Lavoro da fame e fame di lavoro
La frammentazione, sociale e anche contrattuale, è il denominatore della fase : tutti settori sono attraversati dalla destrutturazione dei rapporti di lavoro, alcuni in modo drammatico (le cooperative di servizi) altri consistenti (le filiere dell’industria) o più subdolo (es. le figure miste lavoratore dipendente/lavoratore autonomo introdotte nel settore bancario per rincorrere la spinta commerciale). Gli appalti infiniti sono la rappresentazione, anche nel settore pubblico, di questa tendenza che è insieme organizzazione della produzione e ricatto permanente alla condizione (occupazionale, salariale, normativa..) dei lavoratori. Quindi diventa centrale la ricomposizione di un diritto generale , esemplificato dal art 18 per tutti (il mancato referendum è stato un buco grave) , che deve però concretizzarsi in tutele più precise (superamento della frammentazione contrattuale nelle filiere, regolamentazione degli appalti, clausole sociali).
Sul piano della disoccupazione e della fame di lavoro emergono diverse considerazioni.
Prima: non è riproponibile un modello produttivo come quello passato, la produzione di massa è, almeno nel nostro paese, perduta, quindi sono impensabili masse di occupati analoghe agli anni pre- crisi. Questo richiama la necessità di politiche industriali innovative che privilegino occupazione e prodotti socialmente sostenibili al profitto di breve periodo, e ci induce a ripensare i modelli occupazionali. La stessa questione tecnologica, ancorché poco avvertibile in aziende molto tradizionali come la stragrande delle torinesi, potrebbe aggravare la situazione, almeno in diversi settori.
Seconda: la necessità evidente di redistribuire il lavoro (lavorare meno lavorare tutti, ridurre l’orario, anticipare le pensioni …) è l’unica misura efficace che però si scontra con la realtà tragica degli orari forzatamente ridotti come quelli del settore delle cooperative (lucentezza e dussmann ) e dei call center. Con il paradosso che, in quei settori anche a causa dei carichi di lavoro, emerge dai dipendenti la richiesta dell’allungamento degli orari, perché con 15/20 ore non si campa e si lavora al limite.
Terza: la condizione salariale, a causa dei perenni blocchi contrattuali anche formali nel pubblico, ma sostanziali anche nel privato, porta la massa dei lavoratori ad una emergenza salariale (aggravata dalla disoccupazione diffusa di molti individui che scarica il peso sui pochi componenti attivi), in cui il bisogno di reddito ha la prevalenza su ogni altra rivendicazione.
Quindi la ridistribuzione di orario per allargare l’occupazione e il contemporaneo aumento degli stipendi, si rendono indispensabili, assumendo il carattere di una vera e propria dichiarazione di guerra al capitalismo!
Le ipotesi, certo diverse tra loro, di salario minimo contrattuale o legale e di reddito minimo o comunque di sostegno universale al reddito, potrebbero aiutare a reggere le crisi e ad allentare la corsa a svendere il proprio lavoro. Tra le conseguenze del peggioramento delle condizioni di lavoro, dei carichi e della insicurezza del posto c’è il peggioramento della salute dei lavoratori, sia in termini fisici (vedi personale sanità oltre che industria) che psichici, con un aumento delle terapie antidepressive etc. Per inciso, l’età crescente dei lavoratori accentua questi processi di aumento delle malattie.
Un elemento necessario di approfondimento, perché ha implicazioni non solo contrattuali, ma sul modello di stato sociale e la questione del cosiddetto welfare aziendale, cioè l’inserimento, a volte padronale, ma anche contrattuale (anche nel ccnl dei metalmeccanici), di erogazioni (ad es. al posto dei premi di risultato) di servizi/buoni acquisto e simili con cui comprare beni, servizi, ma anche servizi sociali, dalla retta dei nidi alle visite mediche. Meccanismo incentivato da misure di esenzione fiscale e contributiva.
Questo, oltre alle considerazioni sulla fame di salario esistente e al bisogno di servizi che il pubblico non garantisce, apre la discussione su due conseguenze: -l’inseguimento tra produttività e servizi (come per il salario anche i servizi si ottengono sotto il ricatto degli incrementi di produttività/redditività aziendale come dire che puoi andare dal dentista se l’azione FCA cresce !). – in prospettiva, se cresce il welfare aziendale (e diminuiscono i versamenti contributivi e fiscali per pensioni, sanità, istruzione …) il modello si sposta verso la privatizzazione dei servizi, alla faccia di ogni criterio di universalità e solidarietà. Si passa dalla logica stato sociale a quella assicurativa.
A cura di Lavoratrici, lavoratori e sindacalisti del pubblico impiego e del privato, iscritti di Rifondazione Comunista di Torino
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