Rom, i fantasmi nel decreto

In nessuno dei 42 articoli del decreto sicurezza, approvato ieri dai ministri, sono citati i rom. Perché si vorrebbe che non esistessero, anche se aleggiano come fantasmi negli obiettivi del governo tanto che, appena finita la conferenza stampa indetta per illustrare il decreto (che ora dovrà essere vagliato dal presidente Mattarella per verificarne la costituzionalità e poi inviato alle camere) il ministro dell’Interno ci ha tenuto a dire che «la questione rom non è compresa in questo decreto, sennò non riesco a immaginare le reazioni nazionali e internazionali… ma ci stiamo lavorando con tutti i sindaci d’Italia – ha spiegato – l’obiettivo è chiudere entro la fine della legislatura i campi. Campi rom zero».

E la prova generale, per loro e per i migranti, è ufficialmente iniziata con questo decreto.

Questi in sintesi i temi: il primo articolo contiene nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevede di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari. Oggi la legge prevede che la questura conceda un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano», oppure alle persone che fuggono da conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea.

La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione nel loro paese o se vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. Nel 2017 in Italia sono state presentate 130mila domande di protezione internazionale: il 52% delle richieste è stato respinto, nel 25% dei casi è stata concessa la protezione umanitaria, all’8% delle persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato, un altro 8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria, il restante 7% ha ottenuto altri tipi di protezione.

Con il decreto Salvini questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure. Sarà introdotto, invece, un permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali”, cioè per le vittime di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi ha bisogno di cure mediche o per chi proviene da un paese che si trova in una situazione temporanea di «contingente ed eccezionale calamità». È previsto infine un permesso di soggiorno per chi si sarà distinto per «atti di particolare valore civile».

L’articolo 2 riguarda i Centri di permanenza per il rimpatrio (ogni governo li chiama in modo diverso – erano Cpt, dopo Cie ora Cpr – ma la sostanza resta identica). Ora gli stranieri possono essere trattenuti al massimo per 90 giorni. Con il decreto, il limite si sposta fino a un massimo di 180 giorni.

Inoltre, il decreto estende il numero di reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o della protezione internazionale: saranno inclusi anche violenza sessuale, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia, violenza o resistenza a pubblico ufficiale. Inoltre, se il rifugiato tornerà nel paese d’origine, anche temporaneamente, perderà la protezione internazionale e quella sussidiaria.

Il sistema Sprar per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Tutti gli altri, cioè chi ha fatto domanda si arrangi. Tanto è vero che l’articolo 13 prevede che i richiedenti asilo non si possano iscrivere all’anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza. Non esistono, e comunque occorre fare in modo che non esistano. Di conseguenza, la domanda per l’acquisizione della cittadinanza potrà essere rigettata anche se è stata presentata da chi ha sposato un cittadino o una cittadina italiana. E, tanto per non farci mancare nulla, (art. 21) arrivano i taser, cioè le armi a impulsi elettrici, nei comuni con oltre 100 mila abitanti.

Dopo questa rapida carrellata di orrori, torniamo ai rom.

«Entro fine legislatura non ci saranno più i campi» dice Salvini. Ma non spiega dove andranno a finire le circa 26 mila persone che in Italia ci vivono.

Lui non lo dice, ma noi ne abbiamo un’idea precisa per via della recente esperienza di del Camping River di Roma. Circa 400 persone sbattute in mezzo alla strada oppure obbligate a frantumare le famiglie (donne e bambini da una parte, uomini non si sa dove) o ancora fintamente rimpatriate con la promessa di assegni che all’atto pratico si sono dimezzati. O “parcheggiati” (è il caso di dirlo) nelle loro auto in cui dormono, mangiano e vivono anche in tredici tra adulti e bambini.

Non è un paradosso: dallo scorso 26 luglio, quando è stato sgomberato il Camping River, una cinquantina di rom si sono trasferiti davanti alla stazione di Prima Porta nei cui bagni vanno a fare i loro bisogni. Per lavarsi c’è una pompa in mezzo a un campo strapelato. La scuola è ricominciata ma loro, dicono, hanno vergogna a mandarci i figli perché la polvere o il fango li divorano. Non c’è per cucinare, si mangiano panini, non c’è dove dormire, i bambini giocano in mezzo alla strada. Non c’è acqua corrente.

Non c’è nulla di umano. E questa è la nuova “strategia” italiana per la chiusura dei campi.

Anna Pizzo

26/9/2018 www.dinamopress.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *