Farmaci. L’iniquità del doppio canale

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Sono passati vent’anni da quando migliaia di africani morivano ogni giorno di Aids. Difficile, se non impossibile, per i paesi dell’Africa subsahariana devastati dall’infezione accedere ai costosi farmaci antiretrovirali in uso nel mondo occidentale.Le industrie farmaceutiche sostenevano di non poter ridurre il costo delle loro terapie anti-Hiv: 15 mila dollari per un anno di trattamento. Si scatenò una battaglia legale. Da una parte il Sudafrica e dall’altra Big Pharma. Nel 1997 Nelson Mandela, il presidente del Sudafrica, approvò il Medical act, una legge che avrebbe consentito per ragioni di salute pubblica la produzione locale o l’importazione dei farmaci per l’Aids: in deroga alle norme sui brevetti stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e perciò a un costo inferiore. Un anno dopo le maggiori industrie farmaceutiche misero in campo un vero e proprio esercito di avvocati e avviarono un’azione legale per bloccare l’iniziativa di Mandela. Nel 2001 il processo arrivò alla Corte di Pretoria. Messa sotto i riflettori dell’opinione pubblica, esposta alle critiche della società civile di tutto il mondo, Big Pharma decise di desistere e ritirò le accuse contro il Sudafrica.[1] Quello stesso anno a Doha, sede della Conferenza del Wto, si  raggiunse un accordo sulla gestione della proprietà intellettuale, i Trips (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights). E si stabilì che la necessità di affrontare problemi di salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo non dovesse impedire ai medesimi di produrre farmaci generici ignorando i brevetti che li proteggono o di importarli da Paesi che li producono e li vendono a prezzi inferiori rispetto a quelli imposti dalle multinazionali.

Oggi quasi 20 milioni di africani hanno accesso a terapie antiretrovirali per meno di 100 dollari all’anno. Anche farmaci per malaria, tubercolosi, epatite C e alcuni tipi di cancro sono ora venduti a prezzi accessibili.[2] (Sul modello della campagna contro l’Aids alcuni fra i più comuni chemioterapici sono ora venduti in Africa a un costo di poco superiore a quello di produzione: il cancro uccide circa 450mila persone ogni anno in Africa e prevede l’Oms saranno un milione nel 2030). [3] “Molte delle 20 maggiori società farmaceutiche del mondo si vantano ora di aiutare i paesi poveri e combattere le malattie neglette. E gareggiano per essere tra i primi nell’Access to Medicine Index che registra i loro slanci caritatevoli. Diverse industrie collaborano anche con le società produttrici di generici, come quelle indiane, che un tempo avevano liquidato come ‘pirati’ di brevetti. L’obiettivo è che farmaci a basso costo siano disponibili per Africa, Asia e America Latina” scrive Donald G. McNeil, sul New York Times. [4] E ci sono, a suo parere, opportunità di ulteriori sviluppi positivi. Gli straordinari progressi avvenuti finora si limitano a poche aziende, e dipendono dai dollari di donatori, sottolinea un rapporto pubblicato lo scorso mese dall’Access to Medicine Foundation. Man mano che nei Paesi in via di sviluppo l’aspettativa di vita aumenta (anche se è ancora lontana da quella del mondo occidentale), le morti per cancro, diabete e problemi cardiaci crescono di numero. E le industrie farmaceutiche non sono state altrettanto veloci nel fornire trattamenti per condizioni croniche, fa notare Jayasree K. Iyer, attuale direttore esecutivo della Foundation. “La situazione è ancora precaria. Basta che una società farmaceutica decida di smettere o un calo degli investimenti nel settore sanitario a mettere a repentaglio i passi avanti fatti sinora”.

In soli tre anni la speranza di vita in buona salute dei popoli africani è passata da 50,9 anni a 53,8.  È quanto emerge dal rapporto dell’Oms reso noto nel 2018 alla 68esima sessione del Comitato regionale a Dakar, in Senegal. Il rapporto indica come la salute degli abitanti di 47 Paesi africani stia progressivamente migliorando: “Quasi tre anni di vita in salute in più è un regalo che ci rende fieri” ha commentato Matshidiso Moeti, la direttrice dell’Oms per l’Africa. Ma è una strada ancora lunga se si pensa che l’età media dei 28 Paesi Ue è di 77,9 anni e negli Stati Uniti di 78,4. “L’Africa, la cui popolazione è di un miliardo e 216 milioni di abitanti, deve fare ancora i conti con vastissime aree di sottosviluppo, povertà e fame, con epidemie e arretratezza dei sistemi di prevenzione e assistenza che spiegano l’enorme divario nell’aspettativa di vita tra il mondo occidentale e loro. Un fossato che tuttavia va riducendosi con imprevista velocità”.[5] Le principali cause di morte in Africa restano le infezioni alle prime vie respiratorie, quelle legate al virus Hiv e le infezioni gastrointestinali: è su queste tre affezioni che i Paesi africani hanno adottato programmi di prevenzione. La mortalità legata a queste patologie è diminuita passando in cinque anni da 87,7 a 51,1 decessi ogni 100 mila persone.

