Sul nuovo governo la realtà dei fatti a prescindere dagli opinionisti
Nel lontano febbraio del 1994, una mia giovane nipote – da qualche anno diplomatasi presso quello che all’epoca era un rinomato “Istituto Tecnico Statale per ragionieri e periti merceologici” – doveva recarsi a Milano, per sostenere, presso un grande Istituto bancario, un “colloquio” propedeutico all’assunzione.
Naturalmente, era preoccupatissima. Superati brillantemente, in sede locale, tanto gli esami scritti, quanto quello orale, non riusciva ad immaginare in cosa potesse consistere quell’ulteriore prova.
Quando mi chiese consiglio, cercai di fornirle il maggior numero possibile di informazioni rispetto a una metodologia che le imprese medio/grandi avevano cominciare ad adottare, già da alcuni anni, anche in Italia – sulla scorta di esperienze statunitensi – per la selezione del personale.
Le anticipai che, probabilmente, non sarebbero stati neanche sottoposti ad alcun colloquio “singolo”; ma a prove di carattere “collettivo”.
Come, ad esempio, essere lasciati (sette/otto esaminandi), seduti intorno a un tavolo, in (apparente) attesa di un esaminatore che sarebbe apparso solo di lì a una buona mezz’ora, perché, nel frattempo, sarebbero stati osservati ed ascoltati.
Le consiglia, quindi, di non restare in silenzio e in attesa – come, prevedibilmente, tutti gli altri candidati, ciascuno preso dalla preoccupazione e dall’ansia per l’imminente esame – ma di “rompere il ghiaccio” subito; auto-presentarsi, invitare gli altri a fare altrettanto e mantenere viva una conversazione, cercando di coinvolgere il maggior numero possibile dei presenti. Sarebbe servito per dimostrare le proprie capacità dialettiche, abilità nel coinvolgere più persone e padronanza nel gestirne una discussione di gruppo. Avrebbe, certamente, fatto un’ottima impressione sugli esaminatori.
(cosa che le fu, successivamente, riconosciuta)
Naturalmente, nell’ipotesi in cui fosse stata sottoposta anche a un colloquio di carattere personale, la invitai a rispondere (sinteticamente, ma esaurientemente) alle varie domande mostrando sì determinazione, ma anche la massima disponibilità ad accogliere suggerimenti altrui. Così come le consigliai di non dichiarare di essere già prossima alle nozze e di avere un grande desiderio di provare presto le gioie della maternità. La istruii anche rispetto ad eventuali richieste di disponibilità, immediata o futura, di trasferimento all’estero; lontana dagli affetti familiari. Dulcis in fundo, considerato che eravamo in clima elettorale, appena dopo la c.d. “discesa in campo” di Berlusconi, la istruii anche rispetto a eventuali domande di carattere politico (che, puntualmente, le furono poste).
Nello specifico, ad una eventuale domanda, circa il suo giudizio rispetto alla bontà o meno della scelta di Berlusconi, le consiglia di cavarsela sostenendo che, trattandosi di un imprenditore di sicuro successo con idee sicuramente innovative, il suo ingresso in politica avrebbe potuto scuotere, in senso positivo, quel mondo della politica che veniva da un biennio durante il quale era successo il finimondo.
In definitiva, quale che fosse il suo giudizio sulla persona del capo di Forza Italia – che lei, oculatamente, avrebbe dovuto evitare di esprimere – le suggerii di dire che, se la valutazione politica sul recente passato non consentiva alcuna incertezza – circa il risultato fallimentare ottenuto dalle forze che si erano alternate al governo del Paese – appariva più che ragionevole sperimentare il nuovo (Berlusconi); quale che ne fosse il giudizio!
Oggi, quella giovane e timida candidata, è uno dei massimi dirigenti della sede londinese di quella banca.
Ho voluto riportare quest’episodio di carattere strettamente personale al solo scopo d’introdurre che, nel 1994, all’indomani dello tsunami che aveva travolto una consistente parte della classe politica italiana (con imperitura gratitudine per l’ostinato silenzio del “compagno G”), l’improvvisa apparizione, sulla scena politica, di un personaggio alla Silvio Berlusconi, offriva, comunque (a molti), la possibilità di sperimentare, qualcosa di “nuovo”.
In questo senso, anche coloro che godevano di maggiori e più particolareggiati elementi, per meglio valutare la figura del novello “competitor”- quali, ad esempio: i numerosi dubbi e le tante perplessità che aleggiavano intorno alla sua figura di “imprenditore d’assalto”, le nebulose origini delle cospicue disponibilità economiche e le poco raccomandabili “compagnie[1]” – non potevano non riconoscere che si trattasse, in ogni caso, di un elemento di novità nell’ormai asfittico panorama politico italiano.
A cominciare dal “Contratto con gli italiani”, firmato in diretta televisiva!
