Libia, l’Italia va alla guerra. Contro i migranti e per il petrolio
La partita politica che si va giocando in questi giorni, anzi in queste ore, sulle coste libiche, va ben oltre le questioni riguardanti i migranti. Per certi versi, semplificando, i riflettori puntati sui migranti da “allontanare” costituiscono una motivazione ideologica se non un effetto collaterale per giustificare l’impegno militare italiano nell’area. Gli sforzi per “stabilizzare” la Libia non si sono mai interrotti, il paese è una fonte pressoché inesauribile di risorse, dai gas al petrolio su cui gli appetiti sono forti. Il governo che l’Unione Europea riconosce e che fa base a Tripoli, del Primo Ministro Fayez Al Sarraj controlla a malapena il 20% del vasto territorio del paese, neanche tutta la Tripolitania che (insieme a Cirenaica e Fezzan) sono le 3 macroregioni che costituiscono dal 1911 la Libia. La Cirenaica, ad est, è controllata dal governo del generale Haftar (con sede a Tobruk) mentre nel sud (il Fezzan) la situazione è ancora più caotica. E nel territorio prosperano milizie private o frutto dell’accordo fra famiglie, ognuna delle quali cerca di controllare un’area del paese e di avere un proprio potere contrattuale. Nonostante la ripresa della produzione di petrolio ancora oggi solo una parte del greggio estratto è frutto di “trasparenti” contratti con le multinazionali che lo raffinano. Molti pozzi sono ancora controllati da chi rivende poi il prodotto per conto proprio – tanto ne arriva anche in Italia – e la vendita clandestina serve ad arricchire sia organizzazioni criminali vere e proprie sia l’Isis che non è stato affatto debellato. Se nella Libia di Gheddafi il 70% della popolazione era assunto presso l’amministrazione statale e incrementava il proprio reddito con lavori extra più o meno legali, compreso il traffico di esseri umani, oggi il 30% dell’economia del paese si regge su traffici di ogni tipo, appunto dal petrolio, al prodotto raffinato, alla droga, alle persone. In tale contesto va inquadrato l’interventismo di Italia e Francia che, al di là delle dichiarazioni spesso poi smentite di Macron e di Gentiloni, agiscono in piena concorrenza. I francesi parlano di sostegno all’apertura di hotspot in Libia, da proporre indipendentemente dal gradimento UE. Dovrebbero essere centri in cui separare chi è ritenuto potenziale rifugiato da chi è considerato semplice “migrante economico”. Macron ha poi abbassato i toni ma è chiaro che chi è in grado di stabilire proprie basi in Libia, anche solo per garantire il controllo dei centri di detenzione, giocherà poi un ruolo cruciale nei rapporti con il paese. Con la avventuristica risoluzioneapprovata invece dal parlamento italiano – camera e senato nello stesso giorno (l’ultimo dei lavori prima della pausa estiva)– si tenta di mettere in scacco le mire transalpine. Un testo votato da una maggioranza ampia, col solo voto contrario di Lega Nord (perché non presuppone in maniera più chiara il respingimento dei migranti), M5S (“governo a novanta gradi, ai Francesi il petrolio a noi i barconi”) SI-Possibile (intervento illegittimo e pericoloso). I parlamentari di FdI si sono astenuti per dimostrare apprezzamento verso le prime timide azioni del governo contro i profughi, FI e buona parte di MDP hanno votato a favore per “senso di responsabilità”. Realizzando di fatto una union sacrée che va da una sedicente sinistra fino alla destra estrema. Anche nella risoluzione italiana si ipotizza la realizzazione di centri di accoglienza (trattenimento) in Libia che dovrebbero però, per quanto affermato, vedere un ruolo di garanzia per i diritti dei migranti di Unhcr e OIM, che da sempre hanno avuto seri problemi a lavorare in quel paese. Come sarà garantito il loro ruolo e la loro azione in un paese così instabile e fragile? Leggendo il testo e cercandovi più quello che non è esplicitato che quanto affermato in maniera pomposa viene da pensare che, in caso di perdurante instabilità tale da rendere ininfluente l’operato della missione, si potrebbe aprire lo scenario di un intervento più impegnativo sul territorio libico, con la scusa di sostenere il “legittimo governo”. Un governo che intanto sta per proporre al parlamento di Tripoli una nuova costituzione che risulta però sgradita a molti degli attori in campo, in particolar modo ai sostenitori del generale Haftar perché tra l’altro impedisce la partecipazione dei militari alla vita politica. Il generale gode del sostegno di Egitto e Russia ma la stessa Francia, che formalmente sostiene il governo di Tripoli, non nasconde di voler in parte assecondare il governo di Tobruk. Il generale Haftar ha dichiarato in una recente intervista di considerare illegittimo l’intervento italiano e di non escludere un attacco militare alle navi “straniere” che si avvicineranno al territorio libico. Appare chiaro che senza un benestare del governo di Tobruk e di Haftar sarà impossibile semplicemente immaginare qualsiasi passo avanti nella normalizzazione. Alla presentazione del testo della costituzione la commissione incaricata è stata fatta oggetto di un violento assalto da parte dei sostenitori del generale. Difficile pensare che la pace e la stabilità del paese, con questo clima sia vicina. I problemi non sono solo con la Cirenaica, oggi nessuno in Libia ha l’autorevolezza per imporsi da solo, né i nostalgici del regime Gheddafi né tantomeno gli islamisti più convinti, il territorio è frantumato in attori politici, militari e spesso criminali, l’un contro l’altro armati. Quella che è in corso nella ex colonia italiana – mai dimenticarlo – è poi anche una guerra interna all’UE, per imporre il proprio uomo forte e il proprio dominio imperialista e anche l’Italia fa parte del gioco. Quella che si prepara è una stagione oscura, con le Ong che non accettano di lavorare embedded che saranno impossibilitate ad intervenire per effettuare soccorso in mare, con un aumento certo dei costi, dei rischi e delle morti per un viaggio verso l’Europa che resta ancora per molte e molti la sola soluzione possibile. E quella che il parlamento italiano ha sancito col voto del 2 agosto è una scelta di non ritorno, comoda nel breve termine da spendersi in xenofobe campagne elettorali, ma costosa e perdente nel futuro, perché non arginerà certo gli arrivi. Una scelta che impantanerà il governo nel conflitto libico, già si intravvedono le prime avvisaglie, non passerà molto tempo prima che per garantire la missione si dovrà avere una presenza sempre più massiccia sulle coste libiche mentre dovranno aumentare gli interventi per disinnescare quanto sta avvenendo nei paesi del Sahel, luoghi di transito di chi è in fuga, incontrollabili ad oggi almeno quanto la Libia. Una scelta vigliacca e ipocrita ed è per questo inaccettabile sentire persone che si dichiarano “di sinistra” affermare di averla accettata per “senso di responsabilità”. Responsabilità per garantire la stabilità del governo e un posto in parlamento alle prossime elezioni? Nessun senso di responsabilità invece per i tanti morti che tale decisione provocherà? Per quante persone in più potranno essere torturate e uccise grazie a questa copertura nei centri di detenzione libici? Chi oggi ha compiuto una “scelta responsabile” va considerato definitivamente fuori da qualsiasi prospettiva di alleanza nella sinistra antiliberista. Non c’è spazio per chi votava la guerra nel passato ce ne è ancora di meno per chi la vota nel presente.
Stefano Galieni
Responsabile pace, movimenti e immigrazione, Prc S.E.
3/8/2017 www.rifondazione.it
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