A quel faccione burbero e dolce ancora cresce la barba.

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Che la società intera degli uomini, l’ecumène, non sia il regno della giustizia lo si sa da tanto tempo. Chi vuole interrogarsi su qualcosa di profondo e reale, da sempre, su questo s’interroga.
E per chi non si accontenta del fatalismo, la risposta non può che arrivare presto o tardi a delineare una palingenesi radicale, un’idea di rivoluzione.
Ma l’idea non basta.
Sul finire del XIX secolo l’idea rivoluzionaria si diffonde come fiamma su paglia: il privilegio minoritario che l’ingiustizia consente, teme davvero. Ed è la prima volta da sempre – un trauma: in Occidente, milioni di lavoratori e di cittadini si organizzano nei sindacati e nei partiti socialisti; c’è pensiero, c’è azione antagonista; a migliaia aderiscono ai movimenti anarchici o comunque anticapitalisti; l’Impero Russo diventerà di lì poco un’altra cosa – novembre 1917, grazie ai bolscevichi il primo esperimento (dopo il lampo della Comune di Parigi) di autogestione dello Stato da parte del proletariato, che si riprende la terra e sceglie subito la pace (di Brest-Litovsk); e su quell’esempio, mettendo in luce la contraddizione – diciamo pure il tradimento – di quanti tra i socialisti europei appoggiarono la follia nazionalista e imperialista della Grande Guerra, nascono e si diffondono ovunque i partiti comunisti veri e propri.
Le grandi nazioni sentono allora il fuoco della rivoluzione a un passo dai confini, e perfino sotto i piedi, con le occupazioni di fabbriche e terre e con la rivolta sociale che sembra poter riuscire. E il capitalismo, che si è già disteso su tutto il pianeta – divorandolo, e non può certo nutrirsi attaccando la Luna –, vive realmente un’ora buia come mai prima: la massa indistinta, la cui soggezione millenaria ha consentito l’edificazione del palazzo sui cui terrazzi una minoranza vive nel Sole, dice adesso con voce di gigante: ‘questo non è giusto, questo non sarà più!’
Il XX secolo dalla Grande Guerra, compresa, in avanti – non importa ciò che vi raccontano – non è che la reazione alla fiamma etica e politica della rivoluzione per la giustizia tra gli umani: fascismo, depressione, nazismo, stalinismo, guerra fredda, conformismo, riflusso, consumismo, società dello spettacolo, terrorismo, atomizzazione sociale, globalizzazione, finanziarizzazione, debiti indotti, Crisi. Tutto quanto, fino ai giorni nostri.
Ma chi l’accese la miccia, una così lunga traccia combustibile di liberazione e di emancipazione?
Se devo dire un uomo, uno soltanto: Karl Marx.
Morto oggi 14 marzo, nel 1883.
(Morì diciassette anni prima dell’inizio del secolo scorso, tanto a lui debitore in ogni senso; e oggi sono diciassette anni trascorsi dalla fine del medesimo. Concluderò questo pezzo cercando un senso a questa casuale simmetria.)

