Welfare Day. Ma dai…
Si è tenuto il 6 Giugno a Roma, nello splendido Palazzo Colonna, il Welfare Day, un simposio ricco di presenze e con la partecipazione dei rappresentanti di molteplici istituzioni pubbliche e private. Si è trattato dell’ottava edizione per la presentazione delRapporto RBM – Censis, il cui titolo, è: “La Salute è un Diritto. Di Tutti”. Uno slogan ambizioso, che si rifà con ogni evidenza all’obiettivo promosso a suo tempo, nel 1978, dal Segretario generale dell’OMS, Halfdan Mahler, nella Dichiarazione di Alma Ata, il cui motto era appunto: Salute per Tutti (entro il 2000).
La Società per Azioni RBN Salute, che è, per raccolta premi e per numero di assicurati, la più grande compagnia italiana specializzata nell’assicurazione sanitaria, ha quindi abbandonato le più realistiche parole d’ordine dei precedenti Welfare Day, quali: Scenari evolutivi per il Welfare Integrativo; Costruire la nuova sanità integrativa; Rinnovare la Previdenza complementare e la sanità integrativa, etc., per porsi quale garante (sic!) del diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della nostra Carta costituzionale. Ciò che costituirebbe, assicurerebbe, renderebbe effettivo tale diritto è, per i promotori dell’incontro, lo sviluppo generalizzato per tutti i cittadini della sanità privata, come ben si evidenzia dall’articolarsi delle relazioni della mattinata: “Il Secondo Pilastro Sanitario per il Diritto alla Salute (come gestire la Spesa Sanitaria di Tutti), reso sicuro dalla “Innovazione delle Coperture Sanitarie Collegate ai Fondi Sanitari e ai Contratti di Categoria”. Significative anche altre due sessioni, pomeridiane, che ci hanno spiegato con chiarezza le Prove di Convergenza fra Sanità Privata e il Secondo Pilastro Sanitario e L’ipotesi di un Secondo Pilastro Sanitario per Tutti!
La ragione di questa necessità è da ricercarsi – per Censis Rbm – nella crescita della spesa sanitaria privata, fonte di diseguaglianze che, sulla base di una ricerca dalle caratteristiche incomprensibili e non palesate[1], assomma a 40 miliardi; per far fronte a tale emergenza si afferma che 7 milioni di italiani si sono indebitati e 2,8 hanno svincolato i propri risparmi o venduto anche la casa. Qui saremmo conseguentemente di fronte non tanto a una crisi, ma a una tragedia, la cui conseguenza, evidenziata dalla ricerca in oggetto è che: “Monta il rancore verso il Servizio sanitario” e in particolare, si ricaverebbe dall’indagine, tale rancore (il termine utilizzato è proprio questo) è particolarmente diffuso fra gli elettori dei 5 Stelle (41,1%) e della Lega (39,2%).
Ho seguito con attenzione, letto i documenti, guardato le slide e di tale indagine mi mancano i parametri fondamentali per capire di che si tratta.
Ho reperito successivamente una informazione dal sito di La Repubblica[2], da cui si evidenzia che tale indagine è stata effettuata (non si sa come) su 1000 persone. Che siano 1.000 i soggetti contattati o quelli che hanno risposto (a cosa: telefonata, questionario, che tipo di domanda?) è, ovviamente, ignoto. Nella ipotesi migliore di mille rispondenti, considerata la partecipazione al voto e la percentuale ottenuta dai partiti, per la Lega, i “risentiti” rispetto al Servizio sanitario raggiungono mediamente di 2,3 per Regione. Interessante risultato! Agli autori e a chi espone tali dati in un convegno dovrebbe essere prescritta la lettura del libro che mi fu consegnato al primo corso di epidemiologia dell’IARC – OMS: “How To Lie With Statistics”[3]Tralasciando altri aspetti a me sembra che l’obiettivo sia in realtà assai evidente, e assai logico da parte dei proponenti: amplificare e intercettare, con l’aiuto dello Stato in termini di promozione e di esenzioni fiscali, la crescente massa di risorse private destinate ai diversi aspetti di tutela, promozione e in particolare consumo per motivi sanitari e salutistici. Un obiettivo comprensibile per gli investitori nel settore assicurativo e missionfondamentale dei loro Amministratori delegati.
