Definanziamento della ricerca in Italia: le radici di un dramma

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Lo sciopero dei docenti delle università è stato solo l’ennesima forma di lotta che il mondo universitario ha messo in atto per mitigare le politiche dannose adottate da tutti i governi negli ultimi 20 anni. Diversi commentatori hanno illustrato nel dettaglio i pericoli nascosti dietro le politiche universitarie a partire dal governo Berlusconi.

Si sostiene, per esempio, che l’obiettivo più o meno nascosto dei vari governi sia lo smantellamento dell’università pubblica e che tale obiettivo sia realizzato tramite due strumenti: il primo è il definanziamento della ricerca, il secondo è l’elemento di irrazionalità mascherata da rigore quantitativo dell’attuale sistema di valutazione della ricerca. L’Italia è infatti agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per numero di ricercatori, numero che negli ultimi anni è ulteriormente diminuito. Nonostante ciò i ricercatori Italiani sono molto produttivi e la ricerca è di ottima qualità come ci ricorda Pietro Greco [1].

Contemporaneamente i governi sostengono che il loro unico obiettivo sia quello di rendere più efficiente sia qualitativamente che quantitativamente il sistema universitario. Ci troviamo dunque di fronte ad una netta contrapposizione, che naturalmente ammette diverse sfumature le quali però non cambiano la natura del problema.

I termini della contrapposizione devono essere rintracciati in due concezioni diverse di quello che dovrebbe essere il ruolo della ricerca nelle università italiane.

Da una parte c’è la tendenza dei vari governi e di gran parte della società (nel suo senso più ampio) a chiedere che la ricerca universitaria sia orientata verso lo sviluppo tecnologico e le applicazioni. Viene inoltre chiesto il risultato tecnologico in tempi brevi perché ciò significa ricchezza economica.

Questo spiega il definanziamento della ricerca universitaria Italiana dove si realizza la maggior parte della ricerca di base che viene considerata un peso più che una risorsa o comunque sovrafinanziata.

Dall’altra parte, pur essendo chiaramente d’accordo con l’importanza dello sviluppo tecnologico, si chiede di non snaturare la natura delle università come luogo dove il pensiero scientifico possa essere esercitato liberamente. In particolare si chiede che la ricerca tecnologica non venga finanziata a spese della ricerca di base che dovrebbe essere invece potenziata. Infatti la richiesta dei governi ha un elemento di irrazionalità dato che non prende in considerazione un aspetto fondamentale, il legame profondo e biunivoco tra sviluppo tecnologico e ricerca di base. E’ vero che lo sviluppo economico è intimamente legato allo sviluppo tecnologico, ma è ancor più vero che quest’ultimo è impossibile senza una ricerca di base forte e consolidata. Anzi, per aumentare le possibilità di sviluppo tecnologico sarebbe necessario potenziare la ricerca di base soprattutto se l’obiettivo è l’innovazione tecnologica radicale.

La tendenza di cui stiamo parlando ha una seconda motivazione, indipendente dalla legittima richiesta di sviluppo tecnologico, che dipende dalla mancata demarcazione tra scienza e tecnica a cui segue una visione aberrante del ruolo della tecnica nei confronti della scienza.

Infatti i successi della tecnica vengono visti come l’unico fondamento della scienza con la conseguenza che l’una viene identificata con l’altra.

E’ lo stesso concetto di successo ad essere fuorviante. La nostra società è infatti dominata dal mito del successo (in particolare economico) e in ciò la società è in perfetta sintonia con la realtà tecnologica che si nutre del successo. Ma le cose stanno diversamente per lo sviluppo scientifico il cui progredire è frutto della combinazione di spirito critico e controllo empirico, per cui è l’insuccesso a catalizzare lo sviluppo di nuova conoscenza e quindi di nuova tecnologia. Per esempio, la meccanica quantistica nasce dall’insuccesso della meccanica classica.

Ciò che manca quindi è il riconoscimento della differenza fondamentale tra scienza pura e tecnica che coincide con la differenza tra ricerca della conoscenza e ricerca del potere.

Ecco quindi la radice storico-culturale del contrasto tra politica ed accademia nonché tra poteri economico-industriali ed accademia. Si chiede all’accademia ciò che essa può dare solo in parte dato che altrimenti andrebbe contro la sua stessa natura, che coincide con la ricerca scientifica in quanto conoscenza, la sola che può garantire lo sviluppo tecnologico a lungo termine. Ecco quindi che il mondo della politica assume atteggiamenti punitivi nei confronti dell’accademia che viene vista come istituzione costosa che non dà ciò che dovrebbe dare e che quindi merita di essere ridimensionata. Questo spiega, tra l’altro, perché le politiche governative degli ultimi 20 anni siano state sostanzialmente equivalenti ed indipendenti dal colore politico. Spiega anche l’ipocrisia dei governi che mentre enfatizzano l’importanza dello sviluppo scientifico definanziano la ricerca universitaria.

Volendo accennare alle cause storico culturali della confusione tra successo tecnologico e fondamento della scienza è sufficiente ricordare il rovesciamento dell’idea di stabilità della scienza da parte di Einstein. Come è stato acutamente osservato da J. Agassi, non fu tanto il verificarsi di rivoluzioni nella scienza, il fatto che la scienza è in divenire, a determinare il principale cambiamento sulla scena filosofica; avvenne invece che tutt’a un tratto il fatto che la scienza è in divenire cessò d’essere un segreto.

L’identificazione del successo tecnologico quale unico “fondamento” per la scienza è quindi in parte dovuta ad un cambiamento di percezione della natura della scienza stessa che nell’Ottocento veniva erroneamente vista come conoscenza definitiva e certa del mondo, mentre dopo Einstein viene più correttamente vista come spiegazione in divenire e quindi non dotata di certezza conoscitiva; in altre parole, conoscenza congetturale.

