Scommettiamo che avete visto anche voi un servizio sull’arresto per estorsione di due sindacalisti a Modena? Sapete che due giorni dopo l’accaduto si è dimostrato in gran parte falso?
“Chiedevano soldi per fermare picchetti, arrestati due sindacalisti”, “Arrestati in flagrante per estorsione due sindacalisti del SI Cobas”. Questi alcuni dei titoli di giornale il giorno dopo l’arresto di Aldo Milani, coordinatore nazionale del SI Cobas, avvenuto giovedì scorso. E la sera il redattore del Tg1 Marco Bariletti poteva gongolare nel “dimostrare” che Milani mentre“disquisiva di legalità alle assemblee” aveva chiesto per sé una tangente da 90.000 euro. Ma quello che pochi istanti dopo l’arresto veniva presentato come dato di fatto dalla procura e dalla stampa, paventando addirittura un sistema di estorsione generalizzato, non limitato al singolo caso della Levoni, si è dimostrato poche ore dopo in gran parte falso.
Il sindacalista che prende la tangente nel video che avete visto tutti? Non è un sindacalista, è Danilo Piccinini, professionista a libro paga del gruppo Levoni ed
appartenente a quel mondo delle cooperative che fornisce alle imprese manodopera flessibile ed a basso costo. Aldo Milani, invece,
una vita dedicata alla lotta e all’attività sindacale senza secondi fini, con eventuali transazioni economiche tra Piccinini e Levoni non ha nulla a che fare. Come ha potuto finalmente dire, una volta liberato dal carcere di Modena, accolto sabato pomeriggio da una marea solidale di lavoratori e militanti del SI Cobas (
qui le sue video dichiarazioni).
Ma allora perché questa prontezza da parte della procura e dei media nel diffondere una notizia che già così confezionata appare palesemente falsa? Perché nessuno scrupolo nel definire un “sistema finalizzato all’estorsione” un sindacato di base che negli ultimi 9 anni, attraverso gli scioperi e l’autorganizzazione dei lavoratori, è riuscito a
migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tanti operai, ripristinando il rispetto dei contratti collettivi, delle norme di sicurezza, ponendo un freno al semischiavismo praticato da cooperative in odor di mafia? La risposta è nella domanda: il SiCobas doveva essere diffamato proprio per quello che è, un sindacato che lotta e vince, spesso su questioni che oltre a riguardare la giustizia, riguardano anche la legalità che questure e procure si guardano bene di far rispettare quando colpisce gli interessi dei vari Levoni, Granarolo, Ikea… e delle altre aziende del settore.
Non è un caso che gli iscritti del SI Cobas, che i media ritraevano come vittime del “sistema di estorsione” di Milani e co., pedine manovrate per costringere i padroni ad elargire tangenti, siano scesi in
sciopero poche ore dopo l’arresto, ed abbiano accolto in centinaia il loro compagno fuori dal carcere di Modena sabato pomeriggio. La loro vita è mutata grazie alla lotta condotta nel SI Cobas: erano trattati da bestie, insultati dai kapo dei magazzini in cui si spezzano la schiena… ora hanno buste paga regolari e vedono rispettata la loro dignità. Pensano di essere
loro a dover giudicare i loro delegati, e non le procure e la polizia che finora si sono date tanto da fare per affossare le loro lotte, e riportarli al passato. In questi anni le hanno provate tutte: denunce, licenziamenti discriminatori, manganellate, agguati individuali, aggressioni con mazze ai picchetti… in una di queste un anno e mezzo fa all’SDA di Roma
un facchino rimase gravemente ferito da uomini della cooperativa. Qualche giorno fa sono arrivate le denunce della questura di Roma, ma non per gli aggressori, bensì per chi aveva organizzato il corteo di denuncia dell’accaduto, per manifestazione non autorizzata. È questa la polizia super-partes che indaga sul Si Cobas?
E allora la campagna diffamatoria trova una spiegazione: è solo l’
ennesimo tentativo di indebolire la lotta dei facchini. Ma c’è di più: è un attacco diffamatorio a tutta l’azione sindacale, all’iniziativa di chi non si rassegna e tra mille fatiche prova ad organizzarsi e far rispettare la propria dignità. Serve a darla vinta a chi dice: “vedete? sono tutti uguali, i sindacalisti sono
tutti venduti!”. È per questo che i media la fanno girare, senza alcuna cautela, in automatico: perché è uno di quegli argomenti su cui hanno l’ordine di intervenire in modo
smaccatamente di parte. Il messaggio che viene ripetuto allo sfinimento è “del sindacato i lavoratori non hanno più bisogno, che vadano
a trattare a tu per tu con il padrone” (come detto da Luigi Di Maio riguardo alla vertenza Almaviva, un’altra recente occasione per sparare a zero su dei delegati sindacali
che avevano fatto, per una volta, quel che gli chiedevano i lavoratori che rappresentavano). E i sindacati vanno allora sempre difesi? Tutt’altro! Il paradosso è che quello di cui veniva accusato Aldo Milani, cioè “tenere buoni i lavoratori” in cambio di decine di migliaia di euro, è proprio ciò che fanno – legalmente e pubblicamente – i dirigenti dei sindacati confederali. Ma va fatta una severa distinzione tra chi si vende sistematicamente e chi con coraggio e sacrificio di tanto del proprio tempo si impegna nell’attività sindacale. Sicuramente d’ora in poi sarà più chiaro a tutti che questa distinzione non potrà essere né la polizia ne la stampa a suggerircela – ormai, con tutte le bugie raccontate, sono squalificati – ma
dovremmo farla con la nostra testa!
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