La vera emergenza è l’invecchiamento

La situazione demografica italiana, che pure è negativa da molto tempo, non sembra realmente tra le priorità dell’agenda politica, attenta piuttosto alle esigenze della popolazione anziana (come, ad esempio, l’abbassamento dell’età pensionabile). Eppure, per citare solo alcuni esempi, natalità è al di sotto di 2 figli per donna dal 1976 e il saldo naturale (differenza tra nati e morti) è negativo quasi ininterrottamente dal 1993. In questo modo l’età media continua ad aumentare, così come il peso degli anziani sulla popolazione: si tratta ormai di un fenomeno strutturale.

Le dinamiche demografiche hanno inevitabilmente un impatto sull’economia nazionale e sui conti pubblici, oltre naturalmente ad una stretta connessione con la migrazione. Per queste ragioni, la Fondazione Leone Moressa ha focalizzato sui temi demografici l’edizione 2018 del Rapporto sull’economia dell’immigrazione, che verrà presentato il prossimo 10 Ottobre a Palazzo Chigi.

Tendenze demografiche in Italia e in Europa

La situazione non riguarda solo l’Italia: tutta Europa vive un progressivo invecchiamento demografico, con più morti che nati. Tuttavia, osservando il saldo naturale 2017, appare una netta frattura tra i Paesi europei: 13 Paesi con saldo positivo e 15 con saldo negativo. La crescita demografica più forte si registra in Francia (+164.600) e Regno Unito (+147.900) ma positivi sono anche altri Paesi del Nord Europa come Irlanda, Svezia, Danimarca, Belgio e Paesi Bassi.

Una situazione opposta si registra invece tra i Paesi dell’Europa meridionale (Portogallo, Spagna, Grecia), i Paesi baltici e quelli dell’Est (Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia).

La situazione più critica si registra in Italia e Germania. Nell’ultimo anno, la Germania ha registrato 785 mila nati e 933 mila morti (saldo -148.000), l’Italia 459 mila nati e 650 mila morti (saldo -191.000).

Secondo le previsioni demografiche, e ipotizzando uno scenario con “migrazioni zero”, solo quattro Paesi UE registreranno una variazione positiva da qui al 2050: Irlanda, Francia, Regno Unito e Svezia. Negli altri 24 Paesi, invece, la popolazione diminuirà. Complessivamente, l’UE 28 registrerà una diminuzione del 7,3% rispetto al 2015, arrivando a 471 mila abitanti (naturalmente, incluso il Regno Unito). Tra le aree con la perdita maggiore, Italia e Germania assieme ad altri quattro Paesi dell’Europa meridionale, registreranno una diminuzione superiore al 15%, e l’Italia, col -16,7%, sarebbe seconda solo alla Bulgaria.

Inoltre, ed è questo probabilmente l’aspetto più preoccupante, in tutta Europa avremmo anche un aumento della quota di anziani, definendo come tali le persone di almeno 65 anni). Complessivamente, in questo scenario, tale quota passerà al 28,5%, quasi 10 punti in più rispetto al 18,9% del 2015. Questo ovviamente avrà ripercussioni anche sulla forza lavoro e sui conti pubblici, visto che diminuiranno i lavoratori e aumenteranno, invece, i pensionati.

Anche in questo caso a stare peggio saranno i Paesi del sud: in Spagna, Grecia, Italia e Portogallo gli anziani saliranno a oltre un terzo della popolazione totale, mentre oggi sono circa un quinto).

Il ruolo dell’immigrazione

Nonostante negli ultimi anni l’immigrazione sia stata percepita come un’emergenza, gli ingressi di immigrati in Italia sono progressivamente diminuiti rispetto a prima della crisi.

I permessi di soggiorno (primo rilascio) per motivi di lavoro sono infatti scesi da 350 mila nel 2010 a 125 mila nel 2011 e addirittura 13 mila nel 2016. Il parallelo aumento dei permessi per motivi umanitari (78 mila nel 2016) non giustifica la percezione negativa dell’opinione pubblica.

Parallelamente, la diminuzione dei nati stranieri e l’aumento delle emigrazioni (che coinvolgono italiani, stranieri e stranieri naturalizzati), hanno fatto sì che l’immigrazione non riesca più a compensare il calo demografico. La conseguenza è che la popolazione italiana sta già calando e continuerà a farlo nei prossimi anni. Si tratta di una realtà che fa poco clamore, ma che avrà ripercussioni concrete a livello sociale ed economico, al punto da configurare, questa sì, una vera e propria emergenza, in una prospettiva di breve-medio termine

E’ chiaro che una simile dinamica non si contrasta con il solo ricorso all’immigrazione, né si può affrontare in pochi anni. Ad esempio, occorre aumentare la partecipazione di donne e giovani al mercato del lavoro, tuttora al di sotto degli standard europei.

Ma è altrettanto evidente che il nostro Paese non può fare a meno del contributo di circa 5 milioni di residenti stranieri, che producono circa il 9% del PIL e contribuiscono attivamente al gettito fiscale e contributivo. L’importante sarebbe cominciare, per la prima volta in trent’anni, a pianificare le politiche migratorie anziché subirle.

Nota figura

¹La voce “motivi umanitari” include: Asilo, richiesta asilo, motivi umanitari. La voce “altro” include: Residenza elettiva, religione, salute.

Enrico Di Pasquale, Andrea StuppiniChiara Tronchin

10/10/2018 www.migrantitorino.it

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