Olimpiadi, c’è poco da festeggiare
Ripercorriamo un po’ di storia. Atene 2004. Ancora oggi ci raccontano che quelle Olimpiadi dovevano venire in Italia, che è stata scippata allo Stivale una poderosa opportunità di sviluppo. Bastano pochi secondi di ricerca e ci si può imbattere in un articolo sulle conseguenze economiche di quelle Olimpiadi. Titolo: “Le Olimpiadi in Grecia del 2004 furono l’inizio del default”. Prendiamo alcuni passaggi. “Il budget di 15 miliardi di euro per finanziare le Olimpiadi greche, poi sforato, furono l’inizio della fine per i conti di Atene, un buco contabile da cui il paese non si risollevò più”, “Oggi il villaggio olimpico che era il progetto più importante (240 milioni di euro investiti) resta abbandonato a se stesso, un triste monumento allo sperpero di denaro pubblico”, “il palazzo dove si giocavano le partite di pallavolo è deserto, abbandonato a stesso, monito perenne di come le Olimpiadi possono diventare un boomerang per i conti pubblici. Le rovine moderne di Atene. Il budget di 15 miliardi di euro per finanziare i Giochi che dovevano essere quelli del 2000 – poi sottratti da Atlanta – furono l’inizio della fine per i conti, un buco da cui non si risollevò più”. Quest’articolo non è opera di un irriducibile No Tav, di un attivista 5 Stelle che vuol difendere a spada tratta Raggi e Appendino, non è opera di un cantore della decrescita felice o di un irriducibile marxista. Sono frasi di un articolo – 14 febbraio 2012 – de “Il Sole 24 Ore”, il quotidiano di Confindustria. L’unica cosa che possiamo aggiungere è giusto un dato, che tanto appassiona economisti e politici del “partito dello sviluppo e delle opere da fare”: in Grecia nel 2002 il rapporto deficit/Pil era al 3.7%, nell’anno olimpico schizzò al 7.5%, il debito pubblico passò da 182 a 201 miliardi di euro. Cosa accadde dopo dovremmo ricordarcelo.
Due anni dopo i Giochi olimpici invernali arrivano in Italia. 308.5 milioni di euro. È la cifra spesa solo per alcune delle maggiori “cattedrali del deserto”, tra villaggio olimpico, piste e impianti, che Torino 2006 ha lasciato in eredità. Tredici anni dopo è ancora in attività, e lo sarà almeno fino al 31 dicembre dell’anno prossimo, un commissario per “le attività residue dei giochi” e che si trova a gestire 29 milioni di euro mai tornati alla collettività. Nel 2001 il debito del Comune di Torino ammontava a 1.7 miliardi, dopo i Giochi del 2006 schizzarono a 2.98 miliardi. Rispetto alle stime iniziali – circa 500 milioni di euro – il costo finale dei Giochi si moltiplicò di sette volte. È una storia infinita, ripercorrere tutte le tappe – da Italia 90 all’Expo 2015 (per ora!) – avrebbe bisogno di tomi enciclopedici. Il bilancio pubblico, per Italia 90, prevedeva ancora nel 2004 voci per mutui accesi di 61 milioni e 200 mila euro. Anche per impianti sportivi nel frattempo demoliti! L’Air Terminal di Ostiense costò 180 milioni di euro, fu abbandonato poco dopo i Mondiali e recuperato solo da Farinetti nel 2012 per Eataly. La stazione Farneto, in zona Farnesina a Roma, costò 7 milioni e mezzo di euro e fu utilizzata da 12 treni in 20 giorni. Ma, oltre questo, negli anni si sono intervallate inchieste parlamentari, indagini della magistratura su appalti truccati. Tutto finì nel porto delle nebbie. Ma un dato sembra emergere: 9 appalti su dieci erano senza controllo.
L’Expo di Milano è la più plastica rappresentazione di dinamiche e centri di potere consolidati su appalti, grandi eventi e simili. L’evento si è tenuto nel 2015. Il 16 dicembre di due anni prima Francesco Paolo Tronca riporta alla commissione parlamentare antimafia le risultanze delle indagini su alcune dei lavori, solo per la Tangenziale esterna est sette imprese erano già state colpite da interdittive antimafia. Ottobre 2016. La procura milanese dispone gli arresti di quattordici tra manager e imprenditori calabresi e lombardi, indagini su corruzione in vari subappalti tra cui lavori per Expo. Qualche settimana dopo ad alcuni degli indagati fu contestata l’aggravante mafiosa. Imprenditori prestanome dei clan impegnati nel 70%, dei lavori tra cui i padiglioni Italia, Cina ed Ecuador, le rampe di accesso e la rete fognante. Tramite prestanome sugli appalti avevano messo le mani le cosche Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e la cosca Piromalli-Bellocco di Rosarno. Grandi opere, cantieri da sbloccare, l’Italia del Fare che si oppone all’Italia del No, ma non si può dire sempre no a tutto. Quante volte sentiamo queste frasi. Ora, sfatiamo un mito. Non si dice no a tutto (tav, mose, alta velocità in varie regioni, ecc.), il no è uno e una solo: alla corruzione imperante sulle spalle dei territori, che vengono devastati, e delle casse pubbliche, che vengono dissanguate. Abbiamo appena ricordato brevemente inchieste giudiziarie su Expo. Ma si potrebbe scrivere ancora per giorni e giorni. Ed Expo si aggiunge ad un lunghissimo elenco che coinvolge tutto lo Stivale. Dalla Tav in Val Susa al Mose di Venezia, dalla TAV di Afragola ai post terremoti 2009 e 2016, l’elenco è sterminato. (Im)prenditori, prestanome dei clan, mafie, politici corrotti, cattedrali nel deserto e “opere” inutili. Se dovessimo sintetizzare con uno slogan potremmo scrivere “dove c’è grande ci sono mafie e corruzioni”.
Sulle Olimpiadi 2026 già è partita la fanfara degli annunci su mafia, ndrangheta e corruzione che rimarranno fuori. Era stato detto prima di Expo, era stato detto dopo il terremoto aquilano, è stato sempre ripetuto. E sappiamo come è finita. Anche ora non possiamo che concludere in una sola maniera: c’è ben poco da festeggiare e tanto da allarmarsi.
Alessio Di Florio
16/7/2019 https://comune-info.net
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