Se, però, valutazioni di questo genere potevano essere comprensibili e, da molti, anche condivise, al momento della “discesa in campo” dell’Unto[2] del Signore, appare, a mio parere, politicamente molto grave che si ripetano oggi – alla vigilia di un possibile governo Lega/M5S – anche da parte di autorevoli commentatori politici.
Alludo, in particolare, alla posizione espressa da Antonio Lettieri, attraverso un articolo[3] pubblicato, on line, il 17 c.m. su “Eguaglianza & Libertà”.
In pratica, l’ex Segretario della gloriosa Fiom degli anni ’70, nel prendere spunto da un articolo pubblicato[4] dal Financial Time – che, nel paragonare la Lega e il M5S alle orde barbariche di Alarico, che, nell’agosto del 410, perpetrarono il c.d. “Sacco di Roma”, ne difendeva, contemporaneamente, la legittimità politica a rappresentare coloro che li avevano democraticamente eletti – arrivava alla risoluzione secondo la quale:” Assunto il giudizio assolutamente negativo su quanto prodotto, nell’ultimo ventennio, dalle vecchie forze politiche, non resta altra alternativa che scommettere sul futuro e sperimentare l’unico governo reso possibile dall’esito delle elezioni del 4 marzo u.s. L’alleanza Lega e M5S; di là di qualunque giudizio di merito”.
Una conclusione che, personalmente, mi permetto di definire assolutamente inaccettabile.
Che stento a collegare all’attuale Presidente del Ciss[5] e Condirettore, insieme a Pier Carniti, del sito “Eguaglianzaelibertà”.
Credo, infatti, che, sperimentare un governo Salvini/Di Maio, non rappresenti, in assoluto, un evento auspicabile; né per il bene del Paese (in generale), né per quello dei lavoratori (in particolare)!
Tra l’altro, anche partendo da un giudizio comune, rispetto a tutto quanto, di negativo, è stato prodotto dai governi che – fatte salve le brevi e, comunque, non esaltanti “parentesi” Prodi – si sono succeduti, nel corso degli ultimi 35 anni, in Italia, riesce difficile approvare un’opzione, a favore dei due ambiziosi giovani, “a prescindere” da un’attenta valutazione delle posizioni politiche che, in sostanza, hanno espresso nel corso della campagna elettorale e che, probabilmente, si apprestano a mettere al centro della XVIII Legislatura.
È questo, a mio avviso, il grosso errore politico che commette Lettieri. Un’insolita “apertura di credito” a favore di due soggetti la cui (eventuale) futura azione di governo ci farebbe correre il concreto rischio di condividere l’amaro destino[6] del famoso pesciolino che tentava di evitare di finire fritto.
In questo senso – senza dimenticare l’ignominioso destino subito da quello sottoscritto nel “salotto[7] d’Italia” – per sapere cosa ci si può aspettare da quello che il Direttore di EguaglianzaeLibertà considera, tutto sommato, un futuro da provare “di là di qualunque giudizio di merito”, è (quasi) del tutto inutile attendere la versione definitiva del nuovo “Contratto di governo”, preparato dalle “teste d’uovo” della Lega e del M5S.
E’, quindi, sufficiente fare riferimento alle questioni che hanno rappresentato, tanto per Salvini, quanto per Di Maio, le “parole d’ordine” della campagna elettorale. A questo proposito, superando la tentazione di approfondirne il senso teorico e le conseguenze pratiche, ma solo per evitare di dimenticarne e/o sottovalutarne, colpevolmente, la portata, rilevo le reiterate invocazioni xenofobe e i frequenti appelli “identitari” che, tra l’altro, hanno rappresentato una costante della suddetta campagna.
Eviterò anche di tediare gli eventuali lettori precedendo ad analizzare, nel merito, quello che appare dalle bozze – più o meno volontariamente lasciate circolare, per soddisfare la curiosità dei media – rispetto ai singoli punti dell’accordo politico. Mi limiterò ad alcune considerazioni su tre questioni che, a mio avviso, rappresentano punti dirimenti rispetto ai quali poter emettere, serenamente, un giudizio politico complessivo.
Intendo riferirmi, nell’ordine, al c.d. “Reddito di cittadinanza”, al “Salario minimo legale” e all’eventuale “Flat tax”.
Ebbene, rispetto al primo punto, dovrebbe essere a tutti noto – in particolare a chi, come Antonio Lettieri, ha “speso una vita” per cercare di garantire ai lavoratori le migliori condizioni possibili di vivibilità – che si tratta, in effetti, della classica medaglia a due facce.
Infatti, il reddito di cittadinanza, soprattutto – ma non necessariamente – se, diversamente da quanto in origine previsto dai 5 Stelle, dovesse realizzarsi nella sua forma classica; cioè, nel senso della universalità incondizionata (come, di norma, presente in Europa), può, indifferentemente, rappresentare tanto uno strumento “di sinistra”, quanto quello di un classico liberismo di destra.
Svolge una funzione di sinistra se, come nelle vecchie socialdemocrazie europee (Germania e paesi scandinavi) si abbina a un welfare universale che, seppure in un sistema economico di tipo capitalistico, tende a garantire una (sostanzialmente) equa distribuzione del reddito nazionale.
