Il reddito “di cittadinanza” o la società della coazione

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Ha fatto finalmente comparsa la bozza del decreto legge che disciplina i provvedimenti bandiera del governo Lega-M5S: il cosiddetto “reddito di cittadinanza” e Quota 100.

Partiamo dal reddito.

Intanto per garantire il più possibile che il provvedimento venga riservato agli “italiani”, per cui come ha detto Di Maio “è stato concepito”, l’RdC sarà fruibile solo da chi abbia risieduto continuativamente nel paese da almeno 10 anni, raddoppiando i 5 previsti per l’ottenimento del permesso  di soggiorno UE di lungo periodo.

Una previsione discriminatoria e soggetta ad essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale – che con una recente sentenza ha stabilito l’irrazionalità di norme che mettano in correlazione il soddisfacimento di bisogni primari con la lunga permanenza su un territorio –  ma intanto utile alla propaganda razzista e sempre meno distinguibile di Lega e 5Stelle.

L’RdC non sarà inoltre una misura individuale – come dovrebbe essere –  ma familiare.

Non solo nel senso che il reddito viene erogato ai nuclei familiari, ma nel senso che le varie condizionalità impegnano ogni membro della famiglia e nel caso in cui un singolo membro non le rispetti, la ritorsione (la decadenza) colpisce tutti.  Anche in questo caso è tutta da verificare la costituzionalità della norma. Di certo per gli estensori, il principio di responsabilità individuale va a farsi benedire, in un disegno in cui il disciplinamento esterno del mercato del lavoro e delle leggi che lo regolano, si intreccia con quello interno della famiglia, sempre più concepita come unità coattiva: dal reddito al ddl Pillon.

I requisiti di reddito e patrimonio.

Potranno accedere all’RdC, i nuclei familiari che rispettino congiuntamente i requisiti di un valore ISEE inferiore a 9.360 euro;  un patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ai 30mila euro;  un patrimonio mobiliare non superiore ai 6mila euro (accresciuto di 2mila euro per ogni componente della famiglia fino ad un massimo di 10mila e di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo); un valore del reddito familiare di 6mila euro per i singoli, moltiplicato per la scala di equivalenza secondo il numero dei componenti (+0,4 dal secondo membro maggiorenne in poi, + 0,2 per i minori).

Per l’accesso alla pensioni di cittadinanza il valore del reddito soglia è incrementato a 7.560 euro.

Nessun componente della famiglia dovrà possedere auto nuove acquistate 6 mesi prima, o con cilindrata superiore a 1600 cc, o moto superiori a 250 cc immatricolati due anni prima.

Nessun componente della famiglia dovrà aver dato dimissioni volontarie, con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, nell’anno precedente.

Il sussidio sarà corrispondente alla differenza tra il reddito percepito e la soglia di 780 euro mensili. Non potrà in ogni caso superare i 6mila euro annue per un singolo che non abbia alcun reddito (moltiplicato per la scala di equivalenza per più componenti) e di una ulteriore quota fino ad un massimo di 3360 euro per chi vive in affitto.

Sarà corrisposto per 18 mesi, e potrà essere rinnovato dopo la sospensione di un mese.

In caso di false dichiarazioni o per chi continuerà a lavorare al nero sono previste pene da 1 a 6 anni con la restituzione di quanto ricevuto. Restituzione che sarà richiesta anche in caso di assenza di dolo.

Patto per il Lavoro e Patto per l’Inclusione Sociale

Tutti i maggiorenni dovranno dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, al percorso di formazione o riqualificazione, e alle attività al servizio della comunità ( 8 ore settimanali gratuite nei progetti dei comuni). Dovranno svolgere attività di ricerca di lavoro definite e documentate settimanalmente, fare colloqui psico-attitudinali, accettare una delle tre offerte di lavoro congrue nei primi dodici mesi. Dopo il primo anno o in caso di rinnovo, dovranno accettare la prima offerta utile. Come già detto, nel caso in cui uno dei componenti non sottoscriva entrambe i Patti, l’RdC decade per tutto il nucleo familiare. Nel caso di assenze ingiustificate alle convocazioni dei Centro per l’Impiego anche di un solo membro invece, scattano  le decurtazioni (un mese per un’assenza, due mesi per due, la decadenza per tre assenze).

