Un lavoro da morire
Non è bastata l’atmosfera del Natale a placare il senso di rabbia e di indignazione di migliaia di giovani italiani dopo le recenti affermazioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, per cui se 100 mila giovani se ne sono andati dall’Italia è «perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Parole che indignano, feriscono e rimbombano nel vuoto lasciato esattamente un anno fa in casa di Luana Ricca, la giovane promessa della chirurgia italiana che, per motivi ancora da chiarire, il 29 dicembre del 2015 si è tolta la vita qualche mese dopo il suo rientro in Italia dalla Francia.
Laurea in medicina con 110 e lode a 24 anni, specializzazione in chirurgia generale a 30 con 70/70 e lode, stage oltre che in Francia, in Inghilterra e in Spagna, pubblicazioni sulle maggiori riviste mediche internazionali e quasi 2000 tra interventi chirurgici e trapianti al fegato nel centro d’eccellenza dell’ospedale Paul Brouss di Parigi. Luana però decide di tornare in Italia. Vuole stare vicino alla famiglia, il marito e il figlio che ha sei mesi. Dopo aver sondato il terreno, «mendicando in Italia per i reparti che fanno la chirurgia in cui mi sono specializzata», come lei stessa scriverà in una delle lettere di denuncia ritrovate nei suoi hard disk, si sente dire frasi del tipo: «Il deficit in Sanità, l’esubero dei medici, quelli che sono qui vorrebbero andare lì e tu invece vuoi tornare? Ma perché la Francia non ti piace? Mettiti in testa che se vuoi vivere sotto lo stesso tetto con tuo marito uno dei due deve rinunciare al lavoro».In quel reparto, Luana si sentiva sprecata: «Non poteva mettere in pratica neanche l’uno per cento delle sue competenze, quelle per cui aveva studiato da quando a 18 anni aveva lasciato il suo paese in provincia di Catania, San Giovanni La Punta» spiega il fratello Francesco che oggi sul gruppo Facebook Con e per Luana Ricca , 4000 iscritti tra cui tanti cervelli in fuga, scrive: «Caro Giuliano Poletti, ho meditato se scrivere ciò. La invito a conoscere la storia di Luana Ricca, faccia una ricerca. Lei, sì, si è tolta dai piedi, utilizzo le sue parole che mi indignano moltissimo! Ma l’ha fatto nella maniera più tragica. Le chiedo: e se fosse stato suo figlio a togliersi dai piedi, così? Il lavoro, in Italia, non paga. Lei ne è testimonianza! Delle sue scuse, Luana, non se ne fa niente. E nemmeno io… caro Giuliano Poletti».Luana aveva appena accettato un posto di dirigente medico vinto a seguito di concorso pubblico presso l’Asl 1 dell’Abruzzo. «Lei aveva fatto un concorso per chirurgo, ma non c’erano posti disponibili in quel reparto che Luana aveva scelto» racconta il marito, Alfredo Lucciola. Luana è assegnata al distaccamento di Sulmona: «Sbattuta lì, per fare semplici endoscopie. Ho molta paura, mi sento sola e a momenti in trappola. In Italia non c’è posto per me» scriverà in una delle sue lettere indirizzate al suo mentore, il professore Aldo Scarpa, un ricercatore di fama internazionale sul tumore al pancreas, di cui Luana si fidava. Lettere dai toni disincantati come quelle inviate al Presidente della Repubblica e a perfino a Bruno Vespa.
In quel reparto, Luana si sentiva sprecata: «Non poteva mettere in pratica neanche l’uno per cento delle sue competenze, quelle per cui aveva studiato da quando a 18 anni aveva lasciato il suo paese in provincia di Catania, San Giovanni La Punta» spiega il fratello Francesco che oggi sul gruppo Facebook Con e per Luana Ricca , 4000 iscritti tra cui tanti cervelli in fuga, scrive: «Caro Giuliano Poletti, ho meditato se scrivere ciò. La invito a conoscere la storia di Luana Ricca, faccia una ricerca. Lei, sì, si è tolta dai piedi, utilizzo le sue parole che mi indignano moltissimo! Ma l’ha fatto nella maniera più tragica. Le chiedo: e se fosse stato suo figlio a togliersi dai piedi, così? Il lavoro, in Italia, non paga. Lei ne è testimonianza! Delle sue scuse, Luana, non se ne fa niente. E nemmeno io… caro Giuliano Poletti».
