I giovani giustificano la corruzione in azienda: è ammissibile per fare soldi e carriera

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La corruzione è un fenomeno diffuso per Il 56% dei lavoratori italiani contro il 39% della media mondiale, ma quello che più colpisce è che sono proprio i giovani a non aver paura della corruzione. Non in Italia, ma nel mondo. Lo rivela “EY Fraud Survey”, un rapporto biennale curato da Ernst & Young, una delle quattro grandi società di revisione contabile e consulenza a livello mondiale. Lo studio si concentra sull’attività di imprese private operanti in 41 Paesi.

Le aziende come organismi

Il report fa riflettere sull’importanza dell’anticorruzione nelle aziende: essendo organizzazioni composte da uomini è importante che al loro interno sia sviluppata, e venga promossa, una scala di valori. Oggi come oggi le multinazionali danno importanza alla responsabilità sociale e ambientale della propria impresa: con la loro attività non devono arrecare danno all’ambiente in cui operano e cercare di avere effetti positivi su tutte le persone con cui operano. Questa cultura, sempre più attenta alla trasparenza e alla moralità dell’impresa, in un modo o nell’altro determinerà il modus operandi dei lavoratori e dei manager dell’impresa. Tuttavia tale cultura ha davanti a sé dei nemici.

L’incertezza politica e economica mondiale

I Paesi emergenti non crescono più come una volta, ma ormai ospitano le grandi aziende e rimangono un loro obiettivo. In economie non più in crescita come quelle dei BRICS degli ultimi anni, le multinazionali stanno incontrando dei problemi nel portare a termine operazioni profittevoli. In più anche l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti di America rappresenta un motivo di incertezza e al contempo una sfida per chi vuole fare business. Lo scoglio maggiore sembra quello di mantenere la cultura e la moralità aziendale intatte nel momento in cui i presupposti sui quali poggia vengono meno.

I valori dei Millenials

Cosa ne pensano i giovani, protagonisti dell’imminente futuro? Secondo il rapporto gli intervistati di età compresa tra i 25 e i 34 anni di età (il 32% del campione) hanno presentato una attitudine più rilassata nei confronti di comportamenti poco etici. Giovane non è dunque sinonimo di purezza. Il 73% dice che comportamenti non etici sono giustificati per mantenere l’azienda competitiva, un risultato di gran lunga superiore al 49% rilevato tra gli intervistati di età compresa tra i 45 e i 54 anni. La cosiddetta generazione Y o Millenials non solo guarda con tolleranza ai comportamenti non corretti delle proprie aziende, ma è convinta (per il 68%) che il management della propria azienda sia disposto a intraprendere azioni non propriamente lecite per supportare l’attività di business. Non a caso, tra i giovani, il 25% sarebbe disposto a pagare bustarelle per vincere o mantenere in vita un’attività di impresa. E non è tutto: nel 49% dei casi i giovani che i propri colleghi siano pronti a comportamenti illeciti pur di supportare la propria carriera all’interno dell’azienda.

Dove sono i whistleblower

Il report analizza anche un altro tema chiave per l’anticorruzione in azienda: il ruolo dei whistleblower, ovvero chi segnala attività illecite sul posto di lavoro. La loro utilità è riconosciuta da tutti ma i dipendenti delle grandi aziende non sembrano così intenzionati a denunciare comportamenti non corretti. Enrst & Young tenta di identificare i motivi di questa propensione: in primo luogo solo il 21% è a conoscenza della possibilità di denunciare in maniera sicura e anonima comportamenti illeciti dei propri colleghi. In secondo luogo, il 48% degli intervistati che sono a conoscenza di comportamenti non cristallini ha ricevuto pressioni per non denunciare il fatto. Così la maggior parte degli intervistati (56%) ha preferito non farlo.

Il caso italiano

L’Italia si trova di fronte a delle sfide come altri Paesi del mondo. La digitalizzazione dell’attività di impresa espone le imprese e la collettività a nuovi tipi di minacce, così come la crescente globalizzazione porta a interlocuzioni con Paesi in cui la cultura e le leggi sono differenti rispetto a quelle italiane. Il nostro Paese però reagisce a rilento e con mezzi peculiari e talvolta laschi. In particolare il sondaggio evidenzia che più del 50% del campione intervistato in Italia non conduce analisi di rischio specifico di corruzione quando si effettuano investimenti in paesi terzi. “In Italia, invece, la regolamentazione delle pratiche anticorruzione – spiega in una nota Fabrizio Santaloia, partner di Ernst & Young Italia – si sta concentrando sull’analisi delle terze parti”. Per il 96% degli intervistati italiani, infatti, per contrastare opportunamente la corruzione è necessario conoscere la proprietà effettiva delle aziende con le quali si conducono affari. Nel contesto internazionale “la cooperazione per combattere frodi e corruzione si sta sempre più rafforzando – prosegue Santaloia – ma la percezione di una diffusione delle irregolarità nelle aziende rimane elevata e le organizzazioni continuano ad essere esposte a rischi rilevanti”.

Le soluzioni

Le soluzioni ci sono. Secondo il rapporto di Ernst & Young bisognerebbe adottare moderni mezzi di indagine – come la forensic analysis nelle comunicazioni – insieme a mezzi tradizionali come ladenuncia anonima interna. Riparte il futuro è in campo per consentire ai whistleblower di denunciare senza rischiare lo stravolgimento della propria vita e la fine della propria carriera. Anche una big mondiale come Ernst & Young è sicura che i canali interni debbano essere sfruttati meglio. Secondo il loro sondaggio la fedeltà all’azienda e ai colleghi sono un ostacolo alla riduzione di frodi e atti corruttivi, è importante dunque non rendere ancora più improbabile l’utilizzo di questo canale di denuncia.

Edoardo Garibaldi

28/4/2017 www.riparteilfuturo.it

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