L’Access to Medicine Index – fondato nel 2005 dall’olandese Wim Leereveld,  ex consulente per l’informazione dell’industria – registra i progressi di venti fra le maggiori aziende farmaceutiche americane, europee e giapponesi nel rendere accessibili i farmaci alle persone che vivono nei Paesi poveri del mondo, e stila una graduatoria aggiornata che viene pubblicata ogni due anni. GSK, ex GlaxoSmithKline, ha occupato ogni volta la prima posizione, seguita da Johnson & Johnson, Novartis, Sanofi e Merck KGaA che hanno ottenuto un buon posto nella classifica. Le quattro maggiori società giapponesi posizionate da principio in fondo all’Index hanno recuperato terreno: Takeda è da poco passata alla posizione numero 5 e Eisai alla numero 8. Sono cinque le malattie che hanno la priorità nei programmi di ricerca e sviluppo: Aids, tbc, malaria e due patologie neglette, chagas e leishmaniosi. Secondo stime dell’Oms, malaria, tbc e AIDS hanno causato nel 2016 la morte di più di tre milioni di persone. Sono 106 i Paesi a basso e medio reddito monitorati dalla Access to Medicine Foundation che ha recentemente pubblicato un bilancio di come siano cambiate le cose (in meglio) da quando è stata fondata.[6]

Oggi le multinazionali utilizzano tre strade per portare i farmaci ai paesi poveri: riducono i prezzi (e questo la dice lunga sul loro margine di guadagno), fanno donazioni di medicinali o concedono brevetti in sub-licenza a società che producono generici. Più di 400 farmaci ora sono venduti a prezzi bassi. La sub-licenza è oggi utilizzata per circa 30 farmaci anti-Hiv ed epatite C. E i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di milioni di dosi. “Sono cambiati i tempi e quindi anche le iniziative del mercato. Le aziende farmaceutiche hanno individuato un nuovo motivo per distribuire i loro prodotti nei paesi poveri: profitti futuri” ha affermato Yo Takatsuki, a capo dell’investimento etico nella ricerca per la Axa Investment Managers a Londra. “Mentre i mercati nel mondo occidentale si stabilizzano, aziende come AstraZeneca e Sanofi ricavano quasi un terzo delle loro entrate dai paesi in via di sviluppo. Come investitori noi chiediamo alle aziende di pensare alle opportunità di business dei mercati emergenti, invece di considerarli una filantropia di benessere e una perdita di denaro”. Sono oggi due miliardi le persone nel mondo che non hanno accesso ai farmaci, anche quelli essenziali considerati dall’Oms prioritari per bisogni di salute.

Sia in termini di obiettivi sociali che di business, i risultati ottenuti si possono considerare insoddisfacenti. “Anche se lo scenario è cambiato resta ancora inevasa la domanda di accesso alla salute per gran parte del mondo. Due i livelli attuali del mercato e della ricerca: quello dei farmaci innovativi, biologici, della medicina di precisione, e quello globale dei generici” osserva Maurizio Bonati, direttore del Dipartimento di Salute Pubblica al Mario Negri di Milano. “Il primo per pochi (nel nord del mondo e ad alto prezzo), il secondo potenzialmente per molti. Per l’utilizzo dei primi l’accesso non è negato solo dal prezzo, ma anche dall’insieme delle cure (dai percorsi diagnostici dai test genetici all’immunologia) proibitivo nel sud del mondo. A conferma che la visione dei due mondi permane e la globalizzazione è del mercato e non quella dei diritti”. Inoltre, fa notare il ricercatore, l’Access to Medicine Index dovrebbe monitorare non solo quel che accade nel Sud del mondo ma in tutte le nazioni: utile sapere i prezzi concordati con i diversi Stati per gli stessi farmaci (anche quelli innovativi), stabilire i costi,  e così via. Questa sarebbe una vera svolta verso la trasparenza.

Gianna Milano, giornalista scientifica

Bibliografia e note

  1. Nel novembre 1999 con la elezione a presidente del Sudafrica di Thabo Mbeki la campagna intrapresa da Nelson Mandela per combattere l’Aids perde di efficacia. Il neopresidente sposa la teoria non ufficiale di Peter Duesberg sull’Aids che nega il legame diretto fra Aids e Hiv e sostiene la tossicità degli antiretrovirali. La successiva creazione del South African National Aids Council nel gennaio 2000 non fa che esasperare una situazione già critica. Al posto di scienziati, medici ed attivisti nel Council verranno coinvolti guaritori e celebrità. La conseguenza del sostegno alla teoria dei “denialist”, più la messa in discussione del ruolo dei farmaci anti-Hiv e la reticenza governativa alla loro fornitura aggravò l’epidemia in Sudafrica. Vedi anche Un migliore futuro per la sanità del Sudafrica.
  2. Donald G. McNeil. As Cancer Tears Through Africa, Drug Makers Draw Up a Battle Plan. New York Times, 07.10.2017.
  3. Johson G. In Developing World, Cancer Is a Very Differente Disease. New York Times, 18.12.2015.
  4. Mc Neil DG. Drug Companies Are Focusing on the Poor After Decades of Ignoring Them. New York Times, 24.06.2019
  5. Dossier Onu. L’Africa cresce: tre anni in più nell’aspettativa di vita. Avvenire.it, 01.09.2018.
  6. Access to Medicine Foundation
Gianna Milano
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