“Arancia meccanica” a Manduria
“Andiamo a giocare con il pazzo”. Questo era il passatempo preferito dei bulli di Manduria. Giocare con il pazzo, ovvero torturarlo. Menti incapaci di pensare, di elaborare razionalmente la successione dei fatti e di staccare la spina dal vuoto, dal nulla. Corpi che si muovono nello spazio come poveri automi. Invisibile è ai più la loro follia. Agiscono senza freni inibitori, esaltati collettivamente da una distopia truculenta e tragica. Lo scenario è mostruoso e si apre sull’orrore, su perpetrate violenze di gruppo. In preda a visioni distopiche della realtà, la sensazione di sentirsi potenti si amplifica, appagandosi in atti borderline mirati a produrre sulle vittime predestinate, sempre quelle più esposte per fragilità, sofferenza, anche estrema. Ѐ il male di vivere che li spinge, una devianza totale di come si sta al mondo. Ѐ la follia. Viene da pensare ai lager libici dove gli aguzzini provocano sofferenze estreme ai prigionieri. Il possesso estremo della vittima diventa patologicamente libidine. E più la vittima di turno è fragile e indifesa, più lievita la diabolica voglia di sopraffarla, di seviziarla, di distruggerla. Ci vorrebbe un team di psichiatri per spiegare questo fenomeno all’arancia meccanica, ma non si arriverebbe a comprendere sotto quale efferato impulso agiscono in gruppo certi aguzzini torturatori, più indemoniati che perversi, più bestie che persone.
Il caso in cronaca
Per restare “a casa nostra”, evitando di approdare nelle mostruosità dei lager libici, puntiamo i riflettori sul caso di Manduria, cittadina del Salento settentrionale, in provincia di Taranto, ove è di questi giorni la notizia di una caso di estremo bullismo ad opera di una baby gang. Manduria è una località amena dal punto di visto ambientalistico, situata in una vasta pianura fra la costa e il monte Bagnolo. Si respira aria buona, ma anche odore di santità, con il patrono San Gregorio Magno. In un luogo così protetto dal male e ridente per la natura, guarda caso, si contrappone ed esplode il male di vivere che sfocia nella violenza di gruppo. Una violenza ignorata troppo a lungo dai maggiorenti locali, dai residenti e dai passanti del luogo. Una violenza ad opera di un gruppo di 14 giovanissimi, per lo più minori, che infieriva con torture fisiche su un anziano, soprattutto nella sua abitazione dove viveva solo, da lungo tempo e sistematicamente. Per sette anni, così si vocifera ora nei luoghi di raduno della cittadina, chi è passato di lì, pur ascoltando le urla dovute alle percosse sulla vittima, voltava le spalle e proseguiva il suo cammino. Nessuno si è accorto in tempo di nulla, nessuno quindi ha denunciato i fatti in tempo utile per salvare la vita dell’uomo, né ha tentato di fermare quella violenza estrema e sistematica che ha portato infine l’anziano alla morte per i traumi fisici e psichici subiti. Perché questo silenzio costante?
Le indagini sono in corso e i giovani sono indagati, ma chi giudicherà il capo d’accusa più infido e sotterraneo, ovvero l’indifferenza di chi sapeva e non è intervenuto? Antonio Cosimo Stano, la vittima, portatore di un grave disagio psichico, pertanto inerme di fronte alle sevizie del branco, è stato trovato legato ad una sedia, costretto all’immobilità dai suoi aguzzini che per giorni, mesi e forse anni lo hanno deriso, bullizzato, torturato e sembra ne abbiano causato la morte, come conseguenza (ndr, le indagini sono in corso per stabilire le motivazioni del decesso) delle torture inflitte dalla baby gang. Il caso fa orrore e paura. Paura perché sono giovanissimi, paura perché hanno agito insieme senza che almeno uno di loro, in così lungo tempo, abbia penato di ravvedersi e denunciare gli altri. Paura per l’indifferenza del paese e delle famiglie che non hanno colto i segnali della follia. Nessuna di quelle famiglie. Fa orrore e paura perché nessuno, in questa violenza di gruppo, protratta a lungo nel tempo, violenza che dava segnali all’esterno per le urla della vittima, è intervenuto per tempo a difesa della vittima. Solo un mese fa, quando ormai, il pensionato era in fin di vita, è scattata una denuncia da alcuni residenti.
