La violenza psicofisica dello schiavismo lavorativo
Stress, affaticamento lavorativo e frustrazione prolungati possono diventare una vera e propria bomba a orologeria, un disagio che può condurre a un cortocircuito definito burnout.
Una fatica cronica che colpisce perlopiù le cosiddette professioni di aiuto, quali insegnati, infermieri, Oss, medici, assistenti sociali, psicologi, psichiatri.
Categorie professionali nelle quali vi è una relazione stretta, diretta e continua tra operatore e utente. Relazione che, nel tempo, può diventare logorante. L’individuo si sente così svuotato e sfinito, gli manca l’energia per affrontare un altro giorno, le sue risorse emozionali sono consumate e non c’è una sorgente da cui attingerle di nuovo. Le cause possono essere diverse, le più frequenti del fenomeno sono l’organizzazione del lavoro disfunzionale, lo svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle proprie aspettative, l’insufficiente autonomia decisionale e sovraccarichi di lavoro. La Sindrome del burnout è una malattia professionale identificata nel 1975 da Christina Maslach, psicologa statunitense considerata la massima esperta mondiale di burnout e si tratta di un processo complesso e multifattoriale che riguarda diverse persone e la sfera organizzativa e sociale nella quale operano. E’ una forma di reazione allo stress lavorativo tipica delle professioni di aiuto, che richiedono competenze e contemporaneamente implicano quotidiane e ripetute relazioni interpersonali. In quanto sindrome si tratta di un insieme di sintomi come affaticamento, nervosismo, apatia e improduttività lavorativa.
Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo che consiste nel sentirsi emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, la depersonalizzazione e si manifesta come distacco, cinismo, ostilità verso le persone con cui si lavora, la ridotta realizzazione personale e riguarda il crollo dell’autostima e del desiderio di successo conseguente alla percezione della propria inadeguatezza sul lavoro.
La persona che soffre di burnout ha scarsa stima di sè, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro, indifferenza, isolamento, atteggiamento colpevolizzante verso le altre persone.
Inoltre presenta somatizzazioni e sintomi aspecifici come irrequietezza, senso di stanchezza, esaurimento, apatia, insonnia. Nell’insorgenza del burnout possono incidere le aspettative connesse al proprio ruolo professionale, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro e l’organizzazione stessa del lavoro. L’impatto dannoso del burnout si ripercuote negativamente sulla persona sia fisicamente che emotivamente. E’ evidente che a farne le spese di questa situazione sono anche le persone che condividono con la persona il tempo extra-lavorativo: la sua famiglia. La tensione accumulata sul lavoro viene scaricata in ambiente domestico. Liti e contrasti possono diventare molto frequenti e si diventa meno disponibili anche nei confronti proprio delle persone più care e significative della propria vita.
Gli effetti deleteri del burnout dunque non scompaiono quando il soggetto termina la giornata lavorativa e torna a casa, ma spesso arrivano a danneggiare anche la vita personale. E’ importante divulgare informazioni in merito all’esistenza di questa sindrome così da favorire una maggiore conoscenza e promuovere una attività preventiva. Molto importanti sono la formazione e l’attuazione di interventi mirati volti a un’adeguata pianificazione del lavoro. La sindrome del burnout comporta il “deterioramento dell’anima” e si sta diffondendo sempre più nel mondo del lavoro, colpendo operatori di settori diversi. Nelle strutture organizzative della società postmoderne, vengono evidenziate le principali cause della crisi psicologica che oggi investe il lavoro su scala mondiale.
ll burnout è da considerarsi un “problema professionale” causato prevalentemente da fattori strutturali-organizzativi, contrastando così l’opinione secondo la quale il burnout sarebbe un problema solamente della persona o addirittura una sua “colpa” dovuta a incapacità, debolezza o scarso impegno. In realtà, il contesto interpersonale nel quale le persone lavorano è determinante e il cattivo funzionamento delle organizzazioni costituisce il principale motivo del rapido diffondersi del burnout. I picchi emozionali che viviamo come la gioia, la soddisfazione e l’orgoglio sono fondamentali nel determinare importanti comportamenti positivi di lavoro. Questi sentimenti creano la motivazione a lavorare bene, a cercare nuove strade per migliorare, a cooperare con i colleghi, a dedicarsi al lavoro. Al contrario, i vissuti emozionali della rabbia o dell’ansia sono deleteri per la qualità della prestazione lavorativa. Quando le persone esprimono emozioni negative le relazioni sociali possono esserne devastate. Conversazioni normali diventano dense di ostilità e di irritazione, rendendo i quotidiani incontri sociali delle occasioni spiacevoli. La maleducazione, il sarcasmo, le critiche e gli insulti e il mobbing diventano la regola. Il D.Lgs. 81/2008: “conferme e novità in tema di stress correlato al lavoro”, dedica un importante spazio a questa problematica.
Marilena Pallareti
Docente. Forlì
Collaboratrice Lavoro e Salute
25/10/2017
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SPECIALE AZIENDALISMO “Le metodologie del dirigente incapace”
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