Prigionieri di una grande opera.

Uno scrit­tore ha in sorte una pic­cola voce pub­blica. Può usarla per fare qual­cosa di più della pro­mo­zione delle sue opere. Suo ambito è la parola, allora gli spetta il com­pito di pro­teg­gere il diritto di tutti a espri­mere la pro­pria. Tra i tutti com­prendo in prima fila i muti, gli ammu­to­liti, i dete­nuti, i dif­fa­mati da organi d’informazione, gli anal­fa­beti e chi, da nuovo resi­dente, cono­sce poco e male la lingua.

Prima di dovermi impic­ciare del mio caso, posso dire di essermi occu­pato del diritto di parola di que­sti altri.

«Ptàkh pìkha le illèm»: apri la tua bocca per il muto (Proverbi/Moshlé 31,8). Oltre a quella di comu­ni­care, è que­sta la ragione sociale di uno scrit­tore, por­ta­voce di chi è senza ascolto. Sal­man Rush­die con il suo romanzo Ver­setti sata­nici ha sca­te­nato mani­fe­sta­zioni di masse isla­mi­che con­tro una bla­sfe­mia risen­tita nel suo rac­conto. Delle per­sone sono scese in piazza e sono morte per que­sto effetto di rea­zione. Il romanzo di Goe­the I dolori del gio­vane Wer­ther sca­tenò un’ondata di sui­cidi nei gio­vani europei.

Con minori con­se­guenze, Rei­n­hold Mes­sner 25 con le sue pub­bli­ca­zioni ha atti­rato let­tori a salire in mon­ta­gna e alpi­ni­sti a ten­tare le sue imprese. Mauro Corona ha fatto venire voglia ai suoi let­tori di visi­tare Erto e la diga del Vajont. Que­sti sono casi di isti­ga­zione? O con più pro­prietà di lin­guag­gio e nes­suna con­se­guenza penale sem­pli­ce­mente sug­ge­stioni dovute al verbo ispi­rare? Se dalla parola pub­blica di uno scrit­tore seguono azioni, que­sto è un risul­tato ingo­ver­na­bile e fuori del suo controllo.

Le parole pos­sono solo que­sto, anche quando inci­tano a più impe­tuosi impe­gni:Aux armes citoyens è isti­ga­zione pre­sente nella Mar­si­gliese, inno nazio­nale fran­cese, il più bello che cono­sco. Incita alla guerra civile, a pren­dere le armi con­tro il tiranno. Fa da colonna sonora sot­tin­tesa di ogni insur­re­zione. Claude Joseph Rou­get de Lisle, autore del testo, aspetta da un paio di secoli denun­cia per istigazione.

L’utopia non è il tra­guardo ma il punto di par­tenza. Si imma­gina e si vuole rea­liz­zare un luogo che non c’è ancora.

Uno stu­pro del territorio

La Val di Susa si batte dal tempo di una gene­ra­zione per il motivo oppo­sto: per­ché il luogo ci sia ancora. Non quello imma­gi­nato da chi, pur di rea­liz­zare pro­fitto su uno dei tanti grandi lavori, è indif­fe­rente al danno pro­cu­rato alla salute pub­blica. Uto­pia, e delle peg­giori, è l’asservimento di un ter­ri­to­rio a una spe­cu­la­zione dichia­rata, per meglio abu­sare, stra­te­gica. Le per­fo­ra­zioni e la pol­ve­riz­za­zione di gia­ci­menti di amianto fanno inor­ri­dire chiun­que abbia noti­zia del gua­sto mici­diale di uno spar­gi­mento delle sue fibre tos­si­che. La mia defi­ni­zione è: stu­pro di ter­ri­to­rio. La Val di Susa si batte con­tro il disa­stro ambien­tale per scon­giu­rarlo, per non doverlo pian­gere dopo. Si tratta della più intensa e dure­vole lotta di pre­ven­zione popo­lare. Paga que­sta sua volontà con una repres­sione su scala di massa e con la mili­ta­riz­za­zione della sua vita civile.

Una grande pre­po­tenza pre­tende di schiac­ciare le ragioni e i corpi di una pic­cola val­lata. Resi­stono da una gene­ra­zione con deter­mi­na­zione com­mo­vente. Da com­mosso ho ade­rito alle loro ragioni aggiun­gendo spesso e da molti anni la mia pre­senza fisica alle loro mani­fe­sta­zioni. Il nostro paese ha biso­gno di rin­no­varsi scrol­lan­dosi di dosso i paras­siti delle cor­ru­zioni, degli inte­ressi pri­vati a danno delle pub­bli­che spese, dei pri­vi­legi. L’organismo è sano ma il suo manto è aggre­dito. In Val di Susa il corpo rea­gi­sce e osta­cola lo scavo degli acari infe­stanti, dei tarli rosic­chianti le mon­ta­gne. La resi­stenza civile pro­duce gli anti­corpi necessari.