Luana non si rassegnava, aveva tanti progetti. A dicembre dell’anno scorso era stata a Londra, alla Società dei medici italiani della Gran Bretagna. Aveva detto: «Nel nostro paese gli specializzandi sono costretti a passare carte, quando invece basterebbe un segretario, senza laurea». Luana stava completando anche un dottorato di ricerca gestito dalla Sapienza e dall’università Paris Sud. Non demordeva. «Sto accelerando su diversi lavori che vorrei pubblicare al più presto», scriveva al professore Scarpa. E faceva progetti anche per il suo bambino «Dopo 9 anni in Francia – spiegava ancora – sono rientrata in Italia per costruire finalmente la mia famiglia». Un anno dopo la sua morte, il professore di Medicina che Luana aveva conosciuto prima di intraprendere la sua carriera non riesce ancora a darsi una spiegazione. «Forse dovevo capire che c’era qualcosa che non andava, c’eravamo sentiti per gli auguri di Natale e le avevo detto di venirmi a trovare dopo le feste per tracciare un percorso insieme».
Sulla vicenda di Luana Ricca c’è tuttora un’inchiesta in corso della Procura dell’Aquila dopo l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dai familiari di Luana.
La direzione dell’Asl 1 dell’Abruzzo, all’indomani della morte di Luana, aveva respinto tutte le accuse. «Ci siamo adoperati sin da subito per valorizzare al meglio le capacità della dottoressa». Luana Ricca era stata ammessa al reparto epato-bilio-pancreatico «in via provvisoria» aveva confermato l’azienda sanitaria.
Ma è il 23 dicembre 2015, sei giorni prima di morire, Luana entra per la prima volta nella sala operatoria del San Salvatore dell’Aquila. «Non condivideva il tipo di strumentazioni utilizzate – racconta il marito – per lei erano antiquate rispetto a quelle utilizzate in Francia». Quel giorno, il paziente ebbe delle complicanze. «Lei espresse il suo parere. Le venne detto di stare al suo posto». Anche il giorno del suicidio Luana è in sala operatoria. Appena terminato l’intervento, alle 15, telefona al marito: «Dal tono della voce capì subito che c’era qualcosa che non andava, era molto delusa. Mi disse: appena torno a casa ti racconto tutto. Ma non ci siamo più visti. L’ho trovata impiccata in balcone». Sul tavolo del soggiorno è rimasto ancora il biglietto per l’Islanda, dove la famigliola doveva partire per le festività natalizie. Il fratello e il marito di Luana continuano a scorrere sul computer le ultime lettere.
La dottoressa Ricca scriveva: «Oggi penso che tutta quella fatica fatta e quella eccellenza maturata in Francia non sono servite a nulla. In Italia, il sacrificio e il merito, ahimè, non pagano. Nella mia stessa situazione ci sono altre centinaia di giovani e talentuosi medici chirurghi che ho incrociato in questi anni di esilio, costretti a scappare pure loro dal nostro bel paese. Bello solo se sei un turista». Ad ottobre, la Società italiana di chirurgia oncologica ha assegnato a una giovane chirurga italiana la prima edizione del premio Luana Ricca. A consegnarlo è stato il professore Daniel Azoulay, primario di Luana all’ospedale parigino.
Nel gruppo Facebook in memoria di Luana si incrocia oggi anche il volto di Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza italiana di Sulmona, morta nell’attentato terroristico di Berlino, in Germania «perché in Italia non trovava lavoro», come ha tuonato il vescovo Angelo Spina nel giorno dei funerali. Storie che hanno in comune un luogo, una grande periferia italiana, un distaccamento, in questo caso Sulmona, e un unico grande desiderio di potersi affermare nel proprio lavoro. Storie di chi come Luana Ricca non riuscirà mai più a togliersi dai piedi.
Alessandro Puglia
28/12/2016 http://ilmanifesto.info
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