“Diritto all’eutanasia” o incentivo al suicidio?
Da qualche anni il tema dell’eutanasia è stato imposto al dibattito politico con una forza e un’insistenza che destavano sospetti. E’ scontato, nella nostra visione, che la volontà di porre fine alla propria vita sia un diritto semplicemente indiscutibile di una persona. Specie in condizioni invivibili. Ma c’era qualcosa di stonato e insincero nei tanti che concionavano sull’argomento
L’ultimo caso, quello di Loris Bertocco, tra i fondatori dei Verdi italiani e attivista in materia di ambiente e diritti, alza il velo sul punto che fin qui era stato accuratamente nascosto: l’assistenza ai malati. Ovvero lo scarico sui malati e le loro famiglie di quasi tutto il peso economico delle cure.
Nel caso di Bertocco, infatti, questo peso è diventato così insostenibile da portarlo a scegliere di metter fine alla propria vita. Non perché stanco di vivere, ma semplicemente perché diventato troppo povero per potersi continuare a curare.
Stiamo parlando di un condizione doppiamente terribile – malattia ed esaurimento delle risorse economiche – che dovrebbe consigliare il silenzio a tanti “samaritani radicali” che invece blaterano anche in questo caso del “diritto al fine vita”, come se le parole di Bertocco non fossero abbastanza chiare: “Sono convinto che se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze.”
Parole che invitano in primo luogo a migliorare l’assistenza, magari “elevando la soglia massima relativa all’Impegnativa di cura domiciliare e fisica oggi fissata a mille euro, ferma al 2004 e quindi anacronistica e del tutto insufficiente per assicurare le collaborazioni indispensabili”.
I tagli alla sanità, ormai dovrebbe essere evidente a tutti, sono una macchina infernale che toglie vita alle persone, in una spirale schizofrenica di dichiarazioni ministeriali puntualmente smentite dai fatti. Anche il più banale dei trucchi amministrativi – non adeguare un’indennità al crescere dell’inflazione reale – diventa così un dispositivo omicida. Una tragedia che da anni proviamo a raccontare con la formula “dovete morire prima”, sintesi di tutti i dispositivi normativi che accompagnano il taglio della spesa pubblica e soprattutto di quella sanitaria.
L’aspetto più insopportabile – lo ripetiamo – è che questo “incentivo alla morte” venga dipinto dai media come “una battaglia di civiltà”, strumentalizzando oscenamente alcuni casi-limite per narrare quasi un’”attenzione premurosa” per i diritti individuali. Come se venire spinti al suicidio – assistito, in questo caso, più “autogestito” nella maggioranza degli altri – fosse un modo di farci un favore..
Stefano Porcari
12/10/2017 http://contropiano.org
Qui di seguito stralci della lettera di Loris Bertocco, così come sintetizzata dall’Ansa.
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“Mi è difficile immaginare il resto della mia vita in modo minimamente soddisfacente, essendo la sofferenza fisica e il dolore diventati per me insostenibili e la non autosufficienza diventata per me insopportabile. Sono arrivato quindi ad immaginare l’accompagnamento alla morte volontaria, che è il frutto di una lunghissima riflessione”.
È un passaggio di una lunga lettera con cui Loris Bertocco, originario di Fiesso D’Artico (Venezia), paralizzato in seguito a un incidente dall’età di 18 anni e cieco dall’età di 38, spiega aRepubblica le ragioni dell’addio e della scelta di suicidio assistito in Svizzera.
“Credo che sia giusto fare questa scelta prima di trovarmi nel giro di poco tempo a vivere come un vegetale”, afferma. “Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata”.
“È necessario alzare la soglia massima relativa all’Impegnativa di cura domiciliare e fisica oggi fissata a mille euro, ferma al 2004 e quindi anacronistica e del tutto insufficiente per assicurare le collaborazioni indispensabili.
Il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul ‘testamento biologico’ e sul ‘fine vita’. Vi sono situazioni che evolvono inesorabilmente verso l’insostenibilità.
Sono convinto che se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ora è arrivato il momento. Porto con me l’amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario”.
“Avrei voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria, perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità”.
E’ un passaggio dell’addio che Loris Bertocco, 59 anni, ha voluto lasciare prima di morire ieri a Zurigo in una clinica che pratica il suicidio assistito, come riportano anche Corriere Veneto, Gazzettino, Nuova Venezia. La richiesta di accompagnamento alla morte volontaria, spiega Bertocco nella sua lettera ‘testamento’, è frutto “di una lunghissima riflessione”, una scelta meditata da tempo “e alla quale è giunto progressivamente ma in modo irreversibile: sono stato e sono ancora convinto che la vita sia bella e sia giusto goderla in tutti i suoi vari aspetti, sia quelli positivi che quelli negativi”.
La lunga lettera cita i problemi, anche di natura economica, avuti negli ultimi tempi. Dalla ristrutturazione della casa familiare, diventata sempre più onerosa dopo la scomparsa del padre e la malattia della madre, alla separazione dalla moglie, alla malattia della sorella, affetta da una grave sclerosi multipla.
Bertocco, tra i fondatori dei Verdi italiani e attivista in materia di ambiente e diritti, nel suo messaggio parla in particolare dell’aspetto economico. “Dal 2005 ho percepito un contributo di mille euro dalla Regione Veneto per pagare parzialmente un’assistente che mi aiutava nei miei bisogni quotidiani e questo aiuto mi è stato di grande sollievo – sottolinea -.Dal 2011 in poi, mancando il supporto di mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24 ho tentato di accedere ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di particolare gravità“. E aggiunge: “ho lottato con la Regione per quasi due anni senza ottenere il risultato che speravo”. Duro il suo atto d’accusa: “sono convinto che, se avessi potuto usufruire di una assistenza adeguata, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni e forse avrei magari rinviato la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive”.
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