Riders, dopo la brutta sentenza di Torino (Foodora)
Al Làbas di Bologna si sono presentati anche gli ex rider della piattaforma Foodora di Torino. In vicolo Bolognetti, dove si è svolto oggi l’incontro nazionale di coloro che fanno consegne a domicilio, è stato davvero molto partecipato (vedi foto). E così, se il Tribunale del lavoro Torino ha respinto il ricorso contro il trattamento discriminatorio (licenziamento) subito dai fattorini dalla società tedesca di food delivery dopo un lungo periodo di lotta, i protagonisti della cosiddetta “Gig economy” provano a tessere una piattaforma rivendicativa nazionale per spostare in avanti lo scontro. E proprio da Bologna, dove l’accordo per una carta dei diritti è in via di approvazione dopo aver siglato una bozza, si riparte. Tra i programmi anche una iniziativa di mobilitazione il primo maggio a Milano, Torino e Bologna, rigorosamente in bicicletta.
La ‘Riders Union Bologna’, associazione che riunisce i lavoratori delle piattaforme digitali, ha firmato, insieme a Comune e sindacati, la prima ‘Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano’. “Chiediamo di lavorare in sicurezza – ha spiegato Tommaso di Riders Union – con assicurazioni, indennità in caso di maltempo e una paga minima oraria. Se le piattaforme digitali non condivideranno la Carta vedremo: spingeremo perché diventi un protocollo con elementi sanzionatori verso chi non vuole firmarla. Oltre questo, ci mobiliteremo ancora”.
Dopo lo sciopero dei fattorini di Bologna a dicembre, il Comune emiliano ha avviato un confronto con rider e piattaforme. Spiega al sito Wired Marco Lombardo, assessore al lavoro, che nella carta della gig economy “saranno introdotti standard minimi di informazione quando si stipulano i contratti”. La carta prevede anche un meccanismo di “portabilità” della reputazione da una piattaforma all’altra. Per l’assessore rider e sindacati confederali sarebbero disponibili alla firma. E le piattaforme? “Sono ottimista che alcune possano sottoscriverla”. La carta di Bologna potrebbe anticipare una legislazione in Italia sulla gig economy.
I «riders» intendono ribaltare la propaganda digitale secondo la quale i lavoratori delle piattaforme – da quelle del «food delivery» a quelli che operano su Uber, ad esempio – sono «lavoratori autonomi», «auto-impiegati» o «imprenditori di se stessi». Mentre, invece, sono lavoratori parasubordinati che svolgono mansioni in maniera eterodiretta attraverso gli algoritmi quando scelgono di essere operativi secondo le regole di un’azienda. Il riconoscimento di questo status lavorativo è l’oggetto delle lotte dei fattorini e degli autisti Uber in Europa e negli Stati Uniti. Ad esempio, in Inghilterra i «driver» di Uber sono stati definiti «workers» – ovvero lavoratori parasubordinati – in ben due gradi di giudizio dai tribunali del lavoro a Londra. Viceversa, considerarli presunti autonomi significa scaricare tutti i costi d’impresa sulle loro spalle. Questa retorica, scrivono i rider, «nasconde in realtà il dispotismo dell’algoritmo, i diritti negati, il ricatto del rating aziendale, la mancanza di tutele e sicurezza, le paghe sempre più basse».
In Danimarca un sindacato è riuscito a firmare un contratto collettivo con una app che offre servizi di pulizia. La startup Hilfr, che mette in contatto proprietari di casa con colf e addetti alle pulizie, ha siglato un accordo con 3F, il più grande sindacato danese. Il contratto della gig economy introduce una paga oraria minima di 19 euro. È pari a 141,21 corone danesi, quindi leggermente superiore alla media nazionale di 130 corone. Inoltre riconosce contributi previdenziali, per le ferie e una copertura in caso di malattia.
Il nuovo contratto entrerà in vigore il prossimo primo agosto. Per un anno sarà messo alla prova e al termine startup e sindacato torneranno al tavolo per valutare gli esiti. L’accordo distingue gli addetti freelance e i super Hilfr. Questi ultimi beneficiano del contratto collettivo. Un addetto alle pulizie può richiedere di iscriversi in questa seconda categoria, anche se ha lavorato meno di cento ore per la piattaforma.
Viceversa, l’operatore deve chiedere di non essere coperto dall’intesa nazionale.
“Con questo accordo alziamo il livello per la gig economy e dimostriamo come tutti possiamo beneficiare della nuova tecnologia senza compromettere i diritti del lavoro e le condizioni di lavoro”, ha dichiarato uno dei fondatori di Hilfr, Steffen Wegner Mortensen. Per l’imprenditore, “l’economia delle piattaforme soffre di una reputazione offuscata perché troppe piattaforme stanno praticamente digitalizzando l’elusione fiscale e le cattive condizioni di lavoro e sostengono che è molto innovativo”.
Secondo Tina Møller Madsen, al timone di 3F Servizi, “con questo contratto collettivo stiamo creando un ponte tra il “modello del mercato del lavoro danese” e le nuove piattaforme digitali”. E ha proseguito: “Stiamo offrendo risposte iniziali a uno dei principali temi del nostro tempo: come trarre i benefici della nuova tecnologia senza compromettere i diritti del lavoro e condizioni di lavoro adeguate”. Alla firma del contratto della gig economy ha presenziato anche il primo ministro danese, Lars Løkke Rasmussen.
All’assemblea di Bologna ha partecipato anche una delegazione di fattorini dal Belgio, dove di recente l’Ispettorato del lavoro ha riconosciuto i rider di Deliveroo come lavoratori subordinati, e Jerome Pimot, portavoce dei colleghi francesi uniti nella sigla Clap.
Fabrizio Salvatori
15/4/2018 www.controlacrisi.org
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