CGIL. E’ davvero positivo il bilancio di questi 4 anni? È ora di cambiare! Per una svolta della Cgil.
La Cgil avvia il suo 18° congresso con una traccia per le Assemblee Generali, intitolata Il Lavoro E’. Questa traccia conferma le scelte di questi anni, senza alcun bilancio critico degli insuccessi della CGIL e dei profondi arretramenti del lavoro: l’interruzione nel vuoto delle lotte contro il Jobs act, le pensioni e la Buonascuola; la stagione a perdere dei contratti nazionali, il fallimento dell’iniziativa referendaria su art. 18 e voucher (che non viene nemmeno citata nel testo).
Non solo. Questa traccia conferma la strategia del precedente congresso, dopo che nel 2012 la Cgil non si era opposta alla “Fornero” né sulle pensioni, né sulla cancellazione dell’art.18 e degli ammortizzatori sociali. Ci si proponeva allora, e si ripropone oggi nella traccia, di gestire la crisi con un grande compromesso col padronato italiano ed europeo: in Italia (Piano del lavoro, investimenti pubblici crescita della produttività) ed in Europa (Eurobond, politiche fiscali omogenee, riforma della BCE con obiettivo del pieno impiego, insomma un tentativo di rilancio dello stato sociale a livello continentale).
La crisi però è profonda. Incentiva disuguaglianze e conflitti. Spinge masse spossessate a migrare. Stimola guerre monetarie, commerciali e anche militari (per ora ai margini delle aree di influenza delle grandi potenze). La fragile ripresa sostenuta da Banche centrali, debiti e crescita asiatica non è quindi sufficiente a sostenere questo compromesso.
Questa strategia, semplicemente, non funziona. La prima condizione per cambiare passo è uscire dalla logica delle compatibilità. Mettere in discussione la priorità dello sviluppo, della competitività e della produttività. Mettere in discussione l’Unione Europea dei tecnocrati e dei banchieri, che sfrutta il lavoro e divide le popolazioni.
La Cgil deve riconquistare la propria autonomia: l’autonomia del lavoro da ogni altro interesse, oltre che da ogni altra istituzione, governo, partito e impresa.
Per questo serve un cambiamento: serve un’altra linea e servono altre parole d’ordine rispetto a quelle proposte nella traccia. Parole concrete, comprensibili e vicine ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori. Parole sulle quali sia più semplice, e immediato, misurare i fatti e portare avanti il nostro intervento.
IL BILANCIO, DAL 2014 A OGGI
In questi anni sono progressivamente peggiorate le condizioni di vita e di lavoro. Imprese, governo e padronato hanno utilizzato la crisi per tagliare i salari, ridurre i diritti, aumentare i ritmi e smantellare lo stato sociale (servizi pubblici e beni comuni). Dal Jobs act, all’automatismo degli scatti della “Fornero”, dalla Buonascuola ai decreti Madia sul pubblico impiego, dai tagli alla spesa pubblica fino alla cancellazione della mobilità e della cassa per cessazione (aggravando le condizioni di centinaia di migliaia di licenziati). La traccia riconosce esplicitamente che questi sono “punti di rottura con i lavoratori e le lavoratrici”: “ferite aperte e non rimarginate”. Ma il punto è: come si è combattuto contro questi provvedimenti, e come si propone ora di continuare a combattere?
Davanti a tutte queste offensive, la Cgil ha solo accennato e poi interrotto le lotte, con mobilitazioni di posizionamento disperse nel vuoto, sul Jobs act (con lo sciopero in ritardo nel 2014), come sulla Buona scuola (quando in autunno 2015 si è fermato tutto, nonostante la grande mobilitazione di maggio) e infine sulle pensioni (senza nessuna continuità con i cortei del 2 dicembre dell’anno scorso.
Poi ha provato a spostare il campo sul terreno politico, con alcune campagne scollegate dai conflitti sociali. Prima con una proposta di legge di iniziativa popolare, la Carta dei Diritti (senza possibilità, ieri come oggi, che venga anche solo discussa in Parlamento), poi con la campagna referendaria su articolo 18, voucher e appalti (ma non sulla scuola, non a caso). Il risultato è stato evidente, anche questa risposta della CGIL si è arenata nel vuoto: i referendum su art.18 e voucher sono stati dribblati e la Carta dei diritti è rimasta solo… sulla carta.
In questo quadro, la stagione di rinnovi contrattuali è stata sostanzialmente a perdere. A parole si sono rivendicati aumenti “ben oltre la perdita del potere di acquisto” (Linee guida CGIL CISL UIL, gennaio 2016). Altrettanto si ripete nella traccia proposta alle Assemblee Generali. I risultati però sono stati spesso al di sotto dell’inflazione (metalmeccanici), anche a fronte di anni di blocco (pubblici). E, quasi ovunque, sono stati scambiati con peggioramenti contrattuali, in particolare sui premi di risultato (collegati alla prestazione) e sull’orario (flessibilità, anche festive e domenicali). Inoltre si è sviluppato il welfare contrattuale (sanità integrativa e previdenza complementare, ma anche buoni spesa), a danno di quello pubblico, logorato da tagli e privatizzazioni. Nella traccia, però, non c’è un solo accenno critico a questi risultati.
E’ mancata anche la lotta nelle crisi aziendali. Ci sono state resistenze, certo, importanti e coraggiose. Ma è mancata la capacità di costruire una vertenza più generale, che fosse in grado di chiedere la nazionalizzazione delle aziende in crisi, soprattutto quelle strategiche, come Ilva, Alitalia, AST di Terni o ex-Lucchini di Piombino.
