La Sanità non è per tutti: 12 milioni rinunciano alle cure
Salari e pensioni da fame, precarietà e lavoro povero spingono gli italiani a rinunciare ai controlli sanitari, alle cure o a indebitarsi per affrontare esami e operazioni talvolta vitali. Secondo il rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute, presentato ieri al «Welfare Day 2017», nel 2016 dodici milioni di italiani hanno rinunciato, o rinviato, almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche: 1,2 milioni in più rispetto al 2015. Sono 7,8 milioni i cittadini che hanno usato i risparmi o hanno contratto un debito con le banche o parenti per affrontare una cura non rinviabile. Quasi 2 milioni sono entrati nell’area della povertà.
I TAGLI e le «razionalizzazioni» della spesa sanitaria avvenuti negli ultimi dieci anni, in coincidenza con le politiche di austerità, hanno ridotto la copertura pubblica e aumentato il ricorso alla sanità privata. Questo settore assorbe ormai 35,2 miliardi di euro con un aumento record del 4,2% rispetto al triennio 2013-2016. Per la Corte dei Conti l’Italia ha superato il record europeo di riduzione del valore pro-capite della spesa sanitaria: 1,1% all’anno rispetto al Pil in meno dal 2009 al 2015. In Francia tale spesa è invece aumentata dello 0,8% all’anno, in Germania del 2%. La riduzione della spesa sanitaria fa respirare le casse di tante regioni ed è stata ottenuta a spese dei cittadini. I più danneggiati sono quelli del Sud e in generale coloro che hanno redditi modesti. La spesa sanitaria privata si abbatte maggiormente su chi ha meno, è più debole e vive in territori dove le strutture sono fatiscenti o irraggiungibili.
SOLO IL 20% della popolazione riesce a tutelarsi con una polizza sanitaria integrativa perché è prevista dal contratto di lavoro o da un accordo specifico con la propria azienda. Tutti gli altri devono pagare. Quando hanno i soldi. Questa situazione spinge chi ne ha bisogno a fare ricorso alla sanità privata. I tempi di attesa per le prestazioni si sono allungati a dismisura e si preferisce pagarle a tariffa intera. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni, 60 in più rispetto al 2014, a Sud si arriva a 142 giorni. L’attesa media per una colonscopia è di 93 giorni, sei in più rispetto al 2014. Per una risonanza magnetica ci vogliono 80 giorni, a Sud 111. Per una visita ginecologica bisogna attendere 47 giorni, 8 in più rispetto al 2014.
SONO NOVE le cure più difficili da ottenere: tra queste ci sono le visite specialistiche, l’acquisto dei farmaci e il pagamento dei ticket, accertamenti diagnostici, le cure dentistiche, lenti e occhiali da vista, la riabilitazione. A questo si aggiunge il precariato dei medici. Ieri Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano ha scritto una lettera all’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, per denunciare una «piaga» che contagia «anche le grandi strutture». «Questi colleghi – scrive Rossi – hanno la prospettiva di trovarsi a una certa età senza nessuna stabilità sociale ed economica, in una condizione potenzialmente incompatibile con il mantenimento di un minimo decoro professionale ed umano». Gallera ha risposto che il precariato medico a Milano è sotto controllo e, rispetto ad altre regioni, è inferiore.
TRA DIECI ANNI, a investimenti invariati e in mancanza di una politica per la sanità pubblica, la situazione sarà senz’altro peggiore. Il rapporto fa una previsione : al servizio sanitario nazionale mancheranno dai 20 ai 30 miliardi di euro per garantire il mantenimento degli attuali standard assistenziali. La soluzione dei promotori del rapporto è la costruzione di un secondo pilastro sanitario basato su polizze sanitarie integrative. Il ragionamento è questo: visto che la sanità pubblica non funziona, l’universalismo delle cure è di facciata e la crisi dei redditi è devastante, non si punta a rifinanziare il sistema e renderlo più giusto, ma a privatizzarlo con strumenti assicurativi.
Roberto Ciccarelli
8/6/2017 https://ilmanifesto.it
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