Amazon? Le cassiere dei supermercati il bracciale elettronico lo indossano già
Il bracciale elettronico brevettato da Amazon non è nulla di nuovo. Forse il simbolismo che lo associa a quello dei carcerati fa paura, ma le cassiere dei supermercati un braccialetto simile – anche se non visibile – lo subiscono da una vita.
Già, perché il sistema di elaborazione elettronica delle aziende della GDO da tempo si concentra sul calcolo della produttività oraria di una cassiera: quanti prodotti all’ora passa sullo scanner, quant’è lo scontrino medio, quante promozioni e così via.
E la testimonianza di Alessia, una delle tante cassiere di supermercato che ci ha segnalato le sue difficoltà, sta lì a dimostrarlo senza ombra di dubbio: “Ebbene sì. Ieri mi è stata controllata la media cassa a fine turno. La responsabile sostiene che dobbiamo avere una media superiore ai 27 articoli battuti al minuto. La mia ieri è stata di poco superiore ai 29. Sono nella media insomma.
Poco importa se sono prima cassa dalle 8.00 alle 13.30 o dalle 14.15 alle 20. Poco importa di come vengono calcolati i “tempi morti” rispetto ad una collega seconda cassa che viene chiamata a smaltire all’occorrenza e pertanto, in proporzione, “si fa” un numero nettamente inferiore di clienti e matematicamente ha quindi meno “tempi morti” che pesano sulla media. Più stai in cassa, infatti, più ci sono tempi “morti” da smaltire. È palese. È inopinabile. Chi afferma il contrario mente spudoratamente. Mente perché è ignorante o perché è probabilmente in malafede.
Con i tempi morti intendo storni e annulli da effettuare, codici EAN da digitare a mano, frutta e verdura da pesare, le etichette del pane sempre sbiadite con numeri poco chiari, clienti che mentre guardano lo schermo si accorgono che il prezzo non corrisponde a quello esposto, clienti che ad un tratto si ricordano del bicarbonato, della carta fedeltà, del bancomat o del compleanno della prozia alla quale regalare i biscotti in latta… E se tu, prima cassa, non sei abbastanza celere da stoppare lo scontrino con il tastino #enter, la media si abbassa inesorabilmente.
Perché nel frattempo ti urlano che vanno in sconto del 30% i pomodorini, o il cliente ti interroga sulla differenza degli assorbenti con le ali o senza e, contemporaneamente una cliente ti riempie di zucchero il nastro cassa e il sapientone del momento tiene lezioni di economia urlando allo scandalo perché deve pagare il sacchettino dell’ortofrutta. E l’azzeccagarbugli, anche lui in coda, mette il carico da undici sostenendo che è illegale far pagare le shoppers poiché, essendoci stampato il logo del supermercato, trattasi di pubblicità.
I minuti passano e la tua media articoli scende. Quindi tu, cassa fissa, ricordati sempre di guardare negli occhi i clienti, di chiedere e proporre la fidelity card, di proporre il prodotto civetta, di accertarti della coda che si forma, di verificare il numero esatto delle shoppers, di prestare attenzione al Mistery Client, di non chiamare mai, anche perché in cassaforte non c’è il cambiamonete.
E poi sorridi, sorridi, sorridi e sii sempre gentile con la clientela. Infine, se la tua supercollega pseudo responsabile entra in cassa per sbaglio 15 minuti e da una media di rapporto chiusura lei sfiora addirittura anche i 40 pezzi al minuto, tu continua a sorridere. Sorrisi falsi per tutti. Disagio vero per molti.”
Ecco, il bracciale elettronico esisteva già, prima del brevetto Amazon. Non si vedeva, ma c’era. E si allacciava stretto in quella zona grigia che viaggia ai confini della legalità. Bastava saperlo vedere…
6/2/2018 www.usb.it
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Bracciale come Amazon: azienda padovana bloccata dagli operai
Amazon? Bruciata sul tempo. Non nella spedizione dei pacchi, sia chiaro: anche perché quella sarebbe onestamente impresa ardua. Ma sui tanto contestati braccialetti elettronici. Cioè sugli strumenti tecnologici di cui dotare i dipendenti per monitorarne e migliorarne le fasi del lavoro. C’è un’azienda del Padovano, infatti, che circa un mese fa era quasi riuscita a portare a termine l’operazione. Quasi, perché dopo aver predisposto il piano completo, che era stato messo nero su bianco dai dirigenti, s’è vista bloccare l’iter dall‘insurrezione delle rappresentanze sindacali. I fatti risalgono a dicembre e l’azienda in questione è la «Dab» di Mestrino, un colosso della metalmeccanica con sedi in 14 Paesi (la capogruppo è danese), che si occupa di sistemi di movimentazione dell’acqua.
