Si muore di più, si muore prima. Soprattutto nel Meridione
L’Italia è un paese sempre più asimmetrico, anche sul terreno delle aspettative di vita. “In Campania e Sicilia si ha una speranza di vita alla nascita di 4 anni inferiore rispetto a Trentino e Marche: nelle prime due regioni siamo cioè a livelli di Bulgaria e Romania, nelle altre della Svezia”. A certificarlo è Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità . L’occasione è un evento al Campus Bio-Medico di Roma, nel quale il presidente dell’Iss ha presentato una diagnosi sul sistema sanitario nazionale del paese. La diagnosi di Ricciardi ci conferma e ci inquieta per la conferma di quanto da questo giornale andiamo denunciando intorno al progetto de facto del “Dovete morire prima”. I dati presentati in anteprima da Ricciardi sono allarmanti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra mortalità e aspettativa di vita nel nostro Paese che da alcuni anni – quelli dell’austerity – ha visto un brusco cambiamento peggiorativo.
“I dati – ha affermato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – dimostrano che la responsabilità attribuita alle Regioni in materia di sanità ha finito per creare 21 sistemi diversi. Ci sono i virtuosi e quelli che hanno speso tanto e male, non offrendo adeguati servizi sanitari ai cittadini”. Il gap per Ricciardi è destinato ad aumentare, visto che “la pur maggior disponibilità di risorse prevista dalla Legge di stabilità non è in grado di tenere il passo della crescita dei bisogni di salute nel nostro Paese”. I dati dell’Osservatorio confermano che nel Meridione e più in generale nelle Regioni sottoposte ai piano di rientro, sia il personale sanitario che i finanziamenti scarseggiano. “Senza un intervento riequilibratore dello Stato centrale– afferma Ricciardi – per 34 milioni di cittadini italiani (più della metà della popolazione dunque) l’offerta sanitaria e le condizioni di salute sono destinati a peggiorare ulteriormente. Accentuando le differenze con il resto del Paese”. E questo sta portando verso quella che anche il presidente dell’Iss non esita a definire “una tempesta perfetta”.
In Regioni come Lazio e Puglia l’aspettativa di vita sta diminuendo mentre la spesa sanitaria resta stabile, al contrario delle Regioni settentrionali, dove a un contenimento delle spese ha fatto riscontro un aumento della stessa aspettativa di vita. Per Ricciardi è un problema di organizzazione dei servizi e non solo di scarsità delle risorse messe a disposizione per il sistema sanitario nazionale. Una tesi discutibile almeno su un punto: gli effetti materiali del combinato disposto tra aumento dell’età pensionabile e diminuzione degli standard sanitari. messi a disposizione dal sistema nazionale. Nè appare possibile omettere quanto rilevato pochi mesi fa dal Censis. Se infatti la spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dai cittadini italiani è arrivata ormai a 34,5 miliardi, sono saliti a 11 milioni nel 2016 i cittadini italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell’ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagarle di tasca propria. Sono diventati 2 milioni in più rispetto al 2012.
Dentro questa emergenza sullo stato di salute e la diminuzione delle aspettative di vita della popolazione italiana, pesano poi maledettamente le differenze sociali e geografiche. L’asimmetria e lo sviluppo disuguale del nostro paese evidenziano dati che lo stesso Ricciardi ha messo nero su bianco. Ad esempio gli screening oncologici. “Coprono la quasi totalità della popolazione in Lombardia ma appena il 30% dei residenti in Calabria. Moltiplichiamo questo per le diverse funzioni di assistenza e prevenzione sanitaria e avremo il capovolgimento ai danni del Sud e di parte del Centro di questi anni, dopo che per oltre un quarantennio il Paese aveva omogeneamente guadagnato in media 2 mesi di vita l’anno”. Il Sud del nostro Paese – ha detto Ricciardi – è paragonabile alle regioni dell’Est Europa e persino dell’Africa. “Oggi è più sicuro nascere a Tunisi rispetto ad alcuni ospedali calabresi o campani, dove si fanno cento parti all’anno quando l’Oms fissa in mille il numero ottimale perché una struttura sia considerata sicura. In Italia abbiamo fissato il tetto in 500, ma sotto questo numero i punti parto vanno chiusi”.
E’ ancora il Censis a ricordarci che per il 45% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è poi peggiorata negli ultimi due anni ( questo è il giudizio del 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. Il 52% degli italiani considera poi inadeguato il servizio sanitario della propria regione, e qui la percentuale schizza al 68,9% nel Meridione e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est). La lunghezza delle liste d’attesa infine è il paradigma – secondo l’indagine del Censis – delle difficoltà del servizio pubblico e il moltiplicatore della forza d’attrazione della sanità a pagamento. Una sanità sempre più a pagamento ma per la quale, come abbiamo visto, la gente non ha le risorse economiche per pagarsela.
Il risultato è che si muore di più e si muore prima, soprattutto nel Meridione e nelle regioni centrali “meridionalizzate” (è il caso di Roma e del Lazio). Si muore di più e prima soprattutto tra gli strati popolari più massacrati dalle misure antipopolari imposte dai diktat dell’Unione Europea e dal patto di stabilità interno. Una gabbia micidiale che sottrae risorse ai servizi sociali e li convoglia verso le crescenti spese militari, i sostegni alle banche e alle imprese, al pagamento degli interessi su un debito in mano a banche, assicurazioni, fondi di investimento. Spezzare questa gabbia non significa solo contrastare le crescenti e insopportabili disuguaglianze sociali, potrebbe diventare lotta per la sopravvivenza.
Stefano Porcari
17/11/2016 http://contropiano.org
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