Così pure a Lam­pe­dusa una comu­nità ha saputo rea­gire alla degra­da­zione impo­sta da leggi cri­mi­nali. Gli ordini venuti dal con­ti­nente hanno voluto strin­gere un nodo scor­soio intorno all’isola e farne terra chiusa. I Lam­pe­du­sani hanno sle­gato e fatto terra aperta.

Dare cibo, acqua, vestiti, allog­gio, pre­mura per gli amma­lati, i pri­gio­nieri, i morti: le sette opere di mise­ri­cor­dia sono state com­piute da loro, che vivono sul mare e usano leggi oppo­ste. E non sono Lam­pe­du­Santi, ma sem­pli­ce­mente Lam­pe­du­Sani. La rima nord e sud, Val di Susa e Lam­pe­dusa, riscatta oggi il titolo di cit­ta­dini da pre­po­tenze che li vogliono sudditi.

Per­ché si dia isti­ga­zione alla vio­lenza biso­gna dimo­strare la con­nes­sione diretta tra parole e azioni com­messe. In una dichia­ra­zione ripor­tata su «Left», sup­ple­mento di «l’Unità» (21 giu­gno 2014), Gae­tano Azza­riti, pro­fes­sore di Diritto costi­tu­zio­nale, afferma: «L’articolo 21 della nostra Costi­tu­zione ci per­mette la mas­sima libertà di espri­mere le nostre opi­nioni. Per que­sto i pub­blici mini­steri, in un caso come quello di De Luca, dovranno dimo­strare la con­nes­sione diretta tra le parole e l’azione… Se non si può dimo­strare un’immediata suc­ces­sione di eventi tra parole e azioni, allora il reato non esi­ste».
Isti­ga­zione alla vio­lenza: negli anni pas­sati degli auto­re­voli espo­nenti di par­titi, con largo seguito di iscritti e mili­tanti, hanno di volta in volta pub­bli­ca­mente minac­ciato il ricorso alle armi per rag­giun­gere dei loro obiet­tivi. In altre cir­co­stanze hanno annun­ciato il ricorso all’evasione fiscale di massa. Non sono stati inqui­siti dalla magi­stra­tura per il reato di istigazione.

Omis­sione di confronto

Sono d’accordo: anche se inve­stiti di auto­rità e di con­se­guente facoltà di pro­muo­vere azioni cri­mi­nose presso il largo seguito di ade­renti, hanno eser­ci­tato il loro diritto di parola. Nel mio caso la pub­blica accusa afferma che le mie parole hanno avuto un seguito di azioni. Mi attri­bui­scono un ruolo che nem­meno gli alti espo­nenti di par­tito hanno avuto.

Si è arri­vati a pro­nun­ciare que­sto ragio­na­mento: dopo le mie frasi si sono pro­dotti tali epi­sodi. E prima delle mie frasi? Manca per omis­sione il con­fronto. Dopo la fab­bri­ca­zione dei faz­zo­letti di carta le per­sone si sono sof­fiate il naso. E prima? L’argomento è di quelli messi in ridi­colo da un buon mil­len­nio e fis­sati dalla frase latina: «Post hoc, ergo prop­ter hoc»: dopo di que­sto, dun­que a causa di questo.Non appar­tengo a nes­suna for­ma­zione poli­tica. Par­te­cipo da cit­ta­dino a mani­fe­sta­zioni che con­di­vido e per inte­resse di testi­mone. Ma la pub­blica accusa afferma che avrei influen­zato il com­por­ta­mento di per­sone e la com­mis­sione di reati.

I pub­blici mini­steri hanno esi­bito un elenco di epi­sodi com­piuti da mili­tanti No Tav, com­pi­lato dalla Digos di Torino, acca­duti a par­tire da set­tem­bre 2013. Tutti que­sti epi­sodi sono stati riven­di­cati da ano­nimi mili­tanti No Tav che dichia­ra­vano di avere agito in soli­da­rietà con quat­tro loro mili­tanti arre­stati. Tutti gli autori degli epi­sodi di quell’elenco hanno agito per soste­nere la causa dei loro com­pa­gni. Almeno uno, uno solo, poteva aggiun­gere, magari anche in mar­gine come postilla: e poi per­ché l’ha detto De Luca sull’«Huffington Post».