Il documento
Il Corriere del Veneto ha potuto visionare il documento che l’azienda aveva predisposto e nel quale sono indicati i dettagli del progetto. Rispetto ad Amazon, che ha brevettato «in casa» un proprio bracciale per trasmettere gli ordini ai magazzinieri e rendere più veloce la consegna, «Dab» contava di impiegare all’uopo uno «smartwatch», cioè uno di quegli orologi intelligenti già in commercio, su cui poi operare opportune modifiche al software. Lo scopo — come si legge nel testo — sarebbe stato quello di «monitorare la corretta applicazione delle misure di salute e sicurezza sul lavoro, di migliorare l’efficienza del processo produttivo» e infine di «supportare i dipendenti nello svolgimento di specifiche attività lavorative» (come effettuare chiamate per l’approvvigionamento del materiale, controllare la qualità, gestire le lavorazioni). Precisava comunque l’azienda che in nessun modo sarebbe stata consentita con questo strumento la «geolocalizzazione del dipendente», cioè la sua identificazione geografica. Nè tantomeno si sarebbero potute utilizzare le funzioni dell’orologio per prendere eventuali provvedimenti disciplinari. La sperimentazione, come detto però, non è piaciuta per nulla ai dipendenti. Che infatti l’hanno bocciata in assemblea.
I sindacati
«I delegati non erano persuasi dall’operazione — afferma il segretario provinciale della Fiom Cgil Padova, Loris Scarpa —. Anche perché nei fatti c’era il rischio che si configurasse comunque una sorta di controllo a distanza. Purtroppo, in questo senso, il Jobs Act ha allargato molto le maglie e lo stesso hanno fatto i meccanismi dell’industria 4.0».
L’azienda
Il punto di vista dell’azienda, però, è completamente diverso. Ed è molto interessante, perché in realtà fa emergere tutti i nodi relativi alla sfida delle nuove tecnologie. «A noi sembrava uno strumento all’avanguardia — spiega Gianluca Pagliari, responsabile compliance e membro del team digitalizzazione —, che avrebbe permesso una maggiore libertà al lavoratore, esattamente come per Amazon. Con l’orologio al polso l’operatore viene “agganciato” e da quel momento può dialogare con le macchine: il terminale segnala anche se mancano le dotazioni di sicurezza. Il problema è che ci sono ancora barriere psicologiche e preventive. Nel nostro caso c’è stato un rifiuto a priori». Ma la privacy, domandiamo, e i diritti dei lavoratori? «La vedo dura bloccare il progresso — continua Pagliari —. Oggi ormai siamo tutti connessi e la privacy è assolutamente teorica. Dal telepass allo smartphone siamo sempre tracciati. E quanti hanno letto le informative della banca sulla carta di credito? Il tema è che la legge è lenta ad adattarsi alle potenzialità dei nuovi strumenti. Noi, in linea con il piano industria 4.0, abbiamo investito 7-8 milioni per connettere linee e magazzini. Poi però ci troviamo davanti barriere all’utilizzo delle nuove macchine».
«Adotteremo gli iPad»
«Dab» comunque non ha intenzione di mollare. «Qui a Mestrino, dove siamo in 200, dopo che sono stati bocciati gli smartwatch adotteremo gli iPad — annuncia Pagliari —. Ma negli altri nostri due stabilimenti italiani, Pisa e Vicenza, siamo pronti a riproporre l’utilizzo dell’orologio. A Mestrino forse il nostro errore è stato quello di non coinvolgere dapprima i sindacati. Ma non possiamo perdere altre occasioni, altrimenti rimarremo all’età della carrozza».
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