Stop al business dell’accoglienza?
Si parla tanto di un cosiddetto “business dell’immigrazione” che occorre ostacolare. Si urla allo scandalo per dei costi considerati troppo elevati per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati e si usa l’argomento per legittimare la chiusura di porti e il respingimento dei migranti.
Oggi in Italia però, non esiste un vero dibattito sul tema, e sarebbe anche utile averne uno; ma prima di entrare nel merito occorre fare chiarezza. Se si ritiene che l’accoglienza generi costi troppo elevati, ci sono provvedimenti semplici che si potrebbero prendere per ridurli facilmente e non a scapito del servizio, bensì a suo favore.
Se si pensa che chi gestisce i centri d’accoglienza lo fa per interesse, ci sono mezzi di cui si possono dotare le istituzioni pubbliche per contrastare il fenomeno. É fuori dubbio che arricchirsi sulla gestione dell’accoglienza, significhi per forza di cosa non garantire il servizio come si dovrebbe.
In Italia, dall’emergenza nord Africa del 2011, seguita poi dall’emergenza sbarchi iniziata alla fine del 2013 (con l’operazione Mare Nostrum), si gestisce il servizio dell’accoglienza in modo “straordinario”, proprio per via dell’emergenza stessa.
Con l’alto numero di arrivi in poco tempo, il sistema SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) previsto dalla legge non era abbastanza strutturato per accogliere tutti. Ad inizio 2014, sono stati creati i primi CAS, ovvero i Centri d’Accoglienza Straordinari, per colmare le necessità. Appunto perché straordinario, questo tipo di centri doveva esistere solo per il periodo della cosiddetta emergenza, il tempo di strutturare l’accoglienza. Solo nel 2015, si è legiferato sui CAS con il decreto legislativo 142/15, che all’art.11, comma 3 che sottolinea che “L’accoglienza nelle strutture di cui al comma 1 (ossia nei CAS) è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture di cui all’articolo 9 ovvero nelle strutture di cui all’articolo 14 (ovvero gli SPRAR).” Di fatto però, salvo casi di ospiti con forte vulnerabilità, tutti i richiedenti asilo che iniziano la procedura nei CAS la concludono sempre in questo tipo di centri.
Sicuramente in Italia, l’emergenza in fin dei conti piace, e così come si è lucrato sull’emergenza rifiuti o sui terremoti, non si poteva venire meno proprio sull’emergenza sbarchi.
Questo non significa che chi dice CAS dice business e mala-gestione, ma sicuramente la straordinarietà, con controlli meno strutturati ha potuto permettere a tanti gestori in malafede di incassare denaro in modo improprio.
Intanto, qualche dato importante va precisato: fine 2013 inizia l’emergenza sbarchi, che nel 2015 conosce il picco maggiore, per poi vedere il numero degli arrivi calare drasticamente a metà 2017.
Poche cifre ci fanno capire quanto si possa considerare l’emergenza, oggi assolutamente finita: il numero di arrivi via mare dall’inizio del 2018, con circa 15 000 persone sbarcate, rappresenta poco più di metà degli arrivi del solo mese di ottobre 2016, allora arrivarono 27 000 persone tramite sbarchi.
Mentre nel 2014 c’era una vera e propria emergenza, perché si dovevano alloggiare tante persone in fretta senza avere strutture allestite; già ad inizio 2016 si può dire che il sistema era già consolidato e organizzato in modo tale da poter gestire l’accoglienza in modo più “ordinario”.
In alcune regioni però, solo da quest’anno 2018, si inizia veramente un processo chiamato “sprarizzazione”, che vuole eliminare mano mano i CAS e sostituirli con centri SPRAR. A ora in Italia ci sono ancora 138 000 richiedenti asilo ospitati nei CAS mentre gli SPRAR ospitano poco più di 25 000 persone.
Anche se il più spesso delle volte, sia nei CAS di responsabilità delle prefetture ,che negli SPRAR sotto la guida di Comuni o gruppi di Comuni, si prevede l’anticipo delle spese da parte del gestore; negli SPRAR c’è un rischio più concreto di non recuperare tali spese, se ritenute non idonee al servizio, o mal conteggiate, documentate, fatturate.
Nei CAS invece, le Prefetture assegnano il servizio, pagano i gestori e li controllano. In questo sistema però, ogni prefettura è organizzata in modo diverso e il controllo delle spese è sicuramente molto meno puntiglioso, di fatto c’è molta più elasticità.
