L’inizio dei mali: il Libro bianco, il Patto per l’Italia, Monti, Fornero e Poletti
Credo (e spero) di non avere bisogno di alcun testimone “a favore” perché già sufficientemente noto che sono, da sempre, contro la flessibilità “non giustificata” e, soprattutto, quando essa finisce con il fare rima con precarietà!
Sono contemporaneamente contrario, come invece spesso alcuni fanno, a confondere i due termini; finendo con il considerarli sostanzialmente equivalenti.
Ancora tanti, sono, però, coloro ai quali – talvolta per grassa ignoranza – riesce difficile comprendere come una certa dose di flessibilità, naturalmente contrattata, sia essa di tipo numerico o funzionale[1], possa risultare positiva e soddisfacente per cogliere particolari esigenze, naturalmente diverse, ma non sempre divergenti, delle controparti.
Tanto per fare un esempio concreto – relativamente al caso della grassa ignoranza – ricordo di un (abbastanza noto[2]) “addetto ai lavori” che, qualche anno fa, arrivò a scrivere che il “Pacchetto Treu” era da considerare responsabile dell’avvio, nel nostro Paese, del c.d. lavoro parasubordinato. Un’affermazione assolutamente assurda; una evidente ed incredibile “bufala”.
A parte “incidenti di percorso” così eclatanti, è, purtroppo, vero che, ancora oggi, si rileva, con una certa frequenza, la tendenza ad indicare la legge 196/97 come la “madre di tutti i mali”; quella, cioè, che avrebbe dato l’avvio ai rapporti di lavoro precari esistenti in Italia.
È questo, credo, sia un caso riconducibile a due diverse e ben distinte cause.
L’una, prodotta da scarsa attenzione e/o eccessiva e sbrigativa semplificazione del problema; l’altra, dettata (certamente ed inequivocabilmente) esclusivamente da una ostinata strumentalizzazione politica.
Più avanti richiamerò, brevemente, l’attenzione sulla seconda.
Prima, però, è doveroso che io esponga i motivi che mi inducono a ritenere di dover intervenire a (parziale) favore della famosa legge Treu (nr.196 del 24 giugno 1997), quando essa viene accusata[3], attraverso le pagine di http://www.lavoroesalute.org, di aver introdotto “Una tipologia contrattuale che rende il lavoratore dipendente dai voleri di una agenzia e dagli umori padronali che possono determinare l’allontanamento di una forza lavoro riluttante a subire soprusi e ingiustizie”.
Lo faccio in ossequio a quella che, una volta, s’indicava come “Onestà intellettuale”.
Non che mi reputi un intellettuale; è solo per rispetto della realtà dei fatti, che, dunque, pur condividendo tutte le negatività che l’autore dell’articolo attribuisce al lavoro interinale – così come oggi è ridotto – sostengo che il “La fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, come prevista dal Treu con la 196/97, era un’altra cosa!
In questo senso, è certamente vero che essa realizzava – per la prima volta, nella storia della Legislazione del lavoro italiana – una deroga al rapporto, fino ad allora inscindibile, tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, inserendo tra gli stessi la figura della c.d. “Impresa fornitrice”, alias Agenzia, ma lo faceva prevedendo una serie di limiti, divieti, obblighi e condizioni varie che concorrevano a definire in maniera inequivocabile il potere unilaterale dei datori di lavoro e, contemporaneamente, continuavano a garantire, ai lavoratori, il pieno godimento di diritti e tutele.
Al riguardo, eviterei volentieri di essere pedissequo, ma, come prima cosa, non posso non evidenziare che quello previsto da Treu era lavoro c. d. interinale solo ed esclusivamente a carattere temporaneo.
Contemporaneamente, erano chiaramente indicati i casi in cui era possibile ricorrervi e i motivi che ne impedivano l’utilizzo; fino a prevederne il divieto assoluto per le qualifiche di esiguo contenuto professionale e per le lavorazioni particolarmente pericolose; oltre quelle che richiedessero una sorveglianza medica speciale!
