Aborto, il dramma è delle donne, i diritti sono dei medici

Sono tutti contro. Cei, Ordine dei medici, la stessa ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Tutti contro il bando di concorso indetto dalla Regione Lazio nel 2015 per assumere a tempo indeterminato due dirigenti medici della «disciplina Ostetricia e Ginecologia».

Medici «da destinare al settore Day Hospital e day Surgey per l’applicazione della Legge 194/1978». Tutti difendono il diritto dei medici di scegliere l’obiezione di coscienza, nessuno si preoccupa delle condizioni necessarie a garantire la libertà delle donne di praticare l’interruzione di gravidanza nelle strutture pubbliche.

È una specie di riflesso primordiale. Si parla di aborto e i diritti da garantire sono quelli dei medici. Non quelli delle donne. A testimonianza di una lotta che non si ferma mai, di una libertà conquistata che va difesa e rinnovata sempre.

Perché la libertà d’aborto rimane un punto controverso, fonte costante di tensione, basta vedere i provvedimenti del presidente Usa Donald Trump, che tagliano i fondi alle organizzazioni pro choice. E qui è il conflitto. Contro quella scelta che spetta solo alla donna. Una scelta difficile, dolorosa, ma che non può essere affidata e neppure condivisa, in ultima istanza, con nessuno. Questo dice la legge 194, che affida all’”autodeterminazione” il fondamento della libertà di scelta di ciascuna, oltre consulenti e anche oltre partner, coniugi, famiglia. La legge, come è noto, fu il risultato di un compromesso, di un incontro-scontro e raggiunta mediazione tra diverse culture politiche. Non solo quella cattolica e comunista, come fu per esempio per il diritto di famiglia, approvato qualche anno prima ma anche quella femminista. È dal femminismo che proviene quella parola, l’affermazione del principio “autodeterminazione”, che nel tempo è risultato impossibile da stravolgere e rovesciare.

L’obiezione di coscienza fu parte di quella mediazione. Quello che rese possibile l’approvazione della legge. E proprio l’obiezione è diventata il grimaldello per rendere l’aborto impraticabile, in molte regioni italiane. E non per autentiche convinzioni, ma per più prosaici motivi di carriera. Di fatto, chi pratica aborti, negli ospedali finisce in un circuito di serie B, da cui rischia di non uscire più. In alcune regioni, soprattutto al Sud, gli obiettori superano l’80 per cento dei medici, rendendo di fatto la legge inapplicabile.

È da questi problemi che il Lazio, e il presidente Zingaretti, hanno scelto una via d’uscita. In una regione dove in 10 strutture pubbliche su 31 non è possibile l’Ivg, proprio perché i medici sono tutti obiettori. Il bando lanciato richiede medici destinati ad applicare la legge 194. È incostituzionale, come si è azzardato a sostenere un presidente emerito della Consulta? L’obiezione di coscienza è un diritto, come dice la Cei? Basterebbe non presentarsi, come dice il buonsenso. È una necessità delle strutture pubbliche, e in primo luogo del governo, considerando che la legge 194 è una legge dello Stato, applicare le leggi e garantire i diritti di tutti. Dalla ministra Lorenzini ci si aspetterebbero azioni per l’applicazione in tutta Italia della legge, non il contrario.

Si grida allo scandalo perché il dispositivo rende possibile il licenziamento, almeno nei primi sei mesi, se i medici assunti si rivelassero obiettori. Ma principio per principio: perché un obiettore dovrebbe farsi assumere, nascondendo le sue scelte? Come fa un ente pubblico a garantire la libertà di scelta delle cittadine? È una domanda semplice, come lo è la risposta. È la libertà che si vuole negare. La libertà delle donne.

Bia Sarasini

https://ilmanifesto.it

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