Così, nel 2017 si è potuto arrivare ad esempio allo scandalo del CAS di Capo Rizzuto, in provincia di Catanzaro, in cui si stima che circa un terzo del denaro destinato all’accoglienza sia finito alla Ndrangheta. Ma è colpa dei migranti o della mala-gestione italiana, è colpa dei richiedenti asilo o di un paese in cui l’emergenza viene troppo spesso utilizzata per sganciare denaro pubblico abbassando o azzerando i controlli? Certo, i gestori malvagi hanno enormi responsabilità, ma laddove si è arrivato ad una situazione simile, le prefetture stesse non sono esenti da critiche e responsabilità.
Un primo provvedimento che da anni si poteva quindi applicare era quindi proprio la cancellazione dei centri d’accoglienza; e sta avvenendo tardi, a singhiozzo e a rilento.
Arriviamo alla questione dei costi. Da anni sentiamo la Lega dichiarare che i migranti sono negli alberghi e percepiscono 35€ al giorno.
Intanto va precisato che chi è ospite in una struttura alberghiera, e non in un altro tipo di struttura, non gode di servizi alberghieri.
Gli alberghi requisiti dalle prefetture per farci dei CAS, appunto sono delle strutture alberghiere diventate centri d’accoglienza. Ovviamente una stanza che in gestione alberghiera ospitava due persone, può facilmente ospitarne 4, 6 o addirittura 8 una volta trasformata in CAS.
I famosi 35€ al giorno sono quelli percepiti dal gestore dei centri d’accoglienza, e al richiedente asilo arrivano soli 2,5€ al giorno di cosiddetto pocket money.
Il resto serve a pagare i lavoratori dell’accoglienza (operatori “sociali” e “legali”, mediatori culturali, docenti, ecc…), gli affitti (quando non sono strutture pubbliche o prestate per benevolenza), i servizi sanitari (quando a pagamento), i corsi di italiano, il cibo, le utenze (acqua, luce, gas), i trasporti, e tutti i beni di prima necessità…
Se il servizio viene fatto come si deve, si rientra appena nelle spese. Se rimane qualcosa, in teoria si dovrebbe spendere sempre nell’ambito dell’accoglienza, alcuni gestori ad esempio investono nella formazione. Il problema è sicuramente che nei CAS, si lascia spesso troppo spazio alla discrezionalità del singolo gestore.
Se si vuole parlare dei costi, va anche fatto un discorso sulla durata dell’accoglienza, perché chi urla allo scandalo, una volta prese le redini del potere politico, dovrebbe fare di tutto per accelerare le procedure di richiesta asilo.
Nei CAS, un richiedente perde il posto una volta finita la sua pratica, a meno che venga trasferito in uno SPRAR, perché ha ottenuto lo statuto di rifugiato o perché particolarmente vulnerabile.
Allora sarà pure vero che un richiedente asilo costa 35€ al giorno allo Stato, ma se prima di andare a presentare la propria richiesta in Commissione non si aspettasse come minimo un anno, spesso anche due, magari sarebbero un bel po’ di soldi che si risparmierebbero.
Facendo due calcoli, è facile far evincere che, se questa pratica durasse 9 mesi, costerebbe allo stato 9400€ anziché i 25000€ nel caso di una pratica durata due anni.
Nel caso in cui un richiedente vede la sua richiesta di domanda asilo negata dalla commissione territoriale, si allungano ancora di più i tempi con i ricorsi. Così abbiamo tanti casi di persone che restano nei centri per addirittura 3 o 4 anni. Nonostante questo, i posti nei centri sono abbastanza, ed è sicuramente perché questi casi sono compensati con le migliaia di richiedenti asilo che prima della fine della procedura, decidono di rinunciare all’accoglienza e di vivere con mezzi propri.
Ma ai richiedenti asilo, per legittimare i lunghi tempi di attesa, si dice che non ci sono abbastanza commissioni territoriali. Per giustificare invece la lunga attesa per l’erogazione dei permessi di soggiorno di sei mesi a cui hanno diritto durante la pratica, si dice che gli uffici immigrazione delle questure sono all’orlo del barattolo. E così se una pratica dura due anni, anziché avere quattro permessi di 6 mesi, ne hanno solo due o tre. Se trovano qualche lavoretto con contratto, lo perdono non appena scade il permesso; se hanno pratiche sanitarie in corso rischiano di vederle interrotte, perché con il permesso scade anche la tessera sanitaria, se vengono controllati dalla polizia, non si risparmiano nemmeno il giretto in questura per controllare la regolarità sul territorio.
