Da Trento a Bologna, storia degli attentati sui treni italiani
Trent’anni di sangue. 1967-1984: la strategia della tensione corre sui binari, poi nel ’93 da Capaci inizia l’offensiva stragista di Cosa nostra contro lo stato
«Attentati a uffici, magazzini, cinema, linee ferroviarie. L’opinione pubblica, sempre scontenta e avida di tranquillità, si sarebbe indignata e avrebbe invocato l’ordine senza curarsi da quale parte sarebbe venuto». A parlare in questo modo era Pino Rauti, il giovane leader della corrente evoliana, nel corso di una riunione interna dell’Msi, a Roma, negli anni Cinquanta. A riportare le sue parole fu Giulio Salierno, all’epoca dirigente giovanile della sezione di Colle Oppio, nella sua Autobiografia di un picchiatore fascista (Einaudi, 1976).
Certo è che a partire dagli anni Sessanta i treni e le linee ferroviarie furono oggetto di un’infinità di attentati da parte del terrorismo neofascista.
TRENTO, 30 SETTEMBRE 1967
Il primo tentativo di strage fu quello compiuto il 30 settembre 1967 alla stazione di Trento, quando fu segnalata sull’Alpen Express una valigia sospetta abbandonata.
Due agenti la prelevarono e tentarono di portarla il più lontano possibile. Alle 14.44, zeppa di esplosivo, scoppiò tra le loro mani, uccidendoli. L’attentato fu addebitato al terrorismo sudtirolese.
1969, VERSO PIAZZA FONTANA
Nell’escalation degli attentati che nel 1969 portarono alla strage in piazza Fontana, un posto di rilievo ebbe la collocazione, tra l’8 e il 9 agosto 1969, su dieci treni di altrettanti pacchi esplosivi. Due fecero cilecca ma otto scoppiarono. Dodici furono i feriti, tutti in modo lieve.
Per questi episodi Franco Freda e Giovanni Ventura di Ordine nuovo, l’organizzazione fondata da Rauti, furono condannati con sentenza definitiva.
1970, DA GIOIA TAURO A VERONA
La prima strage riuscita su un treno fu quella del 22 luglio 1970, quando il direttissimo Palermo-Torino (la «Freccia del Sud») fu fatto deragliare nei pressi della stazione di Gioia Tauro. Alla fine si contarono sei morti, di cui cinque donne, e 72 feriti.
Da otto giorni era in corso la rivolta di Reggio Calabria, scoppiata il 14 luglio. La verità emerse solo 23 anni dopo, quando alcuni pentiti confessarono che la strage fu eseguita su mandato del «Comitato d’azione per Reggio capoluogo» e che a portarla a termine fu un commando neofascista.
Poche settimane dopo, il 28 agosto 1970, fu rinvenuta nella sala passeggeri della stazione ferroviaria di Verona una valigia abbandonata da cui proveniva un ticchettio di orologio. Notata da un sottufficiale della Polfer, fu portata in un luogo isolato dove esplose un’ora dopo.
1971, LA VISITA DI TITO IN ITALIA
In concomitanza con la preannunciata visita del maresciallo Tito in Italia, un grave attentato fu, invece, organizzato, il 28 marzo 1971, per colpire il treno diretto a Venezia, all’altezza di Grumolo delle Abbadesse. Settantadue centimetri di binario furono tranciati da un ordigno. Il convoglio rischiò di deragliare, salvandosi solo grazie alla sua velocità.
1974, L’«ITALICUS»
Tra il 1973 e il 1974 gli attentati sui treni furono ben 14 con una strage riuscita.
Questi gli episodi principali: il 7 aprile 1973, sulla linea Genova-Roma, con il tentativo di Nico Azzi, di Ordine nuovo, di innescare una carica esplosiva in una toilette del treno. Azzi rimase ferito dallo scoppio del detonatore e immediatamente arrestato. Il 29 gennaio 1974 a Silvi Marina, in provincia di Teramo, con l’inatteso passaggio del locomotore di un treno merci che tagliò la miccia dell’ordigno posto sui binari. Il 21 aprile 1974 a Vaiano, in provincia di Firenze, quando la strage fu, invece, evitata grazie al blocco automatico dei treni in caso di interruzione dei binari. La carica esplosiva aveva, infatti, divelto oltre mezzo metro di rotaie.
