Politiche degli attivi (aziendali): il gioco delle tre carte dell’ANPAL
Che il Jobs Act ci abbia messo in mutande ormai è una verità acquisita. In nome di una presunta guerra alla precarietà, privi della fondamentale tutela dell’articolo 18, siamo diventati tutti precari. I padroni intanto continuano comunque imperterriti ad assumere con contratti a termine, che ormai hanno superato la soglia record del 14% del totale dei contratti di lavoro. Insieme alla fregatura per chi di noi lavora si è aggiunta poi la fregatura per chi un lavoro lo cerca: dal primo gennaio del 2017 la NASPI ha preso il posto della mobilità. Calcolata al 75% dell’imponibile degli ultimi quattro anni di lavoro (e non al contratto di base di categoria, com’era per la cassaintegrazione) viene ridotta del 3% ogni mese a partire dal quarto, per mettere ulteriore pressione a chi cerca un posto nel far west del mercato del lavoro italiano. Di colpo, ma all’interno di un processo che parte dal pacchetto Treu e arriva alla riforma Fornero, sono spariti quindi alcuni dei diritti collettivi conquistati dai lavoratori del nostro paese negli anni passati.
In cambio, le speranze individuali di un mercato sempre più liberalizzato in cui la facilità di licenziare dovrebbe tradursi in facilità di assumere. Al momento, in realtà, i nuovi posti di lavoro, sempre più precari e malpagati, ci sono costati miliardi di euro di sgravi fiscali regalati alle imperse, mentre il tasso di occupazione ha continuano a crescere meno della media europea. In nostro soccorso dovrebbero però finalmente arrivare gli strumenti previsti nella seconda parte del Jobs Act stesso, quella in cui è stata per l’appunto istituita l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) . Cardine di queste politiche è l’assegno di ricollocazione, previsto per i disoccupati che percepiscono la NASpI da almeno 4 mesi. L’assegno, di entità che va da 250 fino a 5.000 euro a seconda del profilo di occupabilità del disoccupato e della tipologia contrattuale, viene riconosciuto direttamente alle agenzie interinali, ora chiamate agenzie per il lavoro. Uno strumento insomma, che dovrebbe essere allargato, come previsto dalla legge di Bilancio 2018 di imminente approvazione, a quei lavoratori posti in cassaintegrazione straordinaria, che fino allo scadere di questa, avranno la possibilità di usufruire dei servizi per la ricollocazione. L’eventuale impresa che dovesse assumere il lavoratore, avrà accesso alla decontribuzione per un anno, facendo felici gli imprenditori italiani che attraverso la voce del Sole 24 Ore auspicavano qualche settimana fa ad un suo rilancio come strumento di gestione delle crisi aziendali. Sempre nel giornale di Confindustria si poteva leggere che “il modello di riferimento sembra essere quello di Almaviva, dove all’assegno di ricollocazione ha aderito l’87,7% dei lavoratori, per i quali «ci sono al momento alcune centinaia di offerte di lavoro potenziali e si stanno aggiungendo altre imprese interessate ad assunzioni» spiegano dall’Anpal”.
Si perché oltre a un gruppo di qualche decina di migliaia disoccupati selezionati casualmente, i primi a sperimentare queste famigerate “politiche attive” sono stati proprio i lavoratori Almaviva di Roma. Noi la loro vicenda, purtroppo, la conosciamo bene e sappiamo le trafile che hanno dovuto subire dopo aver perso il posto di lavoro a causa del ricatto del loro padrone. Conosciamo i numerosi presidi sotto la sededella Regione Lazio per essere ascoltati prima e dopo l’uscita dei bandi di questo fantomatico progetto, per capire cosa li stesse aspettando. A oggi nulla funziona e nulla si muove e che ora vengano addirittura presi a esempio ci fa veramente ridere. E soprattutto di raccoantare l’ennesima truffa che si sta profilando ai danni della classe lavoratrice Italiana.
Ai nostri ex-lavoratori l’ANPAL ha fatto firmare un Patto di Servizio Personalizzato (PSP) sponsorizzando grandi aspettative. Peccato che a distanza di dieci mesi, corsi di formazione e riqualificazione non ce ne sono stati. Il tanto fantomatico progetto non ha ricollocato nessuno ne tanto meno riqualificato. All”orizzonte ci sono solo un paio di preselezioni (per un totale di 120 posti) per proposte di lavoro come operatore call center con condizioni economiche e contrattuali che anche da soli e senza tutto questo baraccone gli sperimentali disoccupati almaviviani di Roma potevano trovare.
Questo è ciò che resta della grande manovra per il “salvataggio” dei 1666 ex lavoratori Almaviva, più ovviamente una massa di soldi pubblici che finiranno in mano ai privati: innanzitutto alle suddette imprese che si occupano di “formazione”, le quali riceveranno fino a 5.000€ per lavoratore. Imprese private che dovrebbero essere controllati dall’ANPAL al cui interno però, per una clamorosa ma non casuale ironia, lavorano centinaia di precari (70% del personale totale) il cui rendimento può essere giudicato anche dal numero di nuovi contratti attivati!
