La scia di sangue di Marchionne
I padroni, che in quanto tali sono sfruttatori, hanno bisogno di generali fedeli e preparati, pronti a dare la loro vita per portare avanti nel migliore dei modi i propri affari. Sergio Marchionne è stato un ottimo Generale dell’armata Exor, eseguendo magistralmente il compito affidatogli dalla famiglia Agnelli/Elkann, ossia quello di rilanciare la loro azienda semi-fallita sul mercato globale.
Marchionne non è stato solo questo, purtroppo.
Dato che le classi dominanti sono tali anche sul piano delle ideologie, il progetto di rilancio realizzato dalfustigatore di operai, in assenza di contropotere, è stato beffardamente presentato come la panacea di tutti i mali, operando quel paradossale rovesciamento dei ruoli, attraverso il quale l’ex dirigente di FCA è stato dipinto come moderno rivoluzionario al servizio del popolo. L’uomo che ha salvato la Fiat e dunque la Nazione. Ovviamente gli operai di FCA sanno bene cos’ha significato per loro la gestione del cronometrista di Chieti; resta da chiedersi se anche il resto della popolazione abbia una piena consapevolezza della reale entità del ruolo giocato in questi anni da Marchionne.
A braccetto con l’ex primo ministro Renzi, egli ha realizzato il più tremendo attacco alla classe operaia dal dopoguerra ad oggi ma lo ha fatto con il maglioncino blu e con il piglio dell’uomo pratico “del fare” al quale è concesso – essendo, appunto, un tecnico e, quindi, possedendo la verità indiscutibile dei fatti i quali dominano rispetto ai valori – di lanciare a reti unificate il fatidico messaggio salvifico “se vogliamo salvarci dobbiamo rimboccarci le maniche”!
Va da sé che le maniche sono sempre state le stesse, quelle delle lavoratrici e dei lavoratori: riduzione delle pause da quaranta a trenta minuti, spostamento della mensa a fine turno, salari che aumentano meno dell’inflazione, della produttività e senza alcun automatismo. E dunque viva la “produttività” della fabbrica: è giusto lavorare tutti i giorni senza pause, alacremente, fino a schiattare, per fare il bene dell’azienda e quindi della nazione, non quello del padrone (per carità, che non si usi questa brutta parola!).
A prescindere dall’uso ideologico del termine “produttività”, tale messaggio salvifico, puntando nient’altro che alla normalizzazione del super-sfruttamento attraverso l’utopia della salvezza collettiva, ha avuto, sul piano egemonico, l’importante funzione di confondere e sparpagliare la classe operaia già sfiancata e disorientata. In questo modo anche i pochi focolai di protesta non hanno trovato terreno fertile per svilupparsi ed allargarsi. D’altro canto, questo stesso messaggio salvifico è stato usato da Renzi per giustificare il Jobs Act: i capitali restano in Italia e investono se i lavoratori costano meno che in altri paesi, ergo chi protesta è un nemico del popolo italiano.
Dunque il maglioncino blu si è improvvisamente tinto di bianco per la santità, e persino le sigarette nel suo caso divengono una “passione particolare” in luogo di un terribile vizio.
Dinanzi a questo non possiamo essere silenti, come fanno le anime belle, finendo per s-consolarsi della nostra impotenza. Non si tratta di gioire per la fine di un’era; prima perché i Generali si sostituiscono, e poi perché non è stato il proletariato ad estromettere dal controllo della fabbrica l’ex amministratore delegato bensì una malattia: si tratta ora di contrattaccare almeno sul piano delle idee.
Anche la battaglia delle idee è una battaglia rivoluzionaria, infatti le classi dominanti non la disdegnano affatto e proprio per questo la dinastia Agnelli, seppure ampiamente internazionalizzatasi, qui in Italia ancora oggi controlla circa il 7% dell’impresa GEDI, gruppo che edita La Repubblica (con i suoi nove supplementi), la Stampa, il Secolo XIX e diversi quotidiani locali (Il Tirreno, La Nuova Sardegna, Messaggero Veneto, Corriere delle Alpi, Il Piccolo, Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, la Provincia Pavese La Sentinella del Canavese, La Tribuna di Treviso, la Nuova Ferrara, Gazzetta di Modena, Gazzetta di Reggio, la Nuova Venezia), oltre che numerosi periodici, tra cui il settimanale L’Espresso, MicroMega, Limes e altro, controlla Radio Deejay, Radio Capital e m2o e delle emittenti televisive satellitari quali m2o TV, Radio Capital TiVù e Deejay TV nonché opera anche nel segmento dei nuovi media con la società Kataweb e dispone di una concessionaria di pubblicità che è la A. Manzoni & C [1].
