I 4 padroni della rete – Google
Segue dalla terza parte.
Se Facebook rappresenta il desiderio e Amazon il consumismo, Google è la religione. Nell’accezione di un credo del tutto diverso da quello che rappresentano gli ideali di una verità inconfutabile per i credenti. Google è la religione “immaginata” del popolo della rete. Il perché lo motiva Scott Galloway nel suo saggio “The four – I padroni”, sottolineando la tendenza della maggior parte dell’umanità a credere che ci sia un potere superiore, un credo assoluto a cui bisogna tendere senza dubitare. Da qui, da questa irrazionale fiducia ne deriverebbero benessere psicologico e cooperazione fra popoli.
Carl Sagan, famoso astrofisico ed epistemologo dello scetticismo scientifico del Novecento, sulla religione immaginata ebbe a dire “una religione che sottolineasse la magnificenza dell’universo per come è rivelata dalla scienza moderna potrebbe forse attingere a riserve di stupore e riverenza che le fedi convenzionali non riescono a suscitare. Prima o poi nascerà una religione così”. Smentendo quindi il presupposto di infallibilità e di fede assoluta che si è ingenerato nei popoli, credendo per antonomasia in un dio ghost. La stessa fede religiosa, causa di guerre sanguinarie, che il nostro Marx definì, non a caso “L’oppio dei popoli”, descrivendo in questo modo la religione, nella sua Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale”.
Per Marx, l’uomo ricorre alla religione, come fosse una droga, per compensare le sue insoddisfazioni. Vive quindi, immerso nella preghiera e in una ottusa fede, una condizione irreale (virtuale) per poter meglio sopportare la situazione materiale in cui vive. Se ne evince che non è la religione che fa sì che si attui lo sfruttamento sul piano materiale (come invece credeva Feuerbach), ma, al contrario, è lo sfruttamento capitalistico che fa sì che l’uomo si crei, nella religione, una dimensione migliore, pur se fittizia, nella quale poter continuare a vivere e a pensare ad un miglioramento delle sue condizioni materiali. Perché scomodiamo le teorie del valore del Moro di Treviriparlando di Google? Proprio perché, in questa esplorazione sulle 4 aziende made in Usa, economia, filosofia, antropologia e persino la religione ne costituiscono quei principi base che ci offrono risposte esaustive alle ormai rituali domande leit motiv di questo viaggio fra le aziende colosso della Silicon Valley. “Come hanno fatto queste aziende a entrare nella nostra vita, nel nostro privato ed appropriarsene, sfondando il muro della privacy e gestendo i nostri dati a loro uso e consumo? E perché nonostante i vari errori gestionali che avrebbero fatto fallire qualsiasi altra impresa sono sempre più in auge sui mercati mondiali? E a quali strategie ricorrono per sfruttare il capitale umano in rete?”
E per comprendere come Google sia riuscita a fagocitare l’interesse quotidiano del popolo della rete, alzando a suo profitto cifre e quotazioni in Borsa da capogiro, pensiamo che le teorie di Galloway e Sagan abbiano in sé elementi fondanti. Google è quindi la nuova religione, una religione immaginata, il nuovo oppio dei popoli versione online. In una società mondiale, totalmente assoggettata all’economia dei mercati la religione classica sta morendo. “Negli Usa – cita Galloway nel suo saggio – negli ultimi venti anni il numero di persone che non dichiara alcuna affiliazione religiosa è aumentato di 25 milioni. Il segnale più forte di miscredenza è l’uso di Internet. L’accesso alle istruzioni e alle informazioni ha messo nei guai la fede religiosa”. E potrebbe essere un segno di emancipazione dagli stereotipi disastrosi a cui conduce una credenza religiosa, se non ci fosse l’altro disastro parallelo, quello della fede in internet.
Lo slogan che presenta l’altra faccia di un’umanità dotata di curiosità e di sete di conoscenza è il sempliciotto“Buono a sapersi”. Dall’oracolo di Delfi che invitava al Gnothi sautón (Conosci te stesso), all’Illuminismo che fece fuori miti e credenze popolari all’insegna del Sapere aude (Abbi il coraggio di conoscere). E per fortuna ne siamo animati, vogliamo sapere e vogliamo conoscere la verità, o quanto ci sia di più vicino e credibile. Se non arriva a supportarci in tempo la cultura e il buon senso come metodo di selezione, nessun altro può fornirci le risposte immediate e quasi sempre documentate da fonti per ogni tipologia di interrogativo come il motore di ricerca dellaMountain View (Usa), nato a Menlo Park il 4 settembre del 1998. Ѐ di Google che parliamo, la nuova religione immaginata dei popoli che con le sue strategie di advertising (cioè quella forma di comunicazione usata per diffondere idee e prodotti influenzando le scelte di un target di pubblico) usa la nostra sete di sapere per trasformarci in merce e aumentare il profitto delle sue aziende sparse in tutto il mondo.