Viene però trascurato quello che può considerarsi il punto di forza della conoscenza scientifica: il suo divenire non si esplica arbitrariamente, ma attraverso la ragione critica ed il controllo empirico, e ciò determina il suo progredire verso forme sempre più generali di spiegazione. Ciò rende la scienza “altra” rispetto alla tecnica e spiega perché il lavoro dello scienziato consiste nello sviluppo delle teorie con il solo scopo di controllarne (criticarne) empiricamente le implicazioni. Questo lavoro dello scienziato non ha alcun obiettivo pratico o applicativo ma deriva dall’idea che le teorie scientifiche esprimano conoscenza. La storia dimostra che questo è anche il motore delle grandi innovazioni tecnologiche.

Per evidenziare ulteriormente la differenza tra ricerca pura e sviluppo tecnologico, si può notare che questo necessita di ricerca applicata per potersi realizzare. In questo caso le teorie scientifiche vengono usate per fini pratici e non per esplorarne i limiti. Infatti la teoria scientifica usata per produrre tecnologia è spesso una teoria confutata come, per esempio, la meccanica Newtoniana che viene comunque usata per progettare i droni o per inviare navicelle spaziali sulla luna. Ecco riapparire la differenza tra ricerca della conoscenza e ricerca del potere. La ricerca del potere potrà a sua volta essere utile per la ricerca della conoscenza.

Non si vuole quindi sminuire il ruolo della tecnologia nell’impresa scientifica ma solo puntualizzare la sua incapacità di fondare l’impresa scientifica nonostante eserciti una notevole influenza su di essa.

Guardando con maggiore dettaglio alla storia Italiana, si deve aggiungere che l’impostazione Gentiliana, secondo la quale la scienza è priva di valori culturali dato che è solo tecnica, sembra avere ancora una certa influenza sulle politiche di sviluppo del paese. Il risultato di tutto ciò è che ci troviamo ad essere un paese in via di sottosviluppo come Giuliano Toraldo Di Francia notava già nel 1975 [2], e un paese dove la scienza è negata, come osserva Enrico Bellone [3]. E’ triste osservare che da allora nulla è cambiato. L’unico passo in avanti è probabilmente la presa di coscienza della necessità per un paese moderno di innovazione e sviluppo tecnologico. Ma questa presa di coscienza rischia di diventare un’arma di distruzione se coltivata da un governo che riconosce alla scienza un solo valore tecnico-pratico e pensa quindi che per favorire lo sviluppo tecnologico sia sufficiente potenziare la ricerca tecnologica a spese della ricerca di base. Ciò porta alla distruzione di entrambe.

Il problema è probabilmente aggravato dalle peculiarità del sistema industriale Italiano caratterizzato da una prevalenza di piccole aziende a tecnologia matura, che quindi richiedono innovazione incrementale più che innovazione radicale. E’ l’ultima ad essere maggiormente collegata alla ricerca di base. Ma si può pensare di finanziare l’innovazione incrementale a spese della ricerca di base? Si può pensare che debba essere l’università da sola ad occuparsi di innovazione incrementale? Sono le aziende che, in sinergia con il governo, dovrebbero investire maggiormente in ricerca e sviluppo chiedendo la collaborazione delle università. Il governo dovrebbe fare da catalizzatore di questa collaborazione investendo maggiormente in trasferimento tecnologico. Ma dovrebbe soprattutto avere una visione strategica di come l’industria Italiana dovrebbe evolversi pensando a strategie industriali per il nostro paese che puntino sulla tecnologia di frontiera. Sembra infatti chiaro che l’Italia si stia avviando verso la dipendenza tecnologica da altri paesi per cui il nostro punto debole è l’industria e non la ricerca.

Paradossalmente i governi operano per migliorare la ricerca ottenendo invece la sua distruzione quando dovrebbero operare per salvare l’industria, dato che la ricerca Italiana è già in buona salute (come rivelano diversi indicatori), mentre probabilmente l’industria, quella basata sulla tecnologia di frontiera, necessiterebbe di interventi. Viene il sospetto che a livello ministeriale si pensi che il rilancio dell’industria Italiana sia compito delle università che, quindi, devono essere riformate. Questo sarebbe irresponsabile per un paese evoluto e spero che la precedente analisi sia riuscita a spiegarne il perché. Per finire, nessuno nega che la ricerca Italiana potrebbe migliorare ulteriormente, ma per questo sono necessari finanziamenti seri e non politiche disastrose.

Trovo quindi potenzialmente dannosa la proposta avanzata da qualcuno di usare le capacità nel trasferimento tecnologico come parametro per misurare la produttività delle università o peggio dei singoli ricercatori (almeno per quanto riguarda la ricerca di base). Sarebbe più utile sviluppare un’infrastruttura per la ricerca applicata ed il trasferimento tecnologico che sia, però, burocraticamente indipendente dalle università ma scientificamente connessa a queste ultime.

L’atteggiamento dei governi degli ultimi 20 anni è quindi espressione di una visione che confonde sviluppo tecnologico e ricerca scientifica, che non offre al paese una strategia lungimirante della nostra industria creando contrapposizione tra forze politiche ed istituzioni universitarie. Ciò non porta da nessuna parte, ma serve solo a rallentare ulteriormente lo sviluppo tecnologico e culturale del nostro paese.

NOTE

[1] P. Greco, Ricercatori in Italia: pochi ma buoni, Il giornale dell’università degli studi di Padova, 2007.

[2] G. Toraldo Di Francia, Scienza e Potere, Feltrinelli, Milano 1975).

[3] E. Bellone, La scienza negata, Codice Edizioni, Torino 2005.

Roberto Beneduci

20/11/2017 da MicroMega

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