Il paese reale: sei milioni di lavoratori senza contratto da anni

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Per l’Istat la classe operaia quasi non esiste più. Eppure sono quasi sei milioni di lavoratori in attesa di rinnovo del contratto di lavoro: dagli statali agli edili passando per la grande distribuzione. Settore pubblico e settore privato subiscono nella stessa misura un attacco senza precedenti alla centralità del contratto nazionale. Basta guardare ai periodi di vacanza che nel settore privato arrivano a due anni e mezzo e in quello pubblico ai sette anni. Una giungla di accordi nazionali firmati da piccole organizzazioni completano il quadro, piuttosto sconfortante.

Negli ultimi anni, tra la lunga crisi e questo embrione di ripresa, la contrattazione collettiva italiana, basata sulla centralità dell’ accordo nazionale, ha mostrato tutti i suoi limiti. Qualche grande settore ha provato a metterci una pezza: la chimica dirottando risorse sulle intese di secondo livello, i metalmeccanici puntando sul welfare.

Questo però non corrisponde a soldi freschi in busta paga. E di conseguenza i consumi ristagnano. Caso emblematico recentissimo, quello del contratto dei metalmeccanici, deve l’aumento reale calcolato per un lavoratore metalmeccanico inquadrato al quinto livello secondo l’indice #Ipca è stato di 83 centesimi. Questo indice calcolato dall’istituto centrale di statistica determina l’aumento al consumo dei prezzi, al netto dei prodotti energetici importati. In base a tale parametro vengono di conseguenza determinati gli aumenti mensili che i lavoratori si troveranno in busta paga – rapportati al costo della vita – nei vari settori contrattuali. Questo indice a maggio indica che il costo della vita è aumentato di un +0,1% e di conseguenza il conteggio dell’aumento da elargire in busta paga ai lavoratori è quello sopra riportato. Inutile dire che l’indice Ipca non corrisponde per nulla all’inflazione reale né tantomeno all’inflazione nel carrello della spesa.

Ma in attesa che Confindustria e sindacati si risiedano al tavolo del “Patto per la fabbrica”, rilanciato sabato dal leader degli industriali Boccia, ancora manca una direzione alternativa e convincente. Che cosa potrà mai apportare il patto di fabbrica se on uno stanco reciproco riconoscimento politico delle organizzazioni che lo firmeranno?
Qualcuno dovrebbe ricordarsi infatti che gli accordi decentrati, che secondo Bankitalia «favorirebbero un allineamento tra salari e produttività», non decollano, nonostante le agevolazioni introdotte dal governo Renzi. Nel 2016 solo il 20% delle aziende sopra i venti dipendenti aveva un integrativo. Stesso dato del 2015, prima degli incentivi. Così l’anno scorso le buste paga nel settore privato sono cresciute dello 0,8%, ferme per quattro dipendenti su dieci….”.
Ultimamente il tema è stato sottolinea anche dalla Ces, la confederazione europea dei sindacati, che sulla carta rappresenta circa 45 milioni di lavoratori: “I salari europei nell’ultimo decennio sono crollati e la domanda interna si e’ depressa. L’unica soluzione per aumentare i salari e’ estendere i contratti collettivi nazionali di lavoro. Attualmente solo in 9 Paesi della Ue la maggioranza dei lavoratori e’ coperta da contratti collettivi nazionali”, ha detto il segretario generale Luca Visentini.

Fabio Sebastiani

13/6/2017 www.controlacrisi.org

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