Colosso Google
L’azienda nasce nel 1998 per volere di due studenti dell’Università di Stanford, Larry Page e Sergey Brin. Il sistema informatico venne elaborato sulla teoria della connessione fra un motore di ricerca e i siti web, in cui già vi proliferavano molti internauti, alla ricerca del desiderio perduto, di risposte immediate alla richiesta di informazioni e ai perché dell’esistenza. Il mercato globale e la società liquida (Bauman) si andava sempre più radicando in tutti i contesti sociali, dando l’apparenza di una abolizione definitiva della differenza fra le classi sociali. A tutti apparve accessibile ogni prodotto di mercato, ma anche sentirsi parte di una collettività, sia pur virtuale, pubblicando di tutto nei network, anche scempiaggini. “Sui social network si dà diritto di parola a legioni di imbecilli”, così si espresse Umberto Eco durante la cerimonia all’Università di Torino, durante la quale gli venne assegnata la laurea honoris causa in comunicazione. “La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”
Esaudire i desideri di socializzazione e praticare consumismo divenne ben presto a portata di mano, anzi di click. Nel mezzo del famoso imbuto, più volte citato in questo viaggio nelle 4 aziende colosso, c’è Google, la cui sede centrale è in California, nel quadrante Googleplex, che comprende, oltre a Google Search anche il sistema operativo Android e inoltre: Youtube, gmail, google maps, google play, chrome, play store, google+, google earth, google maps. L’azienda californiana è oggi una delle maggiori aziende informatiche globali con un valore in borsa che ha già sforato i 740 miliardi di dollari. Dal 2015 è una controllata della holding Alphabet e il tycoon è Larry Page, lo studente che, con un colpo di genio e con lo sfruttamento sottile di merce umana è uno dei maggiori tycoon nel mondo dell’advertising.
Da dove provengono i profitti di Google?
Abbiamo davvero la certezza che tutti i servizi offerti da Google siano gratuiti? Noi disponiamo di una casella gmail di posta, di google Drive per archiviare file e condividerli, di chrome per navigare, di Youtube per i video, di Hangouts per le videochiamate, google libri, google Maps, google Earth e così via. E tutto questo ci viene offerto gratuitamente, senza dover dare nulla in cambio?
Ѐ importante conoscere, a questo punto, perché Larry Page, lo stramiliardario tycoon grazie all’esponenziale crescita della sua azienda, sia così magnanimo con milioni di persone connesse e che usufruiscono dei molteplici servizi erogati dalla sua azienda. Possibile che un capitalista di tale potenza abbia accumulato enormi profitti senza chiedere ai visitatori del motore di ricerca un contributo in soldoni? Qui qualcosa non quadra. Qual è la fonte dei suoi guadagni, infine? Facile da intuire, la dinamica e la modalità per fare cassa è sempre la stessa:l’advertising, ovvero la pubblicità, che macina profitti tramite le piattaforme Google Adwords (sponsor sul motore di ricerca) e Google Adsense (pubblicità su altri siti).
La maggioranza dei guadagni derivano dall’advertising che consente l’entrata di fiumi di soldi a getto continuo nelle casse di Google, consentendo a Page di fare il “benefattore” offrendo ai naviganti tutti quei servizi. Ma non è proprio così infine, la vera fonte di guadagno per il colosso sono gli eternamente connessi, credenti nella nuova religione immaginata che è la rete da cui dipendono ormai, perdendo la privacy e facendosi subdolamente strumentalizzare come fossero davvero merce. Perché merce? Perché se non sbandierassero continuamente la loro vita nel dettaglio, fino al colore dei calzini del coniuge, al cantante preferito, la marca dello zaino scelta per il pargolo al primo ingresso a scuola, i fiori preferiti dalla mamma e la marca di sigarette del babbo, e se non chiedessero continuamente risposte ai loro infiniti perché al dio Google, questi non saprebbe quali sono le preferenze commerciali, né le fragilità esistenziali e non avrebbe le directory per piazzare i più vincenti sponsor pubblicitari, in base ai desideri espressi.
Avrebbe difficoltà a dirottare sui nostri profili, nei vari canali in cui ci siamo “loggati”, sponsor su misura per incitarci a spendere in acquisti nel mercato globale e non potrebbe guadagnare spudoratamente con l’advertising. Quei milioni di click su google search non si arrestano mai, perché la sete di sapere dal nuovo dio che tutto sa e a tutto provvede, è immediatamente appagata: basta un click. Google non aspetta altro, ma non è un buon dio. Ѐ anche lui, come Facebook e Amazon, animato da un solo demone: il capitalismo. Che poi, ci basta davvero conoscere il sottile adescamento per rinunciare a quei click?
Fonti:
- S. Galloway, The Four. I padroni, Hoepli, 2018
- Autori di Wikipedia, “Google”, Wikipedia, L’enciclopedia libera, https://urly.it/34rq (controllata il 20 aprile 2018)
- R. Perini, Come Guadagna Google?, Riccardo Perini, https://urly.it/34rp, (controllata il 20 aprile 2018)
- D. Thompson, Come Facebook e Google guadagnano soldi con il nostro tempo, Internazionale, https://urly.it/34rn, (controllata il 20 aprile 2018)
Alba Vastano
21/4/2018 www.lacittafutura.it
Link alle parti precedenti di questo articolo:
- I 4 Padroni della rete (prima parte)
- I 4 Padroni della rete (seconda parte) – Facebook
- I 4 padroni della rete (terza parte) – Amazon
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