Contemporaneamente, può assumere la veste (strategica) per una destra ultra-liberista. Uno strumento attraverso il quale qualsiasi destra “illuminata” si garantisce il primato dell’azione politica e di governo; limitandosi a concedere, oggi come ieri, “Panem et circenses!”.
Relativamente all’ipotesi dell’istituzione, anche nel nostro Paese, di un salario minimo legale, ho già avuto occasione – anche su questo sito – di esprimere la mia assoluta contrarietà.
Senza, naturalmente, riproporre le cose già dette[8], mi limito a rilevare che il valore orario di un eventuale salario minimo stabilito per legge – rispondente alle aspettative dei suoi sostenitori – non potrebbe che essere più basso degli attuali “minimi contrattuali” di categoria.
Un valore superiore a quello dei minimi previsti dai diversi Ccnl – come i 9/10 euro orari che prometteva Renzi in campagna elettorale – non avrebbe senso!
Ebbene, una soluzione del genere – e desta meraviglia che un ex, prestigioso, leader sindacale come Antonio Lettieri non se ne preoccupi – sarebbe esiziale, per gli interessi dei lavoratori.
Di norma, non amo esternare certezze – le lascio a chi, spesso, è poi costretto a pentirsene – ma, a questo riguardo, sono pronto a scommettere che assisteremmo, eventualmente, in un prossimo futuro, ad un’interminabile serie di mancati rinnovi contrattuali di categoria.
A quel punto, gl’imprenditori italiani che, nella stragrande maggioranza, hanno sempre mostrato di avere una visione molto parziale del loro ruolo di classe dirigente, dedicandosi, con particolare accanimento, al contenimento del costo del lavoro e alla riduzione dei diritti dei lavoratori, assumerebbero le vesti di tanti, piccoli, Marchionne: addio ai rinnovi dei Ccnl e paghe, per milioni di lavoratori, fissate, non più in base ai precedenti minimi contrattuali, ma al ben più allettante – per i datori di lavoro – salario minimo legale.
Antonio Lettieri la considera, forse, un’ipotesi catastrofica ben lungi dal potersi realizzare? Non invidio la sua certezza!
Terza ed ultima, ma non meno preoccupante, questione, l’eventuale istituzione di una Flat-tax.
A questo proposito, c’è veramente poco da disquisire. In qualsiasi versione essa venga adottata, la modalità (sostanzialmente) “forfettaria” di pagare le tasse – con un’unica aliquota o, al massimo, due -abbinata a un notevole contenimento della progressività, rappresenta, innanzi tutto, la negazione di un’elementare norma di equità sociale.
I benefici, ancora una volta – e tanto per non cambiare, rispetto a Renzi e Gentiloni – andranno a favore di coloro che godono di redditi medio-alti.
Con buona pace di quanti – poveri illusi, in buona fede – immaginavano che, assimilata (giustamente) la politica renziana al peggiore neo-liberismo possibile, potessero tornare a respirare aria “di sinistra” rifugiandosi nel Movimento di quel vecchio comico cui, tra l’altro, non si potrà neanche contestare di aver mentito.
Le posizioni politiche del M5S erano a tutti note; così come lo erano quelle dello stesso Salvini che, solo fino a pochi mesi fa, si divertiva, con i suoi degni compari, cantando: “Chi non salta, napoletano è”.
E su tutto questo – punta di un iceberg, le cui dimensioni reali sono tutte ancora da scoprire – dovremmo, secondo Antonio Lettieri, evitare qualunque giudizio di merito per scommettere, sulla pelle dei disoccupati, lavoratori, giovani e pensionati, a favore del duo Salvini/Di Maio.
Ricordo a me stesso che, già in un’altra occasione, l’Italia, afflitta da una grande crisi politica e sociale, ritenne di poter sperimentare quella che si sarebbe rivelata una tragica odissea; durata più di vent’anni!
God save the italian people!
[1] Tra le quali: Vittorio Mangano, lo “stalliere di Arcore”, dal 1973 al 1975; all’epoca già noto alle forze dell’ordine per i suoi numerosi precedenti penali.
[2] A sprezzo del ridicolo, nel corso degli anni, Berlusconi si sarebbe auto-definito “in odore di santità” e “uomo della provvidenza”.
[3] “Barbari? Il sacco di Roma è in corso da anni”
[4] “Rome opens its gates to the modern barbarians”; del 15 maggio 2018
[5] “Centro Internazionale di Studi Sociali”
[6] “Cadere dalla padella (del governo Renzi) alla brace!”.
[7] La trasmissione televisiva “Porta a Porta”, condotta da Bruno Vespa; degno sodale dell’ex Cavaliere.
[8] “Perché sono contrario al salario minimo legale”, MicroMegablog del 4 aprile 2018
Renato Fioretti
Esperto Diritti del Lavoro. Collaboratore redazionale del periodico cartaceo Lavoro e salute
22/5/2017
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