimento al Contesto normativo rappresentato dalla suddetta Direttiva. Con specifico riferimento ai punti 6, 7 e 8 delle considerazioni generali dell’Accordo quadro in attuazione del quale era stata, successivamente, emanata la Direttiva.

Particolare significato, quindi, rispetto:

1) al ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato basati su ragioni oggettive; al fine di prevenire gli abusi (punto 7);

2) alla caratteristica – dei rapporti di lavoro a termine – dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atte a soddisfare sia i datori di lavoro che i lavoratori (punto 8 dell’Accordo).

Alla luce di tali considerazioni, appare oggi ancora più evidente che, nel 2001, il governo Berlusconi, con la palese e sciagurata complicità di Cisl e Uil – al solo fine di compiacere la scadente classe imprenditoriale italiana e quanti, a danno dei lavoratori italiani,  ne curano anche gli occulti interessi, operò una perfida “traduzione” e un’iniqua attuazione dei principi di quella stessa Direttiva (1999/70/CE).

Infatti, essa fu strumentalmente richiamata e utilizzata per produrre il famigerato D. Lgs. 368/2001, attraverso il quale fu abrogata la previgente disciplina (legge 230/62) e, sostanzialmente, si avviò la completa liberalizzazione del ricorso ai contratti a tempo determinato.

L’attuale livello di degenerazione cui è oggi ridotta tale tipologia contrattuale, è sotto gli occhi di tutti!

Renato Fioretti

Esperto di diritti sindacali. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

19/9/2016

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