Tre storie di “frontiera”
Giugliano, 21 settembre 2015
Aveva 16 anni o 18? I pochi che se ne sono occupati non lo hanno riportato, era arrivata la mattina in un centro di accoglienza CAS a Giugliano dopo essere stata portata a Lampedusa. Insieme a 5 sue amiche già la sera aveva deciso di allontanarsi perché non era quella l’accoglienza che cercava, il paese in cui restare. Una strada a scorrimento veloce, la Circumvallazione esterna di Napoli, attraversare non è facile, le altre ci riescono, lei noi resta uccisa da un Suv. Nome e cognome? Chissà, sappiamo solo che era scappata dall’Eritrea per venire a morire nel nostro Sud.
Piacenza, 14 settembre 2016
Di lui sappiamo molto di più, ma non basta. Si chiamava Abd Elsalam Ahmed Eldanfe aveva 53 anni e 5 figli, arrivato tanto tempo da dall’Egitto lavorava nella logistica ed era un lavoratore sindacalizzato. La sua fine: travolto da un Tir. Erano le 23.45, partecipava ad un picchetto in solidarietà con altri 13 lavoratori precari che dovevano essere assunti con un contratto a tempo indeterminato ma l’azienda che doveva rispettare gli accordi presi aveva deciso di ignorarli. E allora lo sciopero indetto dall’Usb e poi una fine su cui ancora ci sono punti oscuri. Secondo i suoi colleghi e compagni di lotta era in corso una manifestazione sindacale, erano presenti sul posto agenti per motivi di ordine pubblico che avrebbero assistito alla scena. «Il conducente del camion che ha travolto e ucciso il nostro lavoratore – ha detto Riccardo Germani di Usb, – è stato incitato a forzare il picchetto da un addetto vicino all’azienda. Gli urlavano ‘parti, vai!’ e quello è partito investendo il nostro aderente». La polizia di Stato in un primo momento aveva detto che alcuni agenti che hanno assistito alla scena avrebbero “tentato di fermare il tir battendo invano sulla carrozzeria, mentre questo partiva a velocità sostenuta investendo il 53enne”. Il Capo della Procura di Piacenza ha “smentito che fosse in atto una manifestazione all’ingresso dell’azienda, la Gls, ma allora perché la pattuglia era sul posto? Non conosciamo la risposta ma diviene difficile credere all’ipotesi di una manovra sbagliata per cui il conducente del Tir non si sarebbe accorto della presenza del lavoratore davanti al cancello. Un errore insomma per il Pm, un “omicidio padronale” per i compagni e colleghi che intanto stanno raccogliendo soldi per sostenere una famiglia rimasta senza padre e senza reddito. Puntuale è giunto il “cordoglio del governo” che poco o nulla interviene quando si tratta di veder rispettati i contratti e che oggi si affida alle indagini della magistratura.
Ventimiglia, 7 ottobre 2016
Mancavano solo 50 metri e poi sarebbe stata in territorio francese. L’Autostrada dei Fiori, il tunnel della Cima Girata, dove auto e Tir sfrecciano velocemente. Erano in 7 eritrei in fuga, da tanto in fuga. In 6 hanno attraversato la carreggiata l’ultima, 17 anni, non ci è riuscita ed è stata falciata da un camion. Sono in tanti che, ogni notte provano quella rotta, cercando di aggirare i controlli onnipresenti tanto agli scogli dei Balzi Rossi quanto alle stazioni ferroviarie. Da sempre esistono altre vie, quelle dei monti, difficili e rischiose, conosciute solo dai passeur e quelli dell’autostrada che miete vittime con frequenza. Di lei sappiamo poco oltre l’età, che aveva con se una famiglia, che non era stata registrata nel principale campo di accoglienza, in cui ci sono ora solo uomini. Quattro parenti sono ora ricoverati in stato di choc, di lei si sta cercando di ricostruire identità e percorso in Italia. Discordanti anche le notizie rispetto all’autista dell’automezzo che ha falciato la sua vita. Secondo alcuni quotidiani avrebbe inutilmente tentato di frenare e al fermo avrebbe avuto un malore, secondo altri è stato fermato e sottoposto ad esame etilometrico, con risultato negativo, ma già in territorio spagnolo. «L’Amministrazione prova un profondo senso di angoscia nell’apprendere la notizia della morte di questa giovane ragazza – ha dichiarato il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano – Il sistema Europa così organizzato si manifesta non adeguato per affrontare l’onda migratoria contingente e questa morte ne è un’agghiacciante conseguenza. Non possiamo non sentirci tutti responsabili, in questo momento il silenzio è d’obbligo. Da domani iniziamo tutti a ripensare il sistema, per fare si che tragedie di questo tipo non accadano più». Eppure anche questa era una morte annunciata da quello che la nostra amica e collaboratrice Flore Murard – Yovanovitch chiama “Fascismo della frontiera”.
