“Madri nella crisi”, donne nella lotta. La battaglia delle precarie di Milano continua
Da più di sessanta giorni sono sul tetto del Policlinico di Milano lottando per riavere il loro posto di lavoro. L’8 settembre saranno in piazza per ribadire che la loro lotta non si ferma. La manifestazione inizierà alle 10.30 e “andrà avanti fino al tardo pomeriggio – annunciano le attiviste sostenute dal sindacato Usb – Speriamo abbia una forte rilevanza”. Recentemente hanno messo sulla loro pagina Facebook un video-appello che chiudono dicendo in coro: “Pagherete caro, pagherete tutto”. Le “madri nella crisi”, come si sono chiamate, sono state buttate fuori dal loro posto di lavoro senza una motivazione reale. Anni e anni di precarietà passati a sognare una stabilizzazione che non solo non è mai arrivata ma che ha scaricato sulle loro vite uno “tsunami” senza precedenti. Tutti i giorni dal loro tetto, su cui stazionano e pernottano a turno, suonano una sirena che riecheggia per tutto il quartiere ricordando a tutti la loro lotta.
“Sessanta giorni che sono passati sulle nostre vite come un tornado, cambiandole per sempre. Sessanta giorni di esperienze straordinarie – scrivono nell’appello – di emozioni forti, di inimmaginabile vicinanza e solidarietà, per la quale ringraziamo le tante persone che sono venute a trovarci sul tetto, compiendo un gesto simbolicamente importante, al quale spesso hanno saputo accompagnare una generosità concreta”. Controlacrisi ha intervistato una di loro, Adriana.
Qual è la ragione di tutta questa resistenza?
La forza di volontà. Vogliamo comunque arrivare a una soluzione positiva. Siamo pronte ad andare fino in fondo. Ci diamo forza a vicenda. Non siamo mai sole. Il tetto è molto terapeutico per il gruppo. Il fatto che non sei solo significa che non ti senti abbandonato.
La vostra storia è un po’ il simbolo della precarietà: anni e anni impegnate in un lavoro di tipo professionale e poi messe fuori senza una motivazione reale e plausibile.
C’è gente che ha lavorato per diciotto anni. E’ stata una doccia fredda, perché quando collabori per così tanto tempo dentro una struttura sanitaria credi di avere un valore. Devo sottolineare che i contratti di lavoro che emettevano nei nostri confronti erano al massimo di un mese.Solo in una certa fase tra la coop e l’agenzia interinale i contratti erano più lunghi. Negli ultimi quattro cinque anni i contratti erano mensili. Io sono entrata al Policlinico con un contratto di due giorni. La macanza di sicurezza era molto grave e la sentivi sulla pelle.
E invece la vostra prestazione non poteva essere, come si dice, precaria.
Tra incertezze e squilibri siamo comunque andate avanti a consolidare il nostro profilo professionale. Non volevamo buttare via quello che avevamo acquisito. Volevamo un concorso interno ma non ce l’hanno dato. Ancora peggio quando ne hanno presi 100 invece di 29 ci hanno buttato in faccia che ci stavano escludendo senza una motivazione reale. Non c’è stata una stabilizzazione prima del concorso nazionale come volevamo.
Una storia assurda.
Hanno voluto privarsi di persone che avevano comunque esperienza per finire con il ritrovarsi persone giovani che, va sottolineato, hanno dovuto essere aiutate da quelle che successivamente sarebbero state buttate fuori. .
Qual è la mappa delle responsabilità politiche e istituzionali in questa storia?
Per far entrare persone dal concocrso il Policlinico ha dovuto chiedere il permesso alla Regione Lombardia e la regione ha dato ok. La Regione Lombardia per questo deve trovare una soluzione. Tutto questo caos l’hanno procurato loro. Le norme e i regolamenti si possono anche cambiare. Hanno utilizzato una procedura non così consolidata. Se la sono vista a tavolino.
E i sindacati?
I sindacati non ci hanno tutelato. Ci hanno sempre detto di stare tranquilli perché tanto la cosa si sarebbe risolta. E invece ci siamo ritirate fuori. Vorrei sottolineare che seguendo il suggerimento di “stare tranquille” non abbiamo contrastato gli atti con una azione legale e questo buco alla fine ha fatto la differenza. Siamo arrivate a Usb e la musica è cambiata.
Qual è oggi la vostra condizione?
Abbiamo ottenuto un sussidio di sei mesi. E in teoria dovremmo aspettare la chiamata dell’agenzia interinale che ti può mandare in tutti i presidi ospedalieri della provincia. Noi vogliamo un lavoro all’interno del Policlinic. Se non si può entrare al Policlinico, a Milano è pieno di aziende ospedaliere. Ci sono persone monoreddito che hanno più di 50 anni, che avranno sicuramente dei problemi.
Come ha cambiato le vostre vite questa lotta?
Quando ero ragazzina e vedevo i cortei confesso che mi facevano un po’ paura. Ho vissuto ora esperienze che non ho mai vissuto. Ho capito cosa significa cercare di ottenere qualcosa attraverso la lotta. Siamo cambiate perché abbiamo capito che per farci sentire e non bisogna aspettare che gli altri facciano qualcosa per conto tuo. In questa società devi farti sentire e pestare i piedi.
Fabio Sebastiani
5/9/2015 www.controlacrisi.org
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