Nessuna invasione

Foto: Unsplash/ Chang Hsien

Nell’attuale società della comunicazione, in cui tutti sembrano avere potere di parola su tutto e in cui si fa sempre più profonda la distanza tra quello che si crede e la realtà, contrastare le false rappresentazioni delle migrazioni diventa sempre più complesso. E ancora più complesso diventa restituirne un’immagine che tenga conto non solo delle emergenze, ma anche di chi è parte al nostro tessuto sociale da decenni. Uno spaccato di questa componente maggioritaria, ma dimenticata, lo offre l’Osservatorio romano sulle migrazioni, giunto alla quattordicesima edizione e curato dal Centro Studi e Ricerche Idos con il supporto dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V.

Il rapporto di quest’anno mostra che il Lazio è la seconda regione in Italia per presenza di persone immigrate. Al 1 gennaio 2018 la regione contava 679.474 residenti stranieri: 11 ogni 100 abitanti. In un anno il loro incremento è stato del 2,5% (+16.547 persone) a fronte di un andamento risultato invece stabile per i residenti complessivi (italiani e stranieri insieme). Nessuna invasione, dunque, bensì una crescita modesta e per lo più dovuta a dinamiche demografiche interne: nuovi nati da coppie straniere (7.059, 15,8% dei nuovi nati nel Lazio), iscrizioni anagrafiche dall’estero (29.321, 9,7% di quelle avvenute in Italia), saldo migratorio con l’estero (+26.309), cancellazioni per acquisizione di cittadinanza italiana (9.218, 6,3% delle acquisizioni nel Paese).

I più numerosi tra gli stranieri residenti in regione sono i romeni(232.856, 34,3% del totale) e, con presenze decisamente inferiori, filippini (46.282, 6,8%), bangladesi (36.558, 5,4%), indiani (29.162, 4,3%) e cinesi (24.806, 3,7%); tuttavia, se si esclude Roma Metropolitana, la graduatoria in parte muta e, nell’ordine, risultano primi in anagrafe romeni, indiani, albanesi, marocchini e ucraini.

Le donne, che in media sono il 51,6%, partecipano in misura differenziata al processo di insediamento: incidono per oltre il 60% tra moldavi, polacchi, peruviani e ecuadoriani, arrivano a rappresentare il 78% tra gli ucraini, mentre si fermano al 35% tra gli indiani, al 26% tra gli egiziani, al 23,6% tra i bangladesi. Vivono dunque condizioni anche molto differenti nella migrazione, non solo rispetto agli uomini ma anche tra di loro, in relazione alle tradizioni culturali e familiari da cui provengono e ai percorsi con cui si inseriscono dopo la migrazione.

Un elemento che colpisce del volume è che l’immigrazione coinvolge tutte le province e i comuni della regione, sia in termini quantitativi (numero di residenti registrati), sia in termini di risposte approntate localmente, in particolare per l’accoglienza di richiedenti asilo e minori non accompagnati. Tutte le province del Lazio registrano sui propri territori la presenza di residenti stranieri, di nuovi nati da coppie straniere, di nuove registrazioni anagrafiche dall’estero, ma anche nuove acquisizioni di cittadinanza italiana; e tutte ospitano progetti di accoglienza per richiedenti asilo e minori non accompagnati.

Tuttavia, sul fronte dell’accoglienza, nonostante un tale e diffuso impegno di tante amministrazioni comunali, accanto a 12.249 persone accolte nel 2018 nel circuito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) del Lazio ve ne sono state altre 9.894 alloggiate nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), un numero troppo alto per un’accoglienza “straordinaria” e che, oltretutto, si caratterizza per centri con elevate concentrazioni di persone, poco compatibili sia con percorsi di autonomia da parte dei richiedenti asilo, sia con un’interazione di prossimità e di qualità con i comuni ospitanti.         

