«Il Ttip? La fine della democrazia». Agricoltura e commercio. Intervista a Vandana Shiva, l’attivista ecologista indiana, sotto attacco per le posizioni anti Ogm. > E’ sul fronte agroalimentare il neoliberismo in crisi gioca la sua ultima partita. Se fosse altrimenti, si capirebbero meno le logiche di quell’accordo transatlantico che costringe ad acrobazie di pronuncia: il Ttip. In gioco sono i brevetti su cibi e sementi, la possibilità di sfondare il muro protezionista europeo e introdurre finalmente, senza obbligo di etichetta, alimenti geneticamente modificati o semplicemente imbottiti di ormoni e antibiotici, nonché l’abolizione delle denominazioni geografiche. Insomma, come ha spiegato bene una puntata di Report qualche giorno fa, si tratta di dividere i consumatori in due: da una parte la massa di chi mangia prodotti a basso costo e altrettanto carente qualità, dall’altra un’élite attenta ai cibi biologici ed ecosostenibili
L’hanno accusata di parlare di Ogm come fossero il diavolo, e di non avere i titoli per poter sostenere, da un punto di vista scientifico, la dannosità di quella biotecnologia. Facciamo chiarezza: lei è contraria gli Ogm principalmente perché li reputa genericamente nocivi, oppure perché diffida delle multinazionali che attualmente li producono e ne finanziano la ricerca, oppure ancora perché è profondamente contraria alla brevettibilità dei semi?
Sono critica contro gli Ogm perché essi sono parte integrante del sistema dell’agroindustria e noi già sappiamo che quello è un sistema nocivo. Sappiamo già che gli agenti chimici sono un problema mondiale per la salute: il disastro di Bophal è stato, 30 anni fa, una chiamata d’allarme per tutta l’umanità, per dirci che quella era una strada nociva. E quella stessa industria, responsabile allora di quel disastro, oggi ci propone gli Ogm. Io nel 1987 ho partecipato a un incontro in cui dicevano serenamente che la ragione per cui bisognava introdurre gli Ogm era la possibilità di brevettare i semi. Allora lo dicevano pacificamente, oggi adducono altre ragioni e parlano di necessità di sfamare il mondo. Ma noi sappiamo che il cibo per sfamare il mondo viene dalla terra e dalla presenza di terreno fertile, dal lavoro dei piccoli agricoltori. Ce lo dicono i dati delle Nazioni unite, quelli che noi stessi del movimento Navdanya abbiamo raccolto, e quelli dell’Iaastd (la Valutazione internazionale delle conoscenze agricole, scientifiche e tecnologiche per lo sviluppo) che nel 2002 con un pool di 400 scienziati riuniti da tutte le agenzie Onu arrivò a questa conclusione: si può sfamare anche più dell’intero pianeta con il ricorso ad agricolture di piccola scala non intensive. E non c’è alcun bisogno degli Ogm per farlo. Quindi la questione dei brevetti e quella della sicurezza non sono separabili.
Può anche non convincere del tutto, l’indiana Vandana Shiva, guru dell’ambientalismo mondiale e fiera oppositrice della globalizzazione liberista, che in queste settimane gira l’Italia e il sud Europa come portavoce del movimento Navdanya International (nove semi) da lei stessa fondato nel lontano 1987, per dare senso a quel «Nutrire il pianeta, energia per la vita» che rischia di rimanere lo slogan vuoto dell’Expo 2015. Si può non rimanere sensibili al carisma che ne fa una star dell’ecologismo globale e non condividere le sue posizioni estreme sugli Ogm, ma forse non a caso Shiva ha subito recentemente più che in passato violenti attacchi non solo dalle multinazionali che detengono i brevetti dei semi modificati, ma anche da autorevolissime testate come il «New Yorker».Dunque secondo lei il mondo non ha bisogno di Ogm, inutile stabilire se fanno male o meno alla salute?