Poi alle aziende che benevolmente decidono di assumere pescando nel bacino di disoccupati finiti nel giro dell’ANPAL si ritroveranno con sgravi contributivi di un anno o bonus pari al 50% dell’importo dell’indennità residua NASpI. E non solo per gli assunti a tempo indeterminato (che tanto ormai non è più tale) ma, per un importo minore, anche per gli assunti con un contratto a termine di almeno 6 mesi!
Quanto poi alle condizioni in cui questi lavoratori devono essere assunti la legge dice che la retribuzione offerta deve essere superiore di almeno il 20% rispetto all’indennità percepita nel mese precedente. Proviamo a fare un esempio concreto prendendo il caso di una lavoratrice G.: Ipotizziamo che G., inquadrata con un contratto part-time III livello del CCNL telecomunicazioni, percepiva al momento del cessato rapporto lavorativo uno stipendio mensile di 750€ (compresi i fantastici 80€ del Bonus Renzi), ad un anno dalla sua entrata in stato di disoccupazione il suo assegno mensile sarà di circa 430€ (in quanto l’assegno della Naspi viene decurtato del 3% a cominciare dal quarto mese). G. quindi si vedrebbe costretta ad accettare un’offerta di lavoro di 529€, si ritroverebbe quindi a dover lavorare con una retribuzione minore di quella prevista dal CCNL! Questa l’offerta definita “congrua” che non potrebbe rifiutare!
Quando alcune nostre amiche ex-lavoratrici hanno messo l’ANPAL di fronte al fatto che molte di loro avevano contratti part-time e che quindi la soglia di congruità si sarebbe abbassata al punto da costringerle ad accettare offerte di lavoro con stipendi praticamente inesistenti, l’ente ha risposto, del tutto impreparato, con il classico: “le faremo sapere”.
Questo è il progetto pilota delle nuove politiche attive in Italia! Perché il vero senso di politiche come queste è semplicemente riciclare forza lavoro: insomma cacciare dalla porta di servizio lavoratori ormai sfruttati all’osso per poi farli rientrare dalla porta di ingresso della azienda vicina grazie alla spinta di nuovi finanziamenti pubblici. Poi, magari, esce fuori che le aziende che si riprendono i lavoratori sono di proprietà o scatole cinesi delle stesse che li hanno licenziati o magari appartengono allo stesso gruppo industriale.
Vi sembra fantascienza? Allora non sapete che a poche settimane dal termine della vertenza di Almaviva Contact che ha portato alla chiusura del sito di Roma, Almaviva S.p.A., cioè la sorella informatica della stessa azienda, si è aggiudicata un appalto per la pubblica amministrazione (soldi nostri) di 850 milioni di euro per 5 anni. Nuova commessa nuove possibili assunzioni.
Il ministro Calenda, anziché gridare allo scandalo, si è detto contento delle “aperture” mostrate dall’azienda di fronte al suo “auspicio” che “se dopo i corsi di formazione i lavoratori avranno le competenze necessarie alla società che si occupa di informatica, ci sia per loro una corsia preferenziale”, assicurando anche, ma la legge non lo vieta, che non ci sarebbe nessun bonus per l’azienda. Ma tra il dire il fare c’è di mezzo il mare e Marco Tripi!
Proviamo ora a fare un gioco, proviamo ad immaginare per assurdo cosa sarebbe accaduto se la vertenza Almaviva si fosse chiusa secondo la vecchia modalità del walfare passivo, insomma, cosa sarebbe successo prima della grande invenzione del Job’s act e delle Politiche attive: sarebbe successo che 1666 lavoratori, assunti con un comune contratto metalmeccanico, a seguito di una crisi aziendale avrebbero avuto diritto alla cassaintegrazione straordinaria per 12 mesi, più eventualmente altri 12 mesi di mobilità. All’interno di questo regime sarebbe stato possibile attuare comunque un percorso di riqualificazione delle competenze, previo però approvazione dello stesso da parte della Rsu. Durante questo periodo si sarebbe potuto arrivare ad un accordo per il ricollocamento di parte dei lavoratori ancora non in esubero e con un inquadramento pari a quello precedente, rispettoso dei minimi come da CCNL, all’interno della nuova commessa statale di Almaviva, seguendo inoltre un protocollo attento all’età ed ai carichi familiari.
Insomma ciò che ieri era realtà ora ci sembra pura assurdità.
Ciò che invece ora ci sembra assurdo è che grazie alle nuove politiche attive si resta “appesi” ad un assegno della NASPI che lentamente ogni mese si prosciuga sempre di più, portandoci ad dover accettare un offerte di lavoro sempre meno retribuite e con meno diritti.
E se la manovra delle politiche attive è ancora “ai nastri di partenza”, un primo scenario futuro si è già delineato per noi lavoratori: salari sempre più da fame e offerte congrue solo ai profitti delle aziende!
12/11/2017 http://clashcityworkers.org
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