Arancia meccanica
Se non fosse cronaca potrebbe essere la trama di un film horror. Pensando ad una pellicola cinematografica, si ravvisano nelle inquietanti gesta dei bulli di Manduria alcun tratti del noto lavoro “Arancia meccanica”, prodotto negli anni 70 dal quel genio di Stanley Kubrick, tratto dal romanzo di Anthony Burgess (1962- ed. italiana 1969). Titolo originale più significativo “A Clockwork orange” (Un’arancia a orologeria). Clockworg orange, in vernacolo londinese sta a significare “Sballato come un’arancia a orologeria”, ovvero una persona che agisce meccanicamente in preda ad uno sballo. Il riferimento al frutto diventa ancora più personalizzato, quando Burgess rivela un episodio della sua vita, nel periodo in cui risiedeva a Giava e la sua compagna subì uno stupro collettivo da parte di soldati americani ubriachi. Orange in malese diventa orang (persona). E il tutto torna con una metafora. In un frutto delizioso foriero di benessere può innescarsi la miccia della follia come una bomba ad orologeria. Così come nella mente umana
(orang), ove, come nel Giano bifronte c’è la doppia faccia, in tal caso unite in un’unica testa, si alternano il bene e il male.
Fra i fatti descritti nel romanzo di Burgess, poi prodotti nel film di Kubrick, e i fatti di Manduria si possono ravvisare dei collegamenti di carattere motivazionale e psicologico. Alex, il protagonista, per le sue scorribande criminali si avvale di una banda composta di giovanissimi gregari “i drughi”, appena quindicenni, Pete, Georgie e Bamba. Con loro si diverte a compiere atti efferati. Rapine e violenze sono il pane della loro giornata. Alex non è uno sciocco, pensa ed elabora cose belle, come la passione per la musica classica. Ѐ affascinato dalle sinfonie di Ludwig van Beethoven, così come si esprime con un lessico erudito, notevole per la sua giovane età. Però, dietro l’immagine che rimanda, apparentemente ingenua e innocente, c’è il mostro. E coinvolge nella sua follia altri compagni di merende, che non con lui si sentono potenti e delinquono, sprofondando nell’annichilimento e nel sonno delle ragione. In quell’obnubilamento il ritorno alla normalità di ogni singolo non è più possibile, non è più un fatto individuale. Mostruosamente le menti di ognuno si vincolano e si sottomettono alle altre della banda nello stato soporoso della distopia, ove il male estremo è l’unico scenario in cui si è immersi. Stupri di gruppo si susseguono con violenze inaudite, fino ad un omicidio. Alex, il capo della banda, finisce in galera e lì viene sottoposto, come cavia, alla “cura Ludovico” (ndr, dal nome di Beethoven, le cui sinfonie fanno da fondo alla cura), terapia sperimentale per i delinquenti serial, in cui viene riconosciuta la tendenza naturale a delinquere.
La terapia è forzata a tal punto che chi ne è sottoposto non la possa riuscire a comprendere e ad interiorizzare. Mentre l’obiettivo”far diventare buoni i cattivi” è giustificabile “, il metodo violento , comprensivo di torture fisiche, fa perdere di vista l’obiettivo. Quindi l’educatore/terapeuta diventa simile all’ex torturatore, torturando egli stesso il malato che da carnefice diventa a sua volta vittima.
Alex, terminata la cura e reinserito nella società, prova nausea ogni qualvolta assiste a scene di violenza e di corruzione. Diventa un perfetto cittadino, ma sarà a sua volta umiliato, denigrato, offeso da tutti, persino dalla sua famiglia, perché incapace di difendersi. Finiti gli effetti della cura Alex torna alla sua originaria natura violenta che viene, a questo punto, protetta e sommersa anche dal potere politico che se ne fa garante. Si sovverte quindi il rapporto fra chi legifera e chi viola le leggi. Pertanto è consentito allo stesso legislatore di violare la legge, tutelando chi commette crimini contro la persona e la società.
Questo avviene nella nostra società governata dalle lobby di potere i cui membri costantemente trasgrediscono le leggi e permettono soprusi sui più deboli, violenze e vendette. Malefatte eseguite
da chi incontra i favori e la tutela discrezionali del legislatore, per interessi personali e fini politici.
Quanto accaduto a Manduria è la prova di come tutto il contesto in cui ha operato la banda dei giovanissimi bulli sia da rieducare. Episodi di criminalità accadono ovunque e si perdono anche nella notte dei tempi, ma sono più alte le probabilità che accadano dove regna una società malata di indifferenza e di paura, una società solipsistica, pronta a privatizzarsi più che ad aprirsi all’accoglienza e all’idea del bene comune, dove il diverso viene ignorato nei diritti primari. In una società che priva i giovani del futuro, togliendo ogni speranza di una vita migliore, favorendo il rischio di annichilimento. In una società che non tutela gli anziani, che non riconosce i diritti di genere, che rinnega i più fragili è più facile che s’inneschino fenomeni all’arancia meccanica, favoriti dal silenzio di chi sa, ma tace per paura. E “non potendo scegliere – di essere diverso- cessa di essere un uomo” (A. Burgess)
Alba Vastano
Giornalista
Collaboratrice redazione Lavoro e Salute
Foto: movieplayer
Articolo da Inserto CULTURA/E del numero di maggio di Lavoro e Salute
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