È ORA DI CAMBIARE
Senza conflitto non si fermano le controriforme, non si conquista salario, non si difendono diritti e stato sociale, non si impediscono le chiusure aziendali. Nella traccia non compare mai, nemmeno una volta, la parola sciopero!
È invece ora di riprendere il conflitto, senza avere paura di pronunciare la parola sciopero generale. Un conflitto in primo luogo su salari, orari e diritti, per riconquistare condizioni di lavoro dignitosi.
Crediamo, allora, che il congresso dovrebbe confrontarsi con questo bilancio e provare a invertire la rotta, anche a fronte del quadro delle ultime elezioni.
Alzare i salari: aumenti uguali per tutti, attraverso i contratti nazionali e le parti fisse della busta paga, senza i vincoli dell’inflazione senza parametri variabili e incerti come produttività, presenza e criteri meritocratici legati alla discrezionalità dei dirigenti.
Contrastare il welfare contrattuale e il suo inserimento nella struttura salariale (come invece è previsto dall’ultimo contratto metalmeccanici e dalla definizione di TEM e TEC dell’accordo quadro con Confindustria). Nella traccia si propone, invece, di “ricondurlo” a una funzione integrativa, attraverso sinergie con i sistemi nazionali e territoriali, cioè prevedendo di fatto la possibilità di differenze non solo tra posti di lavoro ma anche tra aree del paese.
Sanità scuola, università e servizi sociali devono essere pubblici e universali.Come i Beni comuni. Dobbiamo difendere e ricostruire un sistema nazionale, senza differenze e disuguaglianze tra territori. Per questo non siamo d’accordo con la traccia, che prevede “nel territorio una rete di welfare solidaristico, incardinato su un governo pubblico del sistema”, cioè prevedendo sistemi integrati con il privato (“no profit e imprese”) e diversità territoriali (declinate come “sviluppo locale”).
Abrogare la Fornero anche per ridurre la disoccupazione, non dobbiamo avere paura di tornare a rivendicare i 40 anni di anzianità e i 60-65 di vecchiaia, eliminando gli scatti automatici e il meccanismo perverso dell’adeguamento alla speranza di vita.
Riduzione generalizzata degli orari e del tempo di lavoro. La si propone nella traccia: bene! Questo infatti è l’unico modo per affrontare la crisi, redistribuendo il lavoro! Però quando si traduce concretamente questa indicazione (“ciò significa”), si propone di perseguirla con “modalità innovative di riduzione o modifica dell’orario di lavoro individuale” (anche attraverso “un sostegno fiscale”). Si tratta allora di una flessibilità che rischia di ridurre i salari e ampliare il controllo dell’impresa sui tempi della produzione, estendendo il lavoro ordinario al sabato e alla domenica. Questa non è la nostra riduzione del tempo di lavoro, che deve invece essere a parità di salario!
Riconquistare dignità al lavoro rivendicando l’abrogazione del Jobs act, il ripristino e l’estensione dell’articolo 18, contrastando la precarietà, il lavoro gratuito, i part-time involontari e le condizioni di iper-sfruttamento. Si deve dire con chiarezza che l’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro va abrogata, non contrattata. E prima di chiedere nuove forme di sostegno al reddito (come il reddito di garanzia), si deve rivendicare la reintroduzione degli ammortizzatori e forme di sostegno al reddito per chi ha perso o non trova lavoro.
Per fermare le morti sul lavoro e le stragi ambientali non basta richiamare l’importanza della cultura della sicurezza. Si deve pretendere il rispetto delle norme, la difesa di tutti coloro che hanno il coraggio di denunciare rischi e inadempienze, gli investimenti da parte delle imprese, la certezza delle pene, l’impegno della Cgil a costituirsi sempre parte civile nei casi di incidente sul lavoro.
Per fare questo, serve un sindacato generale (di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici), antifascista e contro le guerre, plurale (con pari dignità per tutte le posizioni anche al suo interno), e democratico (anche mediante la votazione di tutti/e gli iscritti sulle principali scelte dell’organizzazione). La traccia si conclude però con una “nuova proposta di unità sindacale fondata sulla confederalità”. L’unità dei lavoratori e delle lavoratrici, senza distinzioni di etnia, genere, età, contratto o mansione, è ovviamente fondamentale. L’unità confederale, però, è stata spesso solo burocratica (un freno a lotte e rivendicazioni). Proprio oggi che è necessario rilanciare un sindacato generale, autonomo dai padroni, diventano poi più evidenti le diversità con CISL e UIL, che hanno fatto della complicità con i governi e dell’aziendalismo le loro direttrici in questi anni di crisi.
Noi pensiamo, invece, che serva rilanciare il protagonismo dei lavoratori e le lavoratrici e non quello delle organizzazioni sindacali: tutti/e devono poter votare accordi e piattaforme, i delegati e le delegate devono poter mantenere la propria autonomia, l’agibilità sindacale non può essere condizionata alla firma di questo o quell’accordo, tutti i sindacati devono potersi presentare alle elezioni RSU.
Non è facile ottenere tutto. Ma bisogna tornare a rivendicarlo! Per fare tutto questo, la linea di questi ultimi anni deve essere radicalmente messa in discussione. Il Congresso è l’occasione per discuterne e provare a far contare la propria opinione, a partire dalla discussione sulla traccia nelle Assemblee Generali. Pensiamo sia ora di cambiare radicalmente strada e proporre una linea alternativa. Per questo, mettiamo queste riflessioni a disposizione di tutte e tutti quelli che credono necessario che il sindacato cambi e vogliono provare a realizzarlo.
Eliana Como
4/4/2018
sindacatounaltracosa.org
contatti: sac.opposizionecgil@gmail.com
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