Francia/Europa. L’ascesa di Melenchon

Popolarità: Mélenchon diventa il personaggio politico preferito dai francesi

Un fantasma si aggira da alcuni giorni sulle presidenziali francesi: quello di Jean- Luc Melenchon.

Giornali e reti televisive lanciano l’allarme. Il quotidiano di destra “Le Figaro” dedica al “pericolo rosso” la prima pagina, “Nice Matin”, per due volte, produce l’equazione: voto a Melenchon eguale voto a Le Pen. Hollande esce dal silenzio elettorale per lanciare grida preoccupate contro l’eventuale ballottaggio, distruttivo per la Francia, tra estrema sinistra ed estrema destra.

In effetti, le presidenziali francesi di domenica 23 aprile (ballottaggio 7 maggio) presentano alcune novità rispetto alle precedenti:

  • crisi della quinta repubblica (coniata da De Gaulle tra il 1958 e il 1962) e richiesta di nuove regole e nuove istituzioni, con superamento del regime presidenziale
  • crisi del pluridecennale bipolarismo (destra e socialisti). E’ addirittura possibile che i due partiti siano esclusi dal secondo turno, con conseguente loro crisi frontale
  • inedita incertezza, segnata dai sondaggi, sui risultati. Addirittura quattro candidat* potrebbero andare al ballottaggio
  • possibilità, data la frammentazione e la crisi dei maggiori partiti, che il prossimo presidente non abbia una maggioranza parlamentare, con conseguente instabilità
  • difficile rapporto con l’Unione europea. La più parte de* candidat* parla di uscita (Frexit) o comunque di ridiscussione dei parametri di adesione.

Nel 2012, Hollande vince le elezioni contro Sarkozy proponendo una politica opposta alla grande finanza, impegnandosi a difendere la siderurgia francese, a rinegoziare il patto di stabilità europeo (avrebbe avuto sostegni “trasversali”), di ridurre la disoccupazione, di sviluppare politiche ecologiste, a cominciare dalla progressiva riduzione del nucleare.

In realtà, nomina consigliere all’Eliseo e poi ministro delle finanze un ex banchiere (Macron) di Rotschild, finanzia l’industria in cambio di posti di lavoro che non arrivano, accetta la chiusura del la siderurgia, decide lo stato di emergenza in seguito agli attentati, fa votare con meccanismi autoritari la Loi travail, il jobs act francese che attacca il contratto nazionale e produce una forte opposizione non solamente sindacale (scioperi nelle scuole, le Nuits débout).

Il partito socialista nel 2012 ha la maggioranza all’Assemblea nazionale, governa in tutte le regioni (tranne una), nella grandissima maggioranza dei dipartimenti (province) e dei comuni.

Da allora è il tracollo che lo vede sconfitto da destra ed estrema destra alle europee, alle comunali, alle provinciali, alle regionali.  Al contrario, il Fronte nazionale, raccolto da Marine Le Pen in pessime condizioni  e dato per finito dagli “esperti”, sfonda: 17% alle presidenziali e alle politiche, 22% alle europee, sino al 28% (primo partito a livello nazionale) alle regionali, per quanto sconfitto al ballottaggio da una alleanza repubblicana che Le Pen denuncia come alleanza del potere contro l’unica alternativa.

Del governo mai hanno fatto parte comunisti e Front de gauche, ma a seguito di progressive “virate moderate” se ne vanno gli ecologisti (con inevitabili scissioni tra “governisti” e non, e crollo delle percentuali elettorali).

La sinistra (11,4% di Melenchon alle presidenziali, 6,5% del Front de gauche alle politiche) non riesce a raccogliere lo scontento e la delusione. Pesano differenze, idee diverse sulla natura del Front de gauche, autentica novità alle presidenziali, ma poi in stallo.

Per le presidenziali, il Partito comunista, primo in Francia dal 1945 al gaullismo, in caduta libera di voti ed iscritti negli ultimi decenni, propone una candidatura unica di sinistra, che deve nascere da una grande consultazione popolare e dall’elaborazione di un programma comune. Ad inizio 2016, vi è la candidatura di Melenchon, non più per il Front de gauche, ma per la France insoumise, quindi non per un soggetto partitico o interpartitico, ma per una realtà che deve sommare le lotte, le istanze, le proteste sociali al di là del tradizionale conflitto sinistra/destra.