I pub­blici mini­steri esi­bi­scono come dimo­stra­zione un elenco incom­pleto, privo di raf­fronto con il periodo pre­ce­dente, e che per giunta dimo­stra il con­tra­rio.
Que­gli epi­sodi non c’entrano niente con le mie frasi incri­mi­nate da loro.

Dalle mie parti, al Sud, esi­ste un altro tipo di respon­sa­bi­lità della parola. Uno augura il peg­gio a una per­sona e quella più tardi subi­sce un inci­dente. Il tale del malau­gu­rio viene rite­nuto respon­sa­bile dell’accaduto e dà così avvio alla sua fama di iettatore.

Quando in uno sta­dio del Nord Ita­lia si incita la natura invo­cando «Forza Vesu­vio» si sta isti­gando un vul­cano all’eruzione. La rea­zione da parte meri­dio­nale non è stata una denun­cia ma l’esorcismo effi­cace di una grat­ta­tina in zona pubeale. Che la linea Tav in Val di Susa possa essere sabo­tata, che possa non sbu­care dall’altra e da nes­suna parte. Che pos­sano finire i fondi pub­blici desti­nati all’affarismo di aziende col­le­gate ai par­titi. Che un governo di nor­mali capa­cità di inten­dere e volere la lasci incom­piuta, come già altri 395 (tre­cen­to­no­van­ta­cin­que) grandi lavori in Ita­lia. Che possa essere dichia­rata disa­stro ambien­tale e i suoi respon­sa­bili per­se­guiti per que­sto. La linea Tav va sabo­tata: la frase rien­tra nel diritto di malaugurio.

Mini­stri di que­sto e di altri governi hanno dichia­rato la linea Tav in Val di Susa opera stra­te­gica. Stra­te­gico è agget­tivo di ori­gine mili­tare, stra­tega era il coman­dante dell’esercito greco. L’effetto è anche mili­tare: il can­tiere della per­fo­ra­zione e la val­lata sono sotto pre­si­dio di forze armate oltre che di corpi di poli­zia e carabinieri.

Stati di emergenza

Area di inte­resse stra­te­gico vuol dire sem­pli­ce­mente area sot­tratta a dis­senso, dove non si può pro­te­stare e dove per­tanto si può usare l’esercito con fun­zione di ordine pub­blico. La defi­ni­zione di area d’interesse stra­te­gico è pom­posa ma recente. Appli­cata al can­tiere Tav di Chio­monte, con legge del 12 novem­bre 2011, è stata in pre­ce­denza inven­tata per la Regione Cam­pa­nia, allo scopo di pro­teg­gere dalle pro­te­ste civili la costru­zione di impianti di smal­ti­mento rifiuti. Si capi­sce che l’aggettivo «stra­te­gico» infi­lato nella legge del 2011 è stato preso dalla spaz­za­tura (il DL 23/5/2008 n. 90 32 attri­bui­sce qua­li­fica di «area di inte­resse stra­te­gico nazio­nale» a siti, aree, impianti con­nessi alla gestione di rifiuti).

Sono incri­mi­nato per avere espresso la neces­sità di sabo­tare un’opera stra­te­gica per lo Stato. Ma a costi­tuirsi parte civile con­tro di me è una ditta pri­vata, Ltf sas. Non dovrebbe essere lo Stato con la sua avvo­ca­tura? Lo Stato non si ritiene dan­neg­giato dalla mia insu­bor­di­na­zione con­tro l’opera così deci­siva per le sorti pub­bli­che? Si nasconde die­tro la parte civile di una qua­lun­que ditta privata?

A pro­po­sito, la ditta in que­stione non è ita­liana ma fran­cese, con sede a Cham­bery: ltf sta per Lyon Turin Fer­ro­viaire. Biz­zar­rie del destino: caso vuole che in Fran­cia non siano in vigore le nostre nor­ma­tive anti­ma­fia nell’assegnazione degli appalti. Caso vuole che per la Fran­cia la linea Lyon-Torino non sia stra­te­gica né prio­ri­ta­ria. L’entusiasmo della ditta ltf non è con­di­viso in patria.

Chiedo che sia lo Stato a costi­tuirsi parte civile con­tro di me. Mi si pro­cessa per una dichia­ra­zione con­tro un’opera solenne e stra­te­gica del nostro ter­ri­to­rio e in caso di con­danna dovrei rim­bor­sare un’azienda fran­cese anzi­ché lo Stato ita­liano? Chiedo alla pub­blica e distratta auto­rità di pro­ce­dere alla costi­tu­zione di parte civile con­tro di me. Sarò con­dan­nato per essermi oppo­sto a un’opera di Stato e non a una qua­lun­que ditta estera venuta a far danno da noi.

Erri De Luca
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