I medici e il razzismo in medicina
La percezione pubblica è che la pratica medica si basi quasi esclusivamente sulla scienza, lontana da razzismo e pregiudizi. E lo stesso sembra pensare la classe medica. La medicina invece non è affatto invulnerabile a questi fenomeni e averne una scarsa consapevolezza può fare molti danni in termini di salute. È noto e ben documentato che le minoranze etniche godano di una salute peggiore rispetto ai gruppi in maggioranza, anche controllando per fattori sociali ed economici.[1,2] Negli USA, ad esempio, le persone afroamericane hanno un esordio più precoce di multimorbosità, maggiore gravità e più rapida progressione delle malattie, più alti livelli di comorbosità e disabilità durante la vita e più alti tassi di mortalità rispetto alle persone bianche.[3] Nonostante questa disparità, paradossalmente queste stesse minoranze talvolta ricevono una minore qualità delle cure. Questo è esattamente quello che De-Shalit e Wolff chiamano “corrosive disadvantage”, ossia quella condizione di svantaggio che rende più probabile uno svantaggio ulteriore.[4]Ad esempio, i pazienti afro-americani, a parità di dolore riferito, ricevono meno antidolorifici e, a parità di sintomi, i pazienti con dolore toracico sono meno spesso sottoposti a cure specialistiche cardiologiche.[5,6]
Le fonti di questo gap di cura sono complesse e radicate in una lunga storia di disuguaglianze, coinvolgendo numerosi attori a diversi livelli: i sistemi sanitari, i processi burocratico-amministrativi, i professionisti della salute e i pazienti stessi. Tra questi fattori l’incontro clinico, la relazione col paziente, potrebbe essere uno dei momenti chiave. Una delle modalità con cui queste disparità possono essere acuite è il manifestarsi di bias, siano essi espliciti o impliciti. I biasrazziali in particolare sembrano avere un ruolo in contesti culturali con una particolare storia di razzismo e integrazione.[7,8] Il termine “bias impliciti” comprende sia gli stereotipi che i pregiudizi inconsci ed è spesso definito in questo contesto come “la valutazione negativa di un gruppo nei confronti di un altro gruppo”.[9] Non c’è però l’intenzione cosciente di un trattamento differente: i bias impliciti sono connaturati alla struttura cognitiva di ognuno e anche se certamente possono essere modulati dalle influenze culturali e ambientali, difficilmente possono essere estirpati del tutto. Questo è particolarmente evidente notando che i bias si manifestano maggiormente in contesti ad alto livello di stress o di multitasking, di cui un esempio lampante è l’ambiente di cura. La letteratura suggerisce che i bias razziali siano molto diffusi e che possano coesistere con dichiarazioni esplicite antirazziste e comportamenti di tolleranza e quindi influenzare il comportamento in una varietà di modi molto sottile e problematica.[10]
I bias impliciti sono presenti nei medici e nel personale sanitario a livelli paragonabili a quelli della popolazione generale. [11] Questi bias influenzano il giudizio clinico e il comportamento sanitario e vi è una correlazione negativa tra il livello di bias e il livello di qualità delle cure. Ai pazienti afro-americani vengono proposti meno frequentemente trattamenti oncologici avanzati[12-14], ricevono antibiotici con minore appropriatezza[15] o ricevono meno attenzione in Pronto Soccorso per sintomi cardiaci.[16] In particolare, i bias impliciti sembrano predire peggiori outcome in termini di comunicazione e interazione coi clinici.[17] In letteratura ci si è chiesti se è possibile che esistano associazioni implicite giustificate dai dati epidemiologici. Alcuni studi statunitensi mostrano come in realtà patologie e condizioni associate in modo stereotipato agli afro-americani, come ad esempio l’abuso di sostanze e le abitudini sul fumo, non corrispondano ai dati di prevalenza e non giustifichino pertanto l’associazione implicita.[18]
Un recente articolo di una studentessa della University of Chicago, Natalia Khosla, tenta di andare oltre e cogliere i meccanismi alla base dei bias razziali impliciti.[19] Sono stati intervistati professionisti sanitari – medici, infermieri e studenti di medicina – in un ospedale di Chicago e in uno di Nizza, a cui è stato chiesto di leggere dei referti riguardanti un ipotetico paziente iperteso: le storie cliniche sono identiche, eccezion fatta per l’etnia. In seguito sono state poste le seguenti domande: “Quanto è probabile che questo pazienti migliori?” e “Quanto è probabile che il paziente segua le raccomandazioni di trattamento?”. I risultati mostrano che gli intervistati americani valutavano i pazienti bianchi significativamente più responsabili per la propria salute rispetto agli afro-americani e più inclini ad aderire alla terapia proposta. Secondo un modello di mediazione, si è potuto vedere inoltre che meno i pazienti venivano reputati responsabili, meno ci si aspettava che seguissero la terapia e che potessero migliorare in termini di salute. La responsabilità personale è stata quindi proposta come un potenziale meccanismo di funzionamento dei bias impliciti.