Inizia la stagione delle primarie che si dimostrano tutte conflittuali e generatrici di sorprese:

  • quella degli ecologisti vede la leader nazionale ed ex ministra, Cecile Duflot, sconfitta (addirittura terza).
  • Quella della destra vede eliminato Sarkozy e vincitore, a sorpresa, Fillon che propone un forte ridimensionamento dello stato sociale (riduzione della copertura sanitaria e del numero di funzionari pubblici) e un ritorno a valori tradizionali, di una Francia rurale e cattolica contro l’islamismo e leggi “laiciste”. Per la prima volta, nella Francia dove vige la separazione Stato/Chiese, il candidato si presenta come cattolico, svolge iniziative lungo il cammino di Santiago de Compostela, ha l’appoggio delle organizzazioni che hanno organizzato proteste contro il matrimonio gay (soprattutto per l’adozione).
  • Quella socialista, organizzata per incoronare Hollande, vede il presidente uscente riconoscere oggettivamente il fallimento del proprio mandato e non presentarsi (è la prima volta nella storia francese). Il delfino Valls, che tanto ha brigato per la non presentazione di Hollande, è, a sorpresa, sconfitto da Benoit Hamon, della sinistra interna (frondeur), critico verso le politiche governative che vince su idee innovative (reddito universale, ecologia…).

In sintesi, tutte le primarie dicono, che dopo lo scacco delle presidenze Sarkozy e Hollande, vi è bisogno di rinnovamento e che i vecchi leaders sono impresentabili.

Altro segno di questo sconvolgimento è la candidatura di Macron, 39 anni, uscito dalle “Grandi scuole” francesi, pupillo di Hollande, che “uccide il padre”, lascia il governo e fonda un proprio movimento En marche. Non di destra né di sinistra, liberista in economia, aperto sulle questioni etiche, raccoglie sostegno di parte dei socialisti, contrari al frondeur Hamon, della destra (molti ex ministri) preoccupata degli eccessi di Fillon, del centro di Bayrou. Con grandi giochi di prestigio, riesce ad evitare scelte troppo nette, si presenta come “nuovo”, innovativo, capace di rinnovare la Francia, dopo anni di stallo dovuti a “veti incrociati”.

Da subito, i sondaggi gli danno alte percentuali e, quindi, lo prevedono al ballottaggio contro Le Pen, quando Fillon, il moralizzatore che chiede sacrifici per raddrizzare il paese, è coinvolto in scandali pesanti  (impieghi fittizi a familiari, accettazione di regali da personaggi chiacchierati…).

Nelle ultime tre settimane i giochi si complicano. I sondaggi che hanno previsto come certa la finalissima Macron- Le Pen vedono calare i due favoriti e crescere Fillon (si parla di un voto nascosto che le rilevazioni non coglierebbero) e Melenchon. Crolla, invece, giorno dopo giorno, Hamon, abbandonato da gran parte del suo stesso partito e vinto dalla contraddizione tra critica e continuità del governo uscente.

Sulla crescita di Melenchon incidono vari fattori:

  • lo speculare crollo del candidato socialista
  • la eccezionale capacità mediatica, evidenziata dai due dibattiti televisivi e dai comizi di massa, in cui sono evidenti il rapporto diretto oratore/folla e il linguaggio al tempo stesso popolare e ricercato (molte le citazioni letterarie e filosofiche)
  • la modificazione di immagine rispetto a quella del 2012, meno dura, più dialogante, meno collocata all’estrema sinistra, più “universale”
  • l’uso di mezzi tecnologici innovativi dalle reti informatiche, siti internet, blog… a quelle televisive dove i suoi interventi durano ore, da comizi trasmessi contemporaneamente in varie città a quelli fatti da un battello (la peniche insoumise) che ha risalito la Senna.

Il Front de gauche era stato pensato come organizzazione senza muri, sul modello della Linke o di Syriza,ma è oggi del tutto abbandonato. La France insoumise non è un partito, non ha tessere, non ha statuto né istanze rappresentative. Il termine sinistra non è più usato e militanti di partito temono la dissoluzione e l’atomizzazione all’interno di un movimento, tanto più che questo intende presentare propri candidati ovunque alle prossime elezioni politiche, senza alcuna mediazione con i partiti esistenti (ad iniziare dal PCF).