Il nostro compito storico di rivoluzionari è quello di chiarificare il campo, svelare il nemico e trattarlo in quanto tale. Marchionne, come tutti i Generali dell’esercito nemico (che è il capitalismo) ha lasciato dietro di sé una “scia di sangue” e per questo non saremo politicamente corretti con lui. Marchionne è stato un cinico direttore d’azienda al servizio di una ancor più cinica dinastia, quella degli Agnelli. Approfittando della scarsa capacità di opposizione della sinistra di classe e dei sindacati italiani nell’attuale fase storica, egli ha affondato il coltello nel fianco, lavorando quasi esclusivamente sul saggio di sfruttamento, ossia aumentando i ritmi di lavoro, riducendo le porosità, dislocando la produzione nei paesi a più basso costo della manodopera e mettendo gli operai in forte competizione tra loro e in condizione di subalternità attraverso il Jobs Act di cui egli è stato più che un semplice sostenitore e testimonial. Questo è il vero merito “dell’uomo globale”, come è stato definito il pluridecorato generale di FCA: strizzare l’operaio fino a cavarne tutto il sangue.
Alcuni osservatori, forse un po’ dottrinari, giudicano l’operato di Marchionne tutto sommato mediocre considerando lo scarso apporto della sua direzione sul piano dell’innovazione tecnologica, e quindi, in generale, dello sviluppo delle forze produttive – la c.d. produttività – con particolare riferimento al campo dell’elettrico e della guida autonoma. Personalmente ritengo ciò non del tutto corretto giacché un ottimo dirigente d’azienda è innanzitutto colui che riesce a realizzare quel D’ di marxiana memoria (a prescindere dal cosa si produce) e non è colui che si getta improvvidamente nel futuro alla ricerca di nuovi e più affascinanti mercati [2].
L’ex amministratore delegato sapeva bene che nella feroce competizione mondiale contano i rapporti di forza e che per vincere o perlomeno sopravvivere è necessario giocare su terreni favorevoli. L’auto elettrica non ha nulla a che vedere con l’auto classica a combustione (in comune i due prodotti forse hanno solo le ruote), l’elettrico è una produzione e una tecnologia completamente diversa, dominata dai costruttori di batterie (Panasonic) e, per la guida autonoma, dai colossi dell’informatica (Google). È impensabile, dati i rapporti di forza, che FCA (la quale non ha né batterie né software) nel breve periodo possa raggiungere una posizione dominante su questo mercato, soprattutto considerando che su tale terreno di gioco le peculiarità di FCA – date essenzialmente dalla capacità di costruire motori diesel – non valgono un tubo. Per giocare la partita dell’elettrico serve un totale rinnovamento tecnologico, altre professionalità, che non possono che essere acquisite mediante un oculato piano di alleanze soprattutto in oriente. Ma tali alleanze vanno costruite perché nelle attuali condizioni (ossia senza assi nella manica) non potranno che avvenire in condizione di estrema subalternità.
Si trattava di scegliere e Marchionne ha scelto di strappare il D’ spremendo all’estremo i lavoratori su una tecnologia consolidata (prendendo anche qualche “aiutino” di Stato, non solo in Italia, ma anche negli Usa, in Brasile, Polonia, ecc) piuttosto che gettarsi nella corsa per arrivare primi, e quindi dominare e “fare il prezzo”, sul mercato dell’elettrico. E poco importa, dal punto di vista del ruolo ricoperto da Marchionne, se sull’altare della massimizzazione del profitto la prestigiosa industria automobilistica italiana sia stata pressoché smantellata e se allo Stato – a proposito di amor di Patria! – verranno meno tanti soldini, vista la scelta di eleggere domicilio fiscale in Gran Bretagna e quello legale in Olanda.
In conclusione, quale che sia il parere sul suo operato da dirigente, noi in quanto lavoratori non riusciamo assolutamente a rimpiangere il controllore Marchionne. Anzi, lotteremo contro la sua santificazione. Spesso, anzi troppe volte, anche nelle nostre file prevale il fair play, il politically correct, così che siamo costretti a vedere Tsipras sorridere e abbracciare la Merkel e Macron, ossia coloro i quali lo hanno costretto ad inginocchiarsi ai loro piedi e a tradire il suo popolo, siamo costretti a vedere leader di presunti paesi socialisti, come la Cina, tenere incontri bilaterali conditi di risolini e strette di mano con i peggiori criminali dell’umanità (i capi di stato occidentali). Questo per noi è inaccettabile ed è necessario che la sinistra e soprattutto i comunisti riacquistino la dignità, quale elemento fondamentale per l’egemonia, chiarificando il campo e mostrando, anche nella forma, una distanza netta e un odio profondo per chi affama e ammazza i lavoratori come missione di vita.
Note
[1] Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/GEDI_Gruppo_Editoriale.
[2] Dalla teoria del valore di Marx D’ rappresenta il denaro investito addizionato del plusvalore prodotto. Vedi il ciclo D-M-D’, denaro–merce-denaro aumentato.
Pasquale Vecchiarelli
28/07/2018 www.lacittafutura.it
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