Un secondo elemento di cui tener conto è che non risulta alcuna evidenza statistica di un processo di sostituzione del ‘popolo italiano’ da parte di altri popoli, come la teoria della sostituzione etnica vorrebbe far credere sostenendo che l’Italia e l’Europa rischino di vedere la propria popolazione scomparire a causa delle migrazioni. Ciò che invece emerge, osservando i dati sui residenti (Istat), è un progressivo processo di spopolamento, più evidente nei piccoli centri del Lazio (in particolare quelli montani), ma in atto anche nella capitale dove, ad eccezione del municipio VI, tutti gli altri hanno conosciuto una mortalità superiore alla natalità, cosicché la città in un anno ha registrato complessivamente un saldo naturale negativo di -7.951 unità. Dunque, Roma, il Lazio, l’intero paese, più che una sostituzione di popolazione rischiano un processo di estinzione, non per eccesso di immigrazione dall’estero e per cause esterne, ma per invecchiamento demografico, emigrazione all’estero, calo riproduttivo, mancanza di opportunità presenti e future.

Un aspetto su cui è particolarmente importante soffermarsi è la dimensione femminile delle migrazioni, che attraversa tutto il volume dell’Osservatorio ma, in particolare, è oggetto di approfondimento in alcuni capitoli. Le donne si confermano protagoniste delle migrazioni, essendo oltre la metà dei residenti stranieri nel Lazio e ancor più nella capitale (52,5% dei 385.621 residenti stranieri), ma scendono al 45% circa tra i lavoratori e al 24,9% tra gli imprenditori di nascita estera, come anche sembrano avere meno possibilità di partire quando è la famiglia che decide di mandare un figlio in Europa, considerato che più di 9 minori stranieri non accompagnati su 10 presenti nel Lazio sono maschi.

Oltre i dati, vi sono poi i processi di soggettivazione che si ricavano da molti capitoli del volume. Si parla di donne che si impegnano per migliorare il proprio italiano (frequentando corsi L2), allargare la propria sfera relazionale (frequentando biblioteche, centri associativi), conquistare livelli di autonomia sempre maggiori. Ne è prova la storia della collettività bangladese della capitale, ricostruita attraverso il racconto delle stesse donne, da cui emerge netta la distanza tra la prima e la seconda generazione: l’una più legata alle tradizioni e ai modelli culturali del paese di origine, l’altra fatta di donne alla ricerca di un’identità nuova e sfaccettata, frutto di negoziazione continua tra se stesse, le famiglie e la città di cui si sentono parte.

Sia che si guardi ai dati che alle forme di vita, le migranti risultano oggetto di grandi carichi e responsabilità (spesso anche familiari), di limitate opportunità lavorative e salariali, spesso di sfruttamento e discriminazioni di genere, di isolamento in casa (la propria o quella del lavoro), ma mostrano anche grandi capacità di adattamento, di rilancio delle proprie prospettive, di ricerca autonoma di nuovi percorsi di realizzazione personale.

Roma e il Lazio, anche guardando a questa nuova edizione dell’Osservatorio romano sulle migrazioni, ci parlano del futuro e di processi di inserimento degli immigrati continuamente in movimento, anche quando la migrazione si è conclusa da tempo.

Sembrano invece ferme le condizioni oggettive di vita degli immigrati: il loro inserimento lavorativo (settori, mansioni, qualifiche), il loro reddito, l’accesso a case dignitose, la possibilità di sperimentare una mobilità sociale verso l’alto. È questa la domanda che resta irrisolta, persino in un contesto di antico insediamento quale quello del Lazio e di Roma, dove anzi alcune questioni si vanno aggravando; si pensi ai tanti insediamenti informali e insalubri presenti in città e alla politica degli sgomberi che allontana gli indesiderati sempre un po’ di più, rimandando e acuendo ulteriormente la questione. Quella che sembra mancare è un’idea presente e futura di città.

Givevra Demaio

20/6/2019 www.ingenere.it

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