È che non ci “provano”, sul tram, con la diva Deneuve
Come sottolinea giustamente Lauren Collins sul New Yorker (ma qui, si sa, l’informazione si consuma al massimo su una cartolina appesa a Facebook) la diva Deneuve ha vergato il suo accorato appello contro il movimento #MeToo e l’ondata di denunce di molestie sessuali in calda compagnia di «donne bianche professioniste o artiste: giornaliste, curatrici, artisti, professoresse, psicologhe, medici, cantanti. Non ci sono governanti o autisti di autobus nella lista, e non v’è nessuna conferma che le cose potrebbero essere più complicate quando una donna non è il leader del suo team di professionisti, come spesso succede».
Non stupisce nemmeno che in Italia gli ululati in difesa del diritto di “provarci sempre e comunque” (come se l’uomo sia maschio solo o soprattutto in maniera direttamente proporzionale ai suoi rigonfiamenti), come scrive Ilda Dominijanni su Internazionale «dallo stesso fronte mediatico, il Foglio in testa, che agitò gli stessi fantasmi liberticidi, sessuofobici e proibizionisti a tutela della “libertà” e della “seduzione” che circolava nelle “cene eleganti” di Berlusconi, già allora paventando e minacciando la fine dell’ars amatoria, la censura della passione, l’inibizione del corteggiamento, e impugnando l’inscindibilità del sesso da una certa dose (quale, esattamente?) di prevaricazione, o l’indecidibilità fra molestia e avance».
Il giochetto sporchissimo di confondere una molestia con un corteggiamento fingendo di non sapere che il consenso sia il discrimine fondamentale è tipico di chi ancora dopo secoli finge di non capire che si sta parlando di abuso di potere e di situazione ricattatorie. Che poi di mezzo ci sia anche il sesso (quello del potente, turgido, che si basta da solo e anzi impazzisce di gioia nello scavalcare un rifiuto) è solo la patetica conseguenza di una sessualità che per i fallocrati è il mezzo preferito nell’esercizio di potere. Sarebbero molestatori anche da eunuchi, per intendersi: solo più in difficoltà nell’inventarsi altre strade verso la soddisfazione.
Ma che la diva Deneuve (come le aspiranti dive borgatare che la applaudono per provare a stare in scia) intenda tutto questo gioco di approcci spinti come il sale della mascolinità forse potrebbe essere dettato da un contesto che le converrebbe (a lei e ai machi nostrani) abbandonare per tornare nella vita reale: scoprirebbe, ad esempio, che “la libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale” (come lei la definisce) nella vita reale non si consuma tra le ostriche, i festival o i Mastroianni ma è fatta di palpatine strappate nella ressa di un tram, masturbazioni e conati che stanno dietro alla svolta di una marciapiede, battutine svilenti di capi ufficio dalla virilità insicura, assoggettamenti richiesti da un datore di lavoro o da qualcun altro indispensabile per il proprio sostentamento economico, urlacci da mercato delle vacche sputati fuori da un finestrino e (forse i più odiosi) favori richiesti da chi tiene in mano le carte delle opportunità possibili. Non c’è erotismo giocoso, no: si tratta di un forte che chiede al debole di leccare la sua superiorità. Che il primo sia preferibilmente maschio è la normale conseguenza della storia dei tempi.
Ci è arrivato perfino Pierluigi Battista che scrive: «ci sono momenti della storia in cui quello che appariva normale un minuto prima, un minuto dopo appare come una porcheria. Il momento attuale è uno di questi e non credo che ne venga messa a rischio la nostra virilità o la libertà sessuale di tutte e di tutti. Fare i minimizzatori su questo punto è sbagliato».
Che poi la diva Deneuve abbia avuto il lusso di giocare a farsi rincorrere dal fascino del potere è un suo diritto incontestabile. Ma non insegni le molestie qui fuori. Almeno questo. No. Poi finisce per meritarsi anche l’applauso di quell’importuno di Berlusconi.
Buon venerdì.
Giulio Cavalli
12/1/2017 https://left.it
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