La congruità dell’offerta di lavoro.

Nei primi 6 mesi è definita congrua un’offerta di lavoro entro 100 chilometri dalla residenza, oltre il sesto mese è congrua un’offerta entro i 250 chilometri. Se nel nucleo familiare non vi sono minori o persone con disabilità, in caso di rinnovo, vale un’offerta ovunque nel territorio nazionale. Viene richiamata la definizione di congruità di uno decreti attuativi del Jobs Act, ma non il successivo decreto Poletti dell’aprile 2018. Va ricordato che secondo questo decreto (che il testo del RdC peggiora rispetto alla distanza dal luogo di residenza), viene definita congrua un’offerta anche a tempo determinato, purché non inferiore ai 3 mesi di durata.  In sostanza ci si dovrebbe spostare ovunque nel territorio nazionale per non perdere un lavoro che dura un trimestre.

I soldi alle imprese.

Dice il testo che “ nel caso in cui un datore di lavoro assuma a tempo pieno e indeterminato il beneficiario di RdC, e il beneficiario non viene licenziato, nei primi 24 mesi, senza giusta causa o giustificato motivo è riconosciuto, sotto forma di sgravio contributivo, un importo pari alla differenza tra 18 mensilità di RdC e quello già goduto dal beneficiario stesso. Tale importo è incrementato di una mensilità in caso di donne e di soggetti svantaggiati… e non potrà comunque essere inferiore a 5 mensilità elevate a 6 in caso di soggetti svantaggiati e donne”.

Il testo poi continua: “ le agevolazioni.. si applicano a condizione che il datore di lavoro realizzi un incremento netto del numero dei dipendenti a tempo pieno e indeterminato, a meno che attraverso tali assunzioni si provveda alla sostituzione di lavoratori cessati dal servizio per pensionamento”.

Ci sono un paio di cose che saltano agli occhi. La prima: anche se semplicemente si sostituiscono lavoratori che vanno in pensione, si riceve il contributo! Già i nuovi assunti costano meno e dopo il Jobs Act, hanno meno diritti… vanno pure dati soldi pubblici perché siano assunti!

La seconda: nella prima parte si dice che l’impresa prende il contributo anche se c’è un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. Ora, con il Jobs Act, si può licenziare praticamente sempre, per motivo economico, ma anche per il minimo motivo disciplinare, compreso il ritardo di un minuto, secondo la norma (infame) per cui “resta  estranea  ogni  valutazione circa la  sproporzione  del  licenziamento”.  Prendo i soldi, ti licenzio, e scappo!

Il cosiddetto “reddito di cittadinanza” è in sostanza un provvedimento discriminatorio per le famiglie extra-comunitarie povere. Disegna una società il cui obiettivo è quello di un disciplinamento distruttivo dell’autonomia delle persone, sottoposte nello spazio domestico ad un’idea di famiglia che è sempre più comunità coattiva, mentre fuori dallo spazio domestico, opera la “disciplina del mercato”.

Si lavora gratuitamente per il comune, mentre si bloccano le assunzioni in una pubblica amministrazione che è sempre più ridotta ai minimi termini.

Ci si deve spostare fino all’intero territorio nazionale per un lavoro la cui durata può anche essere di tre mesi. Il combinato disposto con il Jobs Act mette i lavoratori nella condizione di essere sempre licenziabili, ma l’impresa riceve comunque un contributo che va da 5 mensilità minime a 17 massime.

Mentre il governo non crea lavoro buono, mette in campo un sussidio di sudditanza, una toppa per le povertà più estreme, che accentua la ricattabilità e la dipendenza, la distruzione persino del senso della dignità e dei diritti.

Roberta Fantozzi

Responsabile Politiche economiche e del lavoro/programma PRC-SE

7/1/2019 www.rifondazione.it

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