Guardi, l’incoerenza del modello Ogm e il fatto che sia totalmente non scientifico sono due aspetti che emergono dagli argomenti usati per la propaganda. Perché quando si tratta di stabilire la proprietà intellettuale dei semi, allora gli Ogm vengono rivendicati come un’invenzione, qualcosa di totalmente nuovo. Mentre quando si tratta la sicurezza alimentare di quel seme, allora si dice che stiamo parlando di prodotti naturali, che non si discostano molto da ciò che troviamo in natura. Ecco, questo meccanismo lo chiamo schizofrenia ontologica.
In Italia la sperimentazione è vietata, lei è contraria alla ricerca?
So che in Italia stanno presentando la questione come se quando si parla di biosicurezza e di principio di precauzione allora si sta bloccando la ricerca. Ma non è così, quello che viene bloccato è la commercializzazione irresponsabile di prodotti. Le leggi dell’Italia, dell’Europa e dell’India dicono che non si possono fare ricerche a campo aperto ma questo non vuol dire bloccare la ricerca in laboratorio. Le leggi sulla sicurezza non ostacolano in alcun modo la ricerca e chiunque dica il contrario è parte della commercializzazione degli Ogm, anche se lavora in una università pubblica.
Lei è stata scelta come «ambassador» dell’Expo 2015. Come pensa di sfruttare questa opportunità, quale messaggio vorrà lanciare da quel palcoscenico?
Quando è stata scelta l’Italia come sede dell’Expo è stato subito chiaro che si sarebbe trattato il tema di come sfamare il mondo, a partire dalla conoscenze scientifiche ma anche a partire da quella che è l’esperienza italiana di produzione alimentare sostenibile, attraverso la diversità, e di buona qualità. L’Italia ha dato al mondo occidentale al tempo stesso sostenibilità, gusto, alta qualità dei prodotti, diversità ed economia. La cultura italiana del cibo dà dignità anche al più piccolo caffè, bar o azienda agricola che sono a tutti gli effetti fonte di sostentamento. Il messaggio dell’Expo dovrebbe essere questo. E io sono estremamente grata di avere l’occasione anche perché questo è lo stesso messaggio che io ritengo di aver appreso sulla base del mio lavoro trentennale. Spero che a Milano venga veicolato il modello italiano anziché il modello di agricoltura statunitense che è fatto di Ogm e monoculture a mais e soia, con la Monsanto che controlla la fornitura di semi, altre multinazionali che controllano il commercio del cibo e tutti che mangiamo sempre peggio. E un terzo della popolazione che soffre di obesità. Noi possiamo fare il mondo migliore di così.
Sono in corso i negoziati tra Usa e Ue per siglare il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip). Lei cosa ne pensa?
Il Ttip è un trattato sul libero commercio che dice subito nel preambolo che è un’iniezione al Wto. E cosa ci ha dato il Wto? Ci ha dato la brevettibilità dei semi, la possibilità di imporre royalties sulle sementi, e i suicidi dei contadini indiani. Ci ha dato l’imposizione quasi da bulli di un sistema che ha completamente distrutto le fonti di sostentamento degli agricoltori, e ci ha dato cibo non sicuro. E il Ttip ci darà tutto questo, attraverso tre meccanismi. Il primo è l’eliminazione del principio di precauzione; il secondo sta nel rafforzamento delle leggi sulla proprietà intellettuale fatto in modo da supportare la Monsanto e indebolire gli agricoltori. E il terzo asse portante è l’istituzione di tribunali sovranazionali, diversi da quelli degli Stati, a cui le imprese potranno rivolgersi se le leggi nazionali non rispettano i loro diktat. Questo significherà istituire un vero e proprio potere delle multinazionali che potranno attentare ai diritti stabiliti nelle costituzioni nazionali. Costituzioni nate dall’impegno dei popoli in secoli di battaglie per la conquista delle libertà individuali. Quindi, quello che porterà il Ttip è la fine della democrazia, la fine della sicurezza alimentare e la fine della possibilità per tutti noi di costruirci una vita dignitosa.
Eleonora Martini
22/10/2014 www.ilmanifesto.info
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