Assai meno comprensibile è che nell’ambito di tali dibattiti e incontri, generalmente patrocinati (anche nella giornata di ieri) da pubbliche istituzioni, non siano emerse in questi anni alcune osservazioni, punti critici, pensieri diversificati. E’ infatti noto che:
- I sistemi assicurativi sono assai più onerosi dei sistemi pubblici; in altri termini richiedono che il reddito familiare venga trasferito in misura crescente per sostenere le polizze assicurative. Il sistema assicurativo è infatti gravato da oneri amministrativi maggiori rispetto al sistema pubblico, deve accumulare riserve (o ri-assicurazioni) intorno al 20 – 25% e, ovviamente, assicurare un ritorno agli investitori. Conseguentemente solo il 50% circa del premio si traduce in servizi sanitari effettivi.
- L’osservazione dei dati di seguito sintetizzati è rilevatrice: negli Usa, in un decennio, a fronte di un aumento dei reddito del 30% la spesa (tasse) destinata al Medicare è aumentata del 27,5%, la spesa sanitaria out of pocket del 74,1% e i premi assicurativi di quasi il doppio: 127,6%[4]. In Svizzera a fronte di un incremento del Pil del 43% (1996 – 2014), le tasse destinate alla sanità sono aumentate del 72%, ma i premi assicurativi del 107%[5].
- A fronte di un aumento dell’estensione delle assicurazioni non si assiste, nell’ambito dei paesi Ocse, a una riduzione o un contenimento della spesa sanitaria pubblic Il confronto fra diversi Paesi suggerisce piuttosto un effetto sinergico di incremento![6]
- Il parallelo incremento della spesa sanitaria pubblica è conseguenza di una diffusione di overdiagnosis e di approfondimenti diagnostici che, attivati nella rete privata – assicurativa, vengono poi svolti in ambito pubblico. Vi è inoltre l’indebolimento, fino allo scardinamento, del sistema di cure primarie; quello, vedi caso, che doveva rafforzarsi quale obiettivo dell’Oms, proprio con la stessa parola d’ordine usata ora dalle assicurazioni in questa giornata.
- L’incremento parallelo della spesa sanitaria pubblica sarà una delle conseguenze, in particolare in Italia a causa di una offerta di prestazioni duplicative rispetto all’offerta pubblica. Prestazioni previste in vari Fondi (pseudo integrativi) promossi con la diffusione del welfare contrattuale, talora inappropriate e in vari casi contrarie alle Linee guida internazionali,
- Tali Fondi, figli di un welfare contrattuale “a partecipazione statale”, hanno avuto infatti una notevole diffusione, come è stato giustamente osservato,“… soprattutto grazie al contributo delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente…” fondi che invece “ devono limitarsi ad offrire prestazioni di efficacia provata e solo integrative all’attuale offerta del Ssn”[7].
- La diffusione dei Fondi aziendali – che è il reale grimaldello dell’estensione assicurativa e della privatizzazione della sanità – non ci tutela rispetto ad una futura crescita della spesa sanitaria pubblica, che è decrescente rispetto al Pil nelle classi di età che accedono a coperture contrattuali (fino ai 64 anni) ma che si concentrerà nelle fasce di età successive e in particolare in quelli sopra gli 80 anni (+ 115% nei prossimi 4 decenni). Queste forme inoltre sono un rischio in termini di equità: fra categorie lavorative; fra aree del Paese; fra i lavoratori, favorendo quelli con redditi più elevati; fra generazioni, a danno quindi di chi non ha un lavoro stabile (i giovani) e di chi non più lavora. Tutto ciò a spese dell’erario pubblico, poiché i benefici fiscali arrivano a sfiorare il doppio della spesa sanitaria pubblica pro capite.
Concludo con i due aspetti che mi hanno maggiormente colpito e fatto riflettere.
Il primo deriva dalla introduzione al convegno del professor Giuseppe De Rita che, con affabile autorevolezza, ha esposto alcune riflessioni e ricordi, facendo riferimento alla sua lunga e vasta esperienza.In particolare si è riferito agli anni sessanta, ai tempi di Ugo La Malfa e di Pasquale Saraceno con cui aveva, da giovane, collaborato. In tali anni ci ha ricordato che si identificavano bisogni umani “monetabili”, quali la lavatrice e la macchina, e bisogni umani “non monetabili”, che erano l’istruzione e la salute. Ora i bisogni – ha afferma l’illustre relatore – sono tutti monetabili.