Tradizionalmente la responsabilità personale ha un’accezione negativa: un gruppo svantaggiato negativamente stereotipato viene ritenuto responsabile per le proprie condizioni avverse e quindi meritevole di condanna.[20] In questo contesto invece è possibile ipotizzare che la responsabilità personale sia vista dai professionisti americani come un tratto positivo che si focalizza più sulla capacità futura di agire sulla propria salute e meno sulle cause che l’hanno determinata. Questo sarebbe coerente col modello proposto da Ryn e Fu sul contributo dei clinici alle disparità razziali in salute.[21] La ricerca poi propone il confronto tra paesi: la Francia è un paese con una simile composizione etnica e distribuzione del reddito rispetto agli USA ma con una differente storia di relazioni razziali e una differente concettualizzazione della responsabilità personale.[22] Dallo studio emerge infatti come i meccanismi esposti per i clinici statunitensi non siano validi invece per quelli francesi, che non mostrano livelli di bias significativi. Viene quindi ipotizzato che i bias razziali possano essere specifici per paese e quindi radicati in qualche modo nella cultura e nella storia di integrazione di quel paese. Nonostante la categorizzazione sociale sia una strategia base di processazione delle informazioni, alcune soluzioni possibili sono state messe in campo: alcune scuole di medicina formano gli studenti e i professionisti sanitari a riconoscere i propri bias e pregiudizi. In alcune Università lezioni e workshop sui bias impliciti sono previste nei curriculum. L’approccio formativo dei decenni scorsi puntava però il dito direttamente contro l’atto discriminatorio. In alcuni casi dopo i corsi alcuni partecipanti sembrano essere ancora più rafforzati nelle loro convinzioni e nei loro bias. Uno studio del 2007 ha esaminato i programmi di formazione sulla diversità di più di 800 aziende per 30 anni e ha rilevato che in quasi nessun programma c’è stato un miglioramento nel livello di pregiudizio dei partecipanti e, anzi, in alcuni casi questo è peggiorato.[23]
Un nuovo approccio prevede invece di partire dal principio che siamo tutti soggetti a questo meccanismo cognitivo e sicuramente abbiamo delle convinzioni e dei giudizi inconsci su gruppi etnici o sociali di cui non siamo nemmeno a conoscenza. La formazione è indirizzata a conoscere i propri bias e cercare di modificare i propri comportamenti grazie a questa accettazione e consapevolezza. Un’importante area di lavoro individuata è quella dell’empowerment del paziente: la disparità di trattamento infatti passa in buona parte dal coinvolgimento nella relazione di cura.[24] Identificare strategie di formazione efficaci e incorporarle stabilmente nei curricula dei professionisti sanitari sembra essere un intervento fondamentale per evitare che uno dei pilastri dei sistemi sanitari, l’imparzialità nella cura, non risulti compromesso e per arginare le influenze culturali e sociali che possono alimentare un’imperdonabile disuguaglianza su base etnica da parte di una classe che, per suo esplicito mandato deontologico, questa disuguaglianza sarebbe deputata a eliminarla. Le evidenze ci dicono però anche che la consapevolezza e la motivazione sono condizioni necessarie ma non sufficienti: abbiamo bisogno di una riorganizzazione dei servizi che permetta ai professionisti di avere tempo e risorse cognitive adeguate al controllo e al superamento dei loro bias. Molti professionisti, sinceramente devoti all’equità e alla giustizia, troveranno spiacevole e incredibile l’idea che loro stessi possano contribuire a sistematiche disparità di trattamento. Ma la difficoltà ad accettare questi argomenti riflette una mancanza di conoscenza su come funzionino questi ubiqui processi cognitivi e a maggior ragione la questione dovrebbe essere affrontata con decisione.