Il programma di Melanchon intreccia questioni sociali, ambientali, internazionali, istituzionali:

  • fine della quinta repubblica, con uscita dal presidenzialismo. Nuovi poteri del parlamento e nuova organizzazione territoriale
  • ridiscussione dei trattati europei. La Francia è il quinto paese del mondo, secondo in Europa e può quindi incidere ben più di quanto abbia potuto la piccola Grecia. Il piano B (uscita) è stato sostenuto per mesi, ma negato in una intervista di martedì 18 aprile. Non a caso, Le Pen ha definito Melanchon lo Tsipras francese, incapace, cioè, di rompere con Bruxelles.
  • Difesa dell’orario di lavoro a 35 ore, in prospettiva verso le 32 settimanali, aumento del salario minimo, dell’indennità di disoccupazione, delle pensioni.
  • Lotta contro l’evasione fiscale (in Francia 60 miliardi all’anno, in Italia 130), riduzione del potere della grande finanza, delle banche, dei grandi capitali (il più ricco francese ha un patrimonio di 40 miliardi di euro). Si torna a prevedere alcune nazionalizzazioni (banca BNP Paribas, Societè generale…) dopo le privatizzazioni degli ultimi decenni.
  • Politica di pace nel mondo. Nel grande comizio di Marsiglia, Melenchon si è presentato come il candidato della pace, davanti ai venti di guerra. Non mancano le polemiche, su sue contraddizioni nel passato (dalla guerra in Jugoslavia alla politica francese in Africa).
  • Modificazioni sulla questione della migrazione (da qui la polemica con Olivier Besancenot del Nuovo partito anticapitalista). Nel 2012, al comizio di Marsiglia, il candidato aveva parlato di meticciato, di Francia che deve accogliere, di totale apertura. I sondaggi lo avevano visto scendere immediatamente dal 16% all’11%. Il tema è oggi affrontato con molta moderazione, nel timore di perdere l’elettorato popolare, come accaduto nelle banlieux rosse passate massicciamente al Fronte nazionale.
  • Grande politica di investimenti pubblici e di aumento di salari e pensioni per rilanciare il potere di acquisto, il consumo. E’ una terapia choc, di chiara impronta keynesiana, che dovrebbe essere il volano del rilancio dell’economia.
  • Difesa dell’industria e della produzione locale contro la concorrenza internazionale e le delocalizzazioni.
  • Politica ambientale. Riduzione del nucleare con incremento delle fonti di energia rinnovabile. Piano di urgenza per clima e qulità dell’aria. Riduzione del diesel. Transizione energetica con diritto a energia ed acqua.
  • Sviluppo dell’agricoltura biologica, contro l’agricoltura industriale e gli allevamenti intensivi. Nuovo modello agricolo. Difesa delle risorse naturali e della biodiversità.
  • Difesa della laicità, mai come oggi attaccata e dei diritti delle donne, delle minoranze…
  • Abbandono delle trattative su TTIP, CETA…
  • Scuola laica e gratuita ed intervento sulle aree sfavorite (quartieri poveri, dipartimenti d’oltre mare).

Credo improbabile l’accesso di Melenchon al ballottaggio. In ogni caso il suo incremento, anche se tutto a spese del tracollo dei socialisti (nel 2012 Hollande ebbe il 31%, per Hamon si prevede il 7%) dimostra che, pur con contraddizioni, una proposta netta riesce a raccogliere consenso e soprattutto a contrastare l’ ascesa della destra su temi sociali e identitari e a metterne in luce le falsità (vedi il testo di Pierre LAURENT, segretario del PCF, Front national:l’imposture, droite: le danger, Parigi 2017). Una probabile affermazione di politiche liberiste, più spinte (Fillon), più temperate (Macron) rischia di far ulteriormente crescere la spinta della destra estrema, anche nelle sue peggiori varianti.

Mai la Francia, anche a causa degli attentati, è parsa così frantumata, fragilizzata, in preda a spinte identitarie (On est chez nous è il nostro Padroni a casa nostra), quindi così soggetta a pericoli nella difesa della democrazia e dei diritti sociali (quelli definiti dal Consiglio nazionale della resistenza nel 1945).

Ancor più preoccupante è il quadro per le politiche (11- 18 giugno) anche a causa del sistema elettorale (collegi uninominali a doppio turno). Una dispersione delle candidature di sinistra rischia di non darle rappresentanza. Un risultato positivo del candidato dovrebbe tradursi in organizzazione e strutture unitarie su luoghi di lavoro, scuole, territorio. Il rischio è un risultato personale che non diventi patrimonio collettivo.

Questa breve sintesi non è il luogo per riprodurre il nuovo tormentone sul populismo di sinistra. Ricordo che Marco TARCHI, per anni leader dell’estrema destra italiana e oggi attento studioso del populismo, colloca da tempo (con mia primitiva sorpresa) Melenchon nella categoria del populismo, per la sostituzione del concetto popolo a quello di classe.

E’ chiaro che le vicende francesi parlino all’Europa tutta.

Sergio Dalmasso

Nizza, 19 marzo 2017

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