Non è giusta la schiavitù, non è giusta la miseria, non è giusta la predazione, non è giusta la minaccia, non è giusta l’insicurezza, non è giusta l’ignoranza, non è giusto l’isolamento, non è giusta la manipolazione, non è giusta la violenza, non è giusta la paura. Potete continuare da voi: di qualunque sostantivo lamentiate l’ingiustizia, siate certi che qualcun altro l’ha fatto già.
Ma il fatto è che sembra sia stato sempre così. Ripeto: l’ecumène, di suo, è ingiusto intrinsecamente.
Anche tralasciando le fasi realmente scimmiesche o protoumane della nostra avventura comune, diciamo quindi solo da quarantamila anni a questa parte – dal grande balzo in avanti dell’Homo Sapiens moderno che proprio allora cominciava a lasciar traccia della propria autoriflessione (graffiti rupestri, modellini manufatti, semplici monili) –, alcuni uomini per nascita avvantaggiati quanto a forza o intelligenza o coraggio o ferocia, hanno potuto favorevolmente gareggiare nella lotta contro le ristrettezze naturali e contro gli altri uomini, loro competitori, vincendo le prime (ove possibile) e soggiogando i secondi. Così cominciò.
E i figli di quel vantaggio lo consolidarono, perpetuando il dominio sui figli del primo svantaggio: generazione dopo generazione, scettro dopo bastone, ordine dopo tortura, palazzo dopo villaggio, dollaro dopo sesterzio, atomica dopo ariete, satellite dopo araldo, limousine dopo carrozza, bilancio dopo editto, vertice dopo codice – un secolo dopo l’altro, che noi contiamo oggi in millenni.
Così si è istituzionalizzato – il diseguale ingiusto.
A un certo punto però quella stessa capacità di pensiero autoriflessivo astratto – e strategico addirittura – che l’uomo ormai padroneggiava, e grazie alla cui asimmetrica distribuzione (anche) si dava il fatto che certi uomini (pochi) vivessero mentre certi altri (moltissimi) sopravvivevano a stento, ebbene da quella capacità scaturì un pensiero nuovo: il senso morale.
Ecco: come una sovrabbondanza di natura – come se chi ha le gambe per camminare e ha sempre e soltanto fatto quello, si ritrovasse un giorno i muscoli tanto forti da poter correre. E anzi – da non voler più fare altro che correre, e non poter più camminare.
Lato positivo: il senso morale aggiunge, in chi lo possiede, un vero e proprio senso – oltre alla vista e agli altri classici, e oltre all’intelligenza in tutte le sue declinazioni. Consente cioè una lettura della realtà, un’interpretazione di sé e dei propri simili e quindi l’elaborazione del da farsi ora e dopo, più sottili e più ampie insieme – con grande beneficio (teorico) dell’uomo morale tra i suoi prossimi. Lato negativo: poiché tale sovrabbondanza non si è registrata in tutti gli esseri umani in egual misura – e in verità gli uomini morali sono sempre stati, e tuttora è così, una minoranza sul totale (così come i grandi corridori sono la minoranza di tutti i camminanti) –, è ovvio che i modelli dell’umana convivenza siano stati creati e resi stabili piuttosto da e per chi non aveva questo senso in più.
E non è facile affatto correre, per quanto bene, in un angusto labirinto – dal che si deduce che il beneficio teorico dell’uomo morale si ribalta spessissimo in una concreta iattura. Una specie di ghetto.
Lo sappiamo bene noialtri uomini e donne di buona volontà e retto pensiero!
Ma torniamo a Marx, per stringere.
Dopo la maledizione/consolazione che le grandi religioni mondiali delegano all’ultraterreno, rispetto al problema dell’ingiustizia, dopo la mediazione normativa che le democrazie formali impongono ai Potenti della Terra, ecco che col socialismo scientifico gli uomini morali cominciarono a pensare che l’ingiustizia millenaria potesse essere sanata solo attaccando l’esistenza stessa della casta dei garantiti, depotenziandone i requisiti oggettivi: proprietà, ereditarietà, violenza.
Fu niente di meno che mettere in discussione, per la prima volta in senso concreto, il dato originario della divisione dell’Umanità tra i pochissimi che si perpetuano in una condizione di benessere e di libertà reale e le masse sterminate di sopravviventi. E fu lotta di masse, ma certo anche opera di singoli: dall’alba del materialismo storico, e poi nella costruzione delle strutture politiche e dei movimenti di liberazione, troviamo alcune delle migliori teste e delle più grandi anime della modernità – da Blanqui a Lenin a Luxemburg a Gramsci a Guevara a Lumumba a Ho Chi Minh a Davis.
L’intero XX secolo, sto dicendo, altro non è che il complicatissimo feedback di sistema alla sollecitazione inaudita della scalata al cielo da parte della porzione più consapevole della nostra Specie: il proletariato organizzato, da sempre suo malgrado e oscenamente fuori quadro.
E dunque: il 14 marzo 1883 muore Marx a Londra, oggi è il 14 marzo 2017, a metà strada esatta (a centro del secolo scorso) c’è il 14 marzo del 1950.
Per pura curiosità: è successo qualcosa di attinente al nostro tema proprio quel giorno, martedì allora come oggi?
La risposta è sì, né desta stupore alcuno per tutto quanto detto.
Da un quotidiano dell’epoca: “Nel corso di una manifestazione di protesta contro i licenziamenti degli operai della Breda, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Nerone Piccolo di 25 anni e Virgilio Scala di 33 e ferendo altri cinque lavoratori. Le maestranze di Venezia scendono subito in strada per una protesta spontanea: i parenti delle vittime recano gli indumenti degli operai uccisi, insanguinati e forati dalle pallottole. Rinvenuti sul luogo della sparatoria bossoli di armi automatiche di grosso calibro, per 1kg complessivo, di quelle in dotazione alle forze dell’ordine.”
Non fu giusto. Non lo è mai.

Noi vogliamo cambiare la Natura, tutto qui.
Essendo totalmente Natura noi stessi.

Paolo Andreozzi

14 marzo 2017

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