La strage si compì, invece, il 4 agosto 1974, sul treno espresso Roma-Brennero, l’«Italicus», proveniente da Firenze e diretto a Bologna, a cento metri dallo sbocco della Grande galleria dell’Appennino. Il bilancio fu di 12 morti e 44 feriti.
TRA IL 1975 E IL 1978
Si continuò ancora a colpire treni e linee ferroviarie negli anni successivi. Il 6 gennaio 1975 a Terontola, quando 55 centimetri di rotaia furono divelti da una carica di polvere da mina.
Il 12 aprile 1975, all’altezza di Incisa Val D’Arno, quando un ordigno fece, invece, sollevare quaranta centimetri di rotaia.
Il 6 febbraio 1977, in compenso, la polizia disinnescò alla stazione Tiburtina di Roma sette candelotti di dinamite sull’espresso Napoli-Milano.
Il 5 settembre 1978, infine, cinque chili di esplosivo, tra le stazioni di Vaiano e Vernio, avrebbero dovuto scoppiare sotto la motrice dell’espresso «Conca d’oro», che viaggiava da Milano a Palermo. Rimasero feriti i macchinisti di un treno che passò al momento dell’esplosione.
1980, LA STRAGE DI BOLOGNA
Quella del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna fu la strage non solo più importante sulle linee ferroviarie ma la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica. Alle 10.25 la terribile esplosione. Crollava un’intera ala della stazione, affollatissima per le grandi partenze estive, che a seguito della potenza micidiale dell’ordigno, prima si sollevava e poi ricadeva su se stessa. Il treno Ancona-Basilea, in sosta sul primo binario, veniva investito in pieno dall’onda d’urto.
Tra le lamiere fuse e contorte venivano estratti i corpi di decine e decine di persone. Settantacinque le vittime subito recuperate. Altre dieci moriranno nei giorni successivi. Alla fine si conteranno 85 morti, 74 italiani e 11 stranieri, e 200 feriti.
È attualmente in corso dal 21 marzo 2018 un nuovo processo nei confronti di Gilberto Cavallini, ex Nuclei armati rivoluzionari (Nar), accusato di concorso per aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva per la strage, i primi due all’ergastolo e il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni.
1981 E ANCORA DOPO
Non finì ancora. Il 12 febbraio 1981, otto mesi dopo, ben cinque kg di esplosivo furono rinvenuti sulla linea ferroviaria di Venezia, allo snodo di Porto Marghera. L’innesco non aveva funzionato.
Mentre il 9 settembre 1983, il treno 571 Milano-Palermo, mille passeggeri a bordo, in transito sul viadotto alto cinquanta metri del fiume Bisenzio, venne investito da un’esplosione, mentre incrociava un altro treno. Se l’atto terroristico avesse avuto pieno successo i morti si sarebbero contati a centinaia.
IL TRATTO AREZZO-BOLOGNA
Complessivamente sul solo tratto Arezzo-Bologna di 120 chilometri, ben otto furono i tentativi falliti e tre le stragi riuscite: il 4 agosto 1974 sul treno «Italicus», il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e il 23 dicembre 1984, sul«Rapido 904», all’interno della Grande galleria dell’Appennino. Fu l’ultima, con 16 morti e 267 feriti.
I LEGAMI CON COSA NOSTRA
Con essa si apriva un’altra stagione con l’avvio da parte di Cosa nostra di un’azione offensiva nei confronti dello Stato, che porterà alle stragi di Capaci, via D’Amelio e alle bombe del 1993.
La continuità era data dall’impiego di uomini e mezzi provenienti dall’eversione nera. Ne fa fede la condanna nel processo stralcio per la strage del «Rapido 904» del parlamentare missino Massimo Abbatangelo. Non fu condannato per la strage ma per aver detenuto e fornito esplosivi ai clan camorristici.
Dalle indagini risultò anche che l’esplosivo usato per la strage di via D’Amelio fosse dello stesso tipo di quello del 23 dicembre 1984, mai utilizzato in precedenza da Cosa nostra.
Saverio Ferrari
2/8/2019 www.rifondazione.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!