Mattia Quargnolo
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Università di Bologna
- Priest N, Williams DR. Racial discrimination and racial disparities in health. In: Major B et al. The Oxford Handbook of Stigma and Health, 2018, pp. 163-182
- Richman LS et al. Interpersonal discrimination and health. In: Major B et al. The Oxford Handbook of Stigma and Health, 2018, pp. 203-218
- Williams DR, Wyatt R. Racial Bias in Health Care and Health – Challenges and Opportunities. JAMA 2015; 314(6):555–556
- Wolff J, De-Shalit A. Disadvantage. Oxford University Press, 2007
- Todd KH, Samaroo N, Hoffman JR. Ethnicity as a risk factor for inadequate emergency department analgesia. JAMA 1993; 269:1537–1539
- Schulman KA et al. The Effect of Race and Sex on Physicians’ Recommendations for Cardiac Catheterization. N Engl J Med 1999; 340:618-626
- Cooper LA et al. The associations of clinicians’ implicit attitudes about race with medical visit communication and patient ratings of interpersonal care. Am J Public Health 2012; 102(5):979-87
- Zestcott CA et al. Examining the Presence, Consequences, and Reduction of Implicit Bias in Health Care: A Narrative Review. Group Process Intergroup Relat 2016;19(4):528-542
- Holroyd J, Sweetman J. The Heterogeneity of Implicit Bias. In: Brownstein M, Saul J (eds.), Implicit Bias and Philosophy. Oxford University Press 2016
- Kelly D, Roedder E. Racial Cognition and the Ethics of Implicit Bias. Philosophy Compass. 2008. 522–540
- Nosek BA, Smyth FL, Hansen JJ et al. Pervasiveness and correlates of implicit attitudes and stereotypes. Eur Rev Soc Psychol 2007; 18(1):36–88
- Penner LA, Hagiwara N, Eggly S, Gaertner SL, Albrecht TL, Dovidio JF. Racial Healthcare Disparities: A Social Psychological Analysis. Eur Rev Soc Psychol 2013; 24(1):70-122
- Van Ryn M, Burgess DJ, Dovidio JF et al. The impact of racism on clinician cognition, behavior, and clinical decision making. Du Bois review : social science research on race 2011; 8(1):199-218
- Morris AM, Billingsley KG, Hayanga AJ, Matthews B, Baldwin LM, Birkmeyer JD. Residual treatment disparities after oncology referral for rectal cancer. J Natl Cancer Inst 2008; 100(10):738-44
- Gerber J et al. Racial Differences in Antibiotic Prescribing by Primary Care Pediatricians. Pediatrics 2013; 131(4):677-84. doi: 10.1542/peds.2012-2500
- Pope JH et al. Missed diagnoses of acute cardiac ischemia in the emergency department. N Engl J Med 2000;342(16):1163-70.
- Penner LA et al. Patient stigma, medical interactions, and healthcare disparities: a selective review. In: B. Major, J.F. Dovidio, B.G. Link (Eds.), The Oxford Handbook of Stigma and Health, 2018
- Maserejian NN, Lutfey KE, McKinlay JB. Do physicians attend to base rates? Prevalence data and statistical discrimination in the diagnosis of coronary heart disease. Health services research 2009; 44(6):1933-1949
- Khosla NN, Perry SP, Moss-Racusin CA, Burke SE, Dovidio JF. A comparison of
clinicians’ racial biases in the United States and France. Soc Sci Med 2018; 206:31-37 - Crandall C. et al. An Attribution-Value Model of Prejudice: Anti-Fat Attitudes in Six Nations. Personality and Social Psychology Bulletin 2001; 27(1):30-1
- Van Ryn M, Fu SS. Paved With Good Intentions: Do Public Health and Human Service Providers Contribute to Racial/Ethnic Disparities in Health? American Journal of Public Health 2003; 93(2):248-255
- Fysh P, Wolfreys J. The Politics of Racism in France. New York, NY: Palgrave MacMillan, 2003.
- Dobbin, F, A Kalev, and E Kelly. Diversity Management in Corporate America 2007. Contexts 2007;6 (4):21-28
- Penner L et al. Patient Stigma, Medical Interactions, and Health Care Disparities: A Selective Review. In: Major B et al., The Oxford Handbook of Stigma and Health, 2018
24/10/2018 www.saluteinternazionale.info
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!