Di storie simili ce ne sono tante, dal Brennero a Pozzallo, piccoli fatti di cronaca dimenticati o rimossi da chi scientemente sceglie di edulcorare la realtà. Spesso li chiamano naufragi accidentali, stragi dovute alla crudeltà dei trafficanti, fine fatali di chi arriva senza consapevolezza in Europa. Ma ad uccidere non sono veicoli lanciati a folle velocità, navi che affondano, incidenti collettivi o individuali, la storia è un’altra.
Ma dimentichiamo per un momento l’ecatombe del Mediterraneo, vero e proprio genocidio con colpevoli e carnefici e fermiamoci su queste tre storie individuali.
Tre storie diverse ma tre considerazioni simili
La prima è scontata, nella gerarchia coloniale che definisce il peso delle vite, le due ragazze richiedenti asilo non debbono avere storia o identità, Abd Elsalam Ahmed Eldanfe, ha diritto ad un nome ma non ad essere ricordato come un uomo che lottava per diritti che in Italia siamo ormai abituati a perdere e cedere, che lottava per gli altri, seguendo un antico vincolo di solidarietà di classe che ci hanno fatto dimenticare.
La seconda è più melliflua, Dimenticheremo le loro storie come abbiamo rimosso facilmente quella di Jerry Essan Maslo anche se il suo nome è finito su wikipedia, un rifugiato sudafricano ammazzato il 25 agosto 1989 perché si rifiutava di sottostare, dopo lo sfruttamento nel lavoro, ad un’altra rapina. Le rimuoviamo facilmente queste storie, i volti, i nomi, le persone che negli anni sono morte di detenzione amministrativa, (almeno 25) di clochardizzazione dei diritti (due a Palermo nelle ultime settimane), di fame, Roma e Milano, di fascismo nuovo e vecchio. Anche nel movimento antirazzista, unica sacca di resistenza in un paese imbarbarito, abbiamo preferito rimuovere e dimenticare, con cinismo e paura. Sono vicende che a parlarne soltanto giustificano qualsiasi reazione.
La terza è oscena E riguarda il fatto che per le merci e le persone “bianche” e con passaporto UE la vita è facile e garantita. Per gli altri si può crepare senza problemi. Per il mercato, unica religione in grado di scatenare uno “scontro di civiltà”, le merci debbono poter viaggiare senza intralci, non debbono esserci “clandestini” sulle navi commerciali, persone sgradite in mezzo alla strada ad intralciare il traffico sia dei prodotti da stoccare in magazzino sia di quelli che debbono attraversare la frontiera. E se questi ostacoli hanno un volto, un nome, una storia, nulla importa. Che le merci giungano in tempo a destinazione, che producano il necessario profitto, che garantiscano il benessere dei pochi. La velocità dei mezzi e di chi li guida è più importante di ogni vita, le vite sono sacrificabili, sostituibili, sono pezzi di ricambio che non mancano nel mercato del lavoro o della fuga.
Questa è l’Europa anime belle, che ci si divida in chi l’accetta così come è, in chi sogna il ritorno a improbabili confini nazionali di fatto già validi per chi arriva da un “paese sbagliato” e chi intende rivoltarlo questo continente. Non solo per i diritti di chi arriva ma per il futuro di chi ci vive.
Stefano Galieni
Resp. nazionale immigrazione Prc
articolo tratto da WWW.A-DIF.org
9/10/2016 www.rifondazione.it
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