Non si affitta(va) a “meridionali”

emigrazione italiana

Ultimata la lettura dell’articolo nel quale Chiara Affronte, sul blog di Lavoro&Salute, ha raccontato l’ennesimo episodio di razzismo verificatosi in quello che, una volta, era il capoluogo della regione più rossa d’Italia, sono stato assalito da una grande tristezza.

Sono trascorsi ben quarantacinque anni da quando, fresco di diploma superiore – alla ricerca di un posto di lavoro da metalmeccanico, in una delle numerose fonderie di Modena la “rossa” – subii lo stesso, oltraggioso, trattamento.

Tanti anni che non sono, evidentemente, serviti a nulla!

Infatti, se oggi Sandra-Vero – la giovane studentessa camerunense, cui una zotica venticinquenne bolognese ha negato l’affitto di una stanza solo in virtù della sua pelle nera – cozza contro la stessa ignoranza e l’identico razzismo cui, nel lontano ’72, fui vittima, solo perché meridionale (addirittura, “napoletano”), significa che nulla è cambiato.

Anche la regione che una volta – tanto tempo fa – veniva (da alcuni) considerata il modello cui tendere e, addirittura, il fiore all’occhiello del “comunismo di casa nostra”, dimostra, oggi come allora, che ci si sbagliava.

Personalmente, resto convinto che molti, forse troppi, nostri compatrioti, siano profondamente razzisti e xenofobi. I segnali sono sempre stati evidenti; sotto gli archi della “dotta”, tra le calle venete e nelle stesse regioni meridionali. Una colpa condivisa e una vergogna nazionale.

D’altra parte, il nostro è il Paese nel quale si pubblicò il “Manifesto della razza” e, più o meno contemporaneamente, si promulgarono le vergognose leggi razziali fasciste.

Il tutto in virtù del ridicolo presupposto e dall’inconsistente fondamento scientifico che il popolo italiano – straordinario mix tra longobardi, austro -ungarici, slavi, francesi, spagnoli, normanni e turchi (e dimentico altre etnie di “conquistatori” delle nostre terre e delle nostre donne) – potesse vantare il titolo di “razza” e l’appartenenza all’inconsistente gruppo delle c.d. “razze ariane”.

Ci sarebbe, in sostanza, di che ridere se ……. se dimenticassimo che fu il nostro Paese a generare il Fascismo cui, poi, si alimentarono il regime nazista e le altre due spietate dittature europee; la portoghese di Salazar e la spagnola di Franco. Senza dimenticare i discepoli più abili nel riproporre tutto il peggio del nostro fascismo: alcuni tra i più sanguinari regimi dell’America meridionale.

Il problema, però, è che c’è ben poco da ridere e molto da preoccuparsi quando fatti simili a quello di Bologna non rappresentano più (solo) isolati “localismi”, ma tendono – come la cronaca di tutti i giorni ci conferma – a rappresentare (ormai) una costante nei sentimenti nazionali della gente.

In verità, il dato appare di una semplicità incontrovertibile solo se si ha il coraggio di ammettere che, troppo spesso, tra le italiche genti – dalle Alpi fin quasi alle piramidi – permissivismo e lassismo vengono, costantemente, contrabbandati per tolleranza e la connivenza scambiata per solidarietà!

Al riguardo, personalmente, sono stufo di sentire filosofeggiare, ad esempio, su di una questione che appare troppo lampante perché sia ancora ignorata e/o sottovalutata: le palesi manifestazioni di razzismo negli stadi di calcio.

Esso si manifesta apertamente quando – in casi, oggettivamente, molto rari – un arbitro particolarmente sensibile ricorda che è in suo potere intervenire e, eventualmente, addirittura sospendere una partita nella quale, a danno di un calciatore di colore, si manifestino reiterati atteggiamenti razzisti. In casi del genere, i “buuu” e altre simili bestialità – a ogni suo tocco di palla – ne rappresentano solo l’epilogo più evidente.

Sistematicamente, però, il sindaco di turno e i c. d. “addetti ai lavori” si affrettano a precisare che: ”Si tratta di casi isolati”, “Quel modo di procedere non riflette i sentimenti della stragrande maggioranza dei nostri concittadini”, “Si tratta solo di qualche piccolo gruppo di provocatori”, “Sono successe cose che non dovrebbero mai capitare”, “Era una piccola minoranza, il calcio è sano”; e via di questo passo.

Quindi: condanna del gesto “isolato” – come da benevola prassi – in attesa che succeda di nuovo e tutti tesi a sottovalutare gli eventi e derubricare gli evidenti reati. Facendo finta, tra l’altro, di credere veramente che possa trattarsi di casi isolati e non, piuttosto, espressione di radicati sentimenti tra “gruppi” ben organizzati; a livello locale e nazionale.

In definitiva, alla giovane camerunense è successo oggi, purtroppo, quello che capitava a migliaia di meridionali quasi mezzo secolo fa. Il tempo è trascorso invano è già domani ……… sarà un altro giorno!

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del periodico Lavoro e Salute

5/2/2017

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