Esso nasceva, quindi, dalla presa d’atto, anche da parte sindacale, oltre che politica, dell’opportunità di garantire ai datori di lavoro la possibilità di ricorrere a prestazioni di lavoro temporanee – quindi, straordinarie, nel senso di aggiuntive alla forza lavoro ordinaria – attraverso il ricorso a lavoratori formalmente dipendenti di una Impresa fornitrice (di lavoro temporaneo); ferme restando tutte le garanzie delle quali disponevano ancora i lavoratori subordinati nell’ anno di grazia 1997; compresa la tutela prevista dalla c.d. “giusta causa”, in piena vigenza dell’ art. 18 dello Statuto.
In definitiva: a) prestazioni lavorative per esigenze esclusivamente temporanee, b) limiti invalicabili, in termini numerici e normativi, c) diritti e tutele per i lavoratori coinvolti, d/) esigenze straordinarie del ciclo produttivo delle imprese utilizzatrici; questo era il lavoro interinale previsto e normato attraverso la legge Treu.
Tutto quello che, di più negativo, è oggi riconducibile al lavoro in affitto, ad esempio: in termini di superamento della temporaneità e di quasi irreversibile precarietà cui sono condannati i lavoratori coinvolti, rappresenta l’effetto delle controriforme operata dai governi succedutisi a Prodi.
Per tutto quanto attiene, poi, alla strumentalizzazione politica che, a mio parere, è dietro l’indicazione della 196/97 quale avvio della fase di flessibilità/precarietà nel mercato del lavoro italiano, mi sono già, più volte, espresso; anche attraverso lo stesso http://www.lavoroesalute.org.
Mi limiterò ad evidenziare che molti, tra coloro i quali sostengono che “tutto ebbe inizio” con il c.d. Pacchetto Treu, lo fanno unicamente per sviare l’attenzione dalle enormi responsabilità che sono, invece, riconducibili alla legge-delega 30/03, anch’essa (impropriamente e altrettanto strumentalmente) richiamata sempre come legge “Biagi”) e al suo decreto applicativo 276/03.
Infatti, anche se si tenta ancora di “mischiare le carte”, fu, in effetti, il decreto legislativo nr. 276 del 10 settembre 2003, a introdurre nel nostro ordinamento le norme da cui scaturirono le ulteriori condizioni di estrema precarietà cui è costretta buona parte dei lavoratori italiani.
La conseguenza è che, allo stato, alle controriforme apportate – tutte in negativo, per i lavoratori – ai rapporti di lavoro part/time e a tempo determinato (grazie alla gravissima corresponsabilità di Cisl e Uil), si aggiunge la miriade di tipologie contrattuali introdotte, appunto, dal 276/03.
Alla legge 196/97 si potrebbe, in definitiva, addebitare l’unica colpa di avere concesso una prima, seppure importantissima, deroga ad un principio che, con il senno di poi, sarebbe stato opportuno continuare a salvaguardare. Fatto è che nulla, in quel lontano 1997, poteva lasciar presagire che: il susseguirsi di Accordi separati, il Libro bianco, il Patto per l’Italia, il governo (tutt’altro che tecnico) Monti, e le sciagurate gestioni della Fornero e di Poletti – di quello che fu il prestigio Dicastero diretto da straordinari personaggi quali Brodolini e Gino Giugni – avrebbero concorso a determinare una serie di controriforme che hanno, in sostanza, demolito quei diritti del lavoro così faticosamente conquistati attraverso lotte durate oltre un secolo.
[1] Luciano Gallino, “Il costo umano della flessibilità”, Laterza Editore.
[2] Mi spiace, purtroppo, non ricordarne il nome (ndr).
[3] Federico Giusti, “Da venti anni continua l’avanzata del lavoro interinale”, 15 febbraio 2018.
Renato Fioretti
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
16/2/2018
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