Mi attendevo esemplificazioni che delimitassero in qualche misura tale concetto: il ricorso all’omeopatia? La individuazione del cardiologo di fiducia in una struttura privata che ritengo più accessibile? Un ciclo aggiuntivo di fisioterapia al fine di riprendere la propria attività sportiva?. No! Il primo esempio è stato “Non essere costretto a mandare mio figlio all’Università italiana”. Ora non mi ha meravigliato tanto la possibilità di scegliere Università straniere, ma di definire come “costrizione” l’ipotesi di andare alla Sapienza di Roma, alla Statale di Milano o alla Normale di Pisa. Ma il problema del nostro Paese non è quello della impossibilità di mandare i figli all’Università estera, ma di formare – anche per lo sviluppo economico dell’Italia – un numero sufficiente di laureati! Il secondo esempio è stato testualmente questo: “Se mio figlio ha un disagio psichico io lo monetizzo!”. Bene, questa affermazione è inaccettabile. Il bambino non lo sa – ovviamente – di avere un disagio psichico. I genitori spesso ne sono poco consapevoli o non sono in grado di monetizzarlo. L’osservazione scolastica o prescolastica non sempre capace di evidenziare questo bisogno di diagnosi e di assistenza. È il tipico esempio di un problema che nasconde e amplifica diseguaglianze, che non è monetizzabile, che necessita di rendere effettivo, nella famiglia, nella scuola, nel percorso socio sanitario, un diritto così rilevante e preliminare al godimento di diritti fondamentali. Qui si tratta di equità, di libertà, di un accesso alla eguaglianza di opportunità!
Il secondo punto mi ha colpito è come si “maneggiano” le parole, specie in pubblico e da persone che intendono rivolgersi con autorevolezza. Il messaggio che è stato dato, in questa importante occasione, è testualmente: “Monta il rancore verso il Servizio sanitario”. Ora il termine, cioè il verbomontare ha, in italiano, qualora isolato, cioè privo di contesto, un solo significato: montare a cavallo, fare equitazione. Dal contesto può prendere ovviamente altri significati come è capitato a me oggi, quando mia figlia, vedendo che aggiungevo olio a un rosso d’uovo che stavo girando mi ha chiesto: “Ti sta montando o è impazzita”. Si riferiva ovviamente a un tentativo di maionese fatta a mano. Poi vi è il significato di aumentare, crescere: “Il livello del fiume è montato”, e simili allocuzioni possono essere riferite alla ricchezza o altro. Ma in questo caso è indispensabile indicare o fare riferimento a un precedente livello, una misurazione. L’altro significato di montare è: far eccitare, incitare, scatenare: “Il terrore della peste fece montare l’odio verso i presunti untori” In questo caso, il verbo utilizzato al convegno si configurerebbe come un indicativo esortativo o un imperativo: “Fate montare il risentimento verso il Servizio sanitario nazionale”. È questo il senso, il significato, la finalità?
Le parole sono importanti, specie quando si vuole trasmettere, come si usa dire, messaggi forti e chiari, Anzi, per esprimersi con un aforisma di Ionesco: “Solo le parole contano. Il resto sono chiacchiere”.
Marco Geddes
11/6/2018 www.saluteinternazionale.info
- Marco Geddes da Filicaia: Spesa privata a 40 miliardi? Dato semplicistico, se non fuorviante. Quotidiano Sanità, 06.06.2018
- Michele Bocci. Quando il Censis gioca coi numeri della sanità, http://bocci.blogautore.repubblica.it/, 07.06.2018
- Darrell Huff: How To Lie With Statistics, 1954. Edizione italiana: M&A editori, 2007.
- Auerbach DI, Kellermann AL. A Decade of Health care Cost Growth has Wiped Out real Income Gains For An Average US Family. Health Affairs 2011; 30(9): 1630-36.
- Interpharmaph, Santé publique en Suisse 2017, Edition Impressum, Susse, 2017.
- Colombo F, Tapay N. Private health insurance in oecd countries: the benefits and costs for individuals and health systems. Ecd Health Working Papers no. 15, 2004.
- Onorevole Giulia Grillo, XVII Legislatura, interrogazione al Ministro dell’Economia e alla Ministra della Salute.
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