CGIL: Landini finalmente segretario, tutto bene dunque?

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Il 18 esimo Congresso della Cgil ci ha finalmente consegnato un nuovo segretario con una maggior vocazione radicale e di sinistra. Notoriamente Landini rappresenta la parte più combattiva dell’ultracentenario sindacato rosso italiano, quella più popolare e proletaria, anche soprattutto nel modo di comunicare e di farsi capire. Maurizio è l’uomo che sa rappresentare al meglio le passioni, gli umori e le rabbie del variegato mondo dei salariati quotidianamente sfruttati ed oppressi.

La sua nomina nasce prima di tutto dalla necessità di rinsaldare le proprie radici, di “ritornare al popolo”, quello degli iscritti e dei lavoratori. Tenuto conto delle difficoltà del periodo, decisamente ostile ad un mondo di sinistra, percepito ormai come élite di benestanti fighetti, intellettuali radical chic, Landini sembra la carta giusta al momento giusto.

La sua elezione avvenuta sulla base di un documento congressuale in larga parte unitario non è stata però pacifica. Landini dentro la Cgil è ancora percepito da una parte dei notabili come l’uomo della Fiom, quello delle battaglie solitarie e degli atteggiamenti poco unitari con le altre sigle sindacali. Di qui anche la candidatura civetta di Colla (ex segretario generale Cgil dell’Emilia Romagna) in contrapposizione a quella ufficiale di Landini, proposta dalla Camusso dopo una lunga peripezia interna di un candidato sostenibile al posto proprio di Maurizio. Candidati che la Camusso è stata costretta ad abbandonare per un motivo o per l’altro. Alla fine Landini gli è parso l’unica garanzia rimasta sul piatto della ritrovata unità interna, fra metalmeccanici e Cgil. Obtorto collo la Camusso l’ha candidato sperando di poter confermare una nuova stagione di rinnovata unità dentro la Confederazione.

In realtà questa scelta è stata letta dalle componenti più moderate come il rischio di allontanare ulteriormente la Cgil dalle posizioni già distanti dal PD. Landini è stato accusato di essere vicino al Movimento 5 Stelle, di non essere all’altezza della sfida al cambiamento della nuova Rivoluzione 4.0, ed altre amenità.

Personalmente credo che le maggiori diffidenze derivino dalla mancanza dal pedigree landinanio, di un cursus onorum ortodosso per un segretario generale, essendo stato nel recente passato uomo di parte dentro l’organizzazione.

I tentativi di limitare il peso della sua candidatura e di ovviare al possibile ruolo di Landini si sono dunque manifestati nella autocandidatura di Colla. Tipico uomo di organizzazione, con una mentalità fortemente concertativa, fino al paradosso di voler importare il modello tedesco nel suolo italiano devastato dalla presenza di piccole medie imprese di bassa qualità e cultura industriale.

Quella di Colla è stata una manovra volta più a condizionare che vincere un congresso. Infatti alla fine l’elezione di Landini è stata limitata dalla contemporanea nomine di due vice segreteri (una camussiana l’altra di Colla medesimo) volte a controllarne l’operato con la minaccia permanente di azzopparne il mandato come capitò nel 1988 al povero Pizzinato (messo in minoranza a due anni dall’elezione da Trentin).

Inoltre la persistenza nella struttura della Confederazione con delle deleghe dì Susanna Camusso è un ulteriore ombra sulla sua segretaria. Guardando alle prime uscite di questa segreteria e del gruppo dirigente della Cgil, si direbbe che permanga una linea continuista improntata ai principi di cautela e prudenza. Ne sono il frutto, ad esempio, l’appello unitario fatto con Confindustria sul voto europeo o la recente proposta del sindacato unico

Poi vi sono delle aperture su aspetti apparentemente secondari, come sullo sciopero internazionale dell’8 marzo (possibilità per i delegati di proclamarlo a livello aziendale), con l’inizio di attacchi diretti a Salvini (chiuda Casa Pound invece dei porti), o la riuscita mobilitazione con la prima manifestazione unitaria di Cgil Cisl e Uil a febbraio contro la manovra economica del Governo giallo verde. Sembrerebbe di assistere al cauto gioco del lupo che si traveste da pecora.

In tutto questo rimangono sul tappeto i grandi problemi strategici, di fondo, della più grande organizzazione sindacale italiana: un crescente invecchiamento degli iscritti (che riflette l’andamento sui posti di lavoro tradizionali) che non riesce ad intercettare le nuove generazioni, la veloce fuoriuscita dalle categorie dei vecchi quadri ancora legati alla esperienza di cicli di lotta di dura lotta sindacale; l’aumento progressivo del peso numerico dello SPI, con la comparsa al suo interno di dirigenti privi di un passato sindacale significativo, il progressivo anafalbetismo di ritorno politico (di sinistra) dei nuovi e più giovani gruppi dirigenti; il permanere di una forma organizzativa legata ancora al ciclo fordista.

L’assenza di vera e propria sperimentazione delle diverse formule inventante negli ultimi dieci anni dalla Cgil per far fronte al nuovo che avanza da parte delle imprese (delocalizzazioni, esternalizzazioni, frantumazione contrattuale, precarizzazione crescente) condanna quelle che sono solo delle intuizioni come la “contrattazione di sito”, la “contrattazione di filiera” o la “contrattazione inclusiva” a rimanere pressoché confinate nel mondo iperuranico delle belle idee.

La Cgil se vuole contrastare e invertire il declino legato alla qualità attuale dei suoi numeri, deve cambiare passo e fare delle scelte ben più coraggiose sul terreno dell’organizzazione e dell’azione sindacale, rompendo con il vecchio lavoro abitudinario dei “tecnici” della contrattazione difensiva.

Deve ritornare ad aprire nuovi fronti di conflitto, coinvolgendo e promuovendo la partecipazione attiva dei lavoratori e dei delegati favorendone l’autodeterminazione, sperimentando insieme, lottando insieme, provando e sbagliando insieme. Partecipazione, democrazia e lotta saranno vecchi ingredienti, ma vanno riscoperti, specie in una fase nuova, nella quale le regole del gioco sono cambiate e dove anche il sindacato deve cambiare passo, se vuole ritornare a contare e incidere sulla vita del paese e, per lo meno, del vecchio continente.

Marco Prina

Dirigente Cgil Torino

Collaboratore redazione Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di maggio del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

 

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