Allora non assumere personale che permetterebbe di accelerare le pratiche e fare aspettare delle persone per più di due anni per concludere una pratica di richiesta asilo, forse in fin dei conti, diventa anche una scelta politica.
Ci si potrebbe dilungare tanto sulla questione, e i temi da affrontare sono molti, ma penso che valga la pena concludere elencando delle soluzioni concrete.
Essendo la gestione straordinaria ed emergenziale, si sono succeduti innumerevoli bandi per l’assegnazione del servizio, rendendo anche spesso complicata la gestione stessa. I bandi costano, costano tanto.
Se si eliminassero del tutto i CAS e ci fosse dovunque una gestione precisa e puntuale degli SPRAR, si risparmierebbe sicuramente molto denaro pubblico, e si garantirebbe un servizio di migliore qualità evitando possibilità di fughe di denaro.
Leggo in queste ore della volontà del neo ministro degli interni di calare la somma dei finanziamenti dei centri d’accoglienza dai 35€ giornalieri a soli 25€: una scelta del genere non può che avere conseguenze disastrose sulla qualità del servizio ricevuto dagli ospiti, nonché sulle condizioni di lavoro di chi opera nei centri.
Invece, coloro che gridano allo scandalo e accusano i gestori, se proprio avessero a cuore una gestione che non fosse un business, perché non rivendicano un sistema pubblico dell’accoglienza?
Un sistema senza bandi, senza affidamento a gestori privati, con personale assunto tramite concorso e la totalità del denaro in mano ad enti pubblici fuori da logiche di profitto non è impossibile.
Molte decisioni politiche semplici potrebbero perfino abbassare i costi di gestione, migliorando addirittura la qualità del servizio.
Perché non ospitare le persone sfruttando quel patrimonio pubblico che invece si vuole dismettere, o le strutture vuote della chiesa cattolica esentata di tasse; anziché pagare affitti a proprietari privati?
Ai governanti che si riempiono tanto la bocca a parlare del cosiddetto “made in Italy”, perché non si rivendica che per la gestione dei centri d’accoglienza, si spendano le risorse a disposizione per acquistare prodotti locali, che si tratti di cibo o di vestiario?
L’accoglienza va fatta per ragioni umane, i servizi sociali sono un diritto fondamentale e non si deve cadere nel meccanismo secondo cui dovrebbe diventare un’opportunità “economica” per l’Italia; ma se si iniziasse davvero a dimostrare che non esistono ragioni per considerarle spese sprecate, forse si annienterebbe finalmente l’argomentazione secondo cui queste risorse date all’accoglienza vengono tolte “agli italiani”.
Si potrebbe aggiungere, come specificato da Andrea Fumagalli in un ottimo articolo sull’argomento che ad ora una “clausola di eventi eccezionali consente lo scorporo dai vincoli di bilancio imposti dal patto di stabilità. Ne consegue che se tale cifra venisse destinata ad altri capitoli di spesa pubblica, verrebbe conteggiata nel calcolo del debito pubblico e quindi dovrebbe essere coperta o da altri tagli o da un aumento delle entrate.”.
Per concludere, un’accoglienza ben strutturata e ben organizzata, farebbe si che i migranti avrebbero più strumenti per crearsi un futuro, per essere autonomi e assolutamente autosufficienti. Proprio il contrario è pericoloso, quale futuro può sperare una persona lasciata completamente a se stessa in un paese che non conosce e di cui non conosce la lingua?
Questo dovrebbe essere molto chiaro a chi sbandiera la cosiddetta “integrazione” che secondo qualcuno non sarebbe mai abbastanza!
Un’accoglienza degna e ben strutturata diventerebbe davvero una ricchezza per il paese.
L’immigrazione e gli scambi culturali sono delle risorse umane con valore inestimabile, non lasciamo che vengano compromesse dal cosiddetto “business dell’accoglienza”, perché se è davvero questo il problema per chi rivendica la chiusura delle frontiere e il respingimento delle persone, se davvero è di questo che si tratta e non di un becero razzismo primitivo, non si preoccupassero, che una soluzione senza perdere il senso dell’umanità, c’è!
Raphael Pepe
21/6/2018 www.italia.attac.org
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