La rivoluzione di BB.

Bernardo Bertolucci è morto.
Leggo molti commenti su di lui, in rete.
Tanti di persone affettuose, molti di “indignati”.
Fra i secondi, come al solito, lo spettro, in quanto a fantasia, è largo: si va da: “Se non fosse stato il figlio di Bertolucci…”, a “Sopravvalutato, anche se non lo conosco bene…”, passando per: “Si era molto imborghesito”, a “Sì, ma non era più lo stesso…”.
Ora, il web è uno strumento che “apre” (o “dovrebbe aprire”) nuovi orizzonti”, e pazienza. Vorrà dire che fra i nuovi orizzonti c’è anche l’assimilazione della pazienza di ascoltare fesserie, battute allegre, problematiche individuali, a volte psichiatriche, a volte no.
Una cosa però mi dispiace, ed è per questo che mi sono soffermata sui “commenti”: pensavo che il disprezzo per “gli artisti e gli intellettuali” fosse, in questo momento, in Italia, un’esclusiva di quella che considero la parte politica “avversa”. Fra ieri e oggi ho visto che non è, assolutamente, così.
Dopo di che lo ammetto.
Io non faccio testo: a me di Bertolucci piacciono non solo “Prima della rivoluzione” (1964), “Il Conformista” (1970) o “Ultimo tango a Parigi”, che considero capolavori assoluti – non credo di esagerare, e nonostante il “sospetto” lanciato da Maria Schneider che segna il bellissimo film con Marlon Brando del 1972 – ma persino “Partner”(tratto, nel 1968 da “Il sosia” di Dostoevskij) e “You and me” (tratto da Ammanniti, 2012), o “The Dreamers (2003).
Degli ultimi tre citati mi piacciono le storie, gli attori e le attrici, il modo in cui sono diretti (o “non diretti”, dice qualcuno).
Però mi tocca dirlo: forse dipende dal fatto che, per me, Bernardo Bertolucci è, prima di ogni cosa, l’artista che quando ero ragazzina mi convinse, con il tipo di lavoro che faceva, e come lo faceva, a pensare alla “poesia” e, in generale, all'”arte”, come a qualcosa di centrale e di imprenscindibile dalla propria esistenza.
Qualcuno potrebbe dire, e giustamente: “Ecco chi ha fatto il guaio…”, e ci sta. Ma resta il debito.
“Si può decidere di diventare scrittrici, registi, attori con lo stesso impegno e senso di responsabilità con cui altri e altre decidono di fare i ristoratori o i medici”, sembrava dire il suo “Prima della rivoluzione”.
Lo diceva con quell’uso “libero e consapevole” della “macchina a mano” così come con l’uso “economico e politico” del romanzo di Stendhal, “La Certosa di Parma” da cui, in parte, il film ha origine. Si può allestire uno spettacolo con quattro amiche, o addirittura da soli. Si può frequentare un museo come luogo di gioia, e non perché ce lo imponga la scuola. Si possono fare pellegrinaggi ai luoghi d’arte (non solo musei, ma chiesette sperdute, costruzioni architettoniche periferiche) così come altri e altre fanno una gita in campagna. Si può pensare a queste attività come ad “attività politiche”, non come a “passatempi”.
Qui sta, secondo me, il tratto distintivo di Bernardo Bertolucci, ciò che lo ha sempre accompagnato. Il pensare all’arte come a qualcosa di non staccato, di non separato dalla quotidianità. L’arte come luogo di “resistenza e di impegno”. I libri, i romanzi, come luoghi di opposizione. Il cinema, il luogo, la sala cinematografica, come luogo di “riabilitazione”, nei momenti di sconforto. Poi, come succede a molti, quello che ti sembra “unico” di un artista, ti arriva anche da altri: Francois Truffaut, Virginia Woolf, Umberto Saba, Elsa Morante, Carmelo Bene, raccontano tutti della stessa “pervasività” e dello stesso “impegno”. E ancora, certo, ti dici ogni tanto: “A lavorare con quelle stesse modalità c’erano anche Bruno Mazzali e Rosa di Lucia, in quegli anni, a Roma, e loro però, non se li ricorda nessuno”. E questo è vero. Ma non importa. A mantenere vivi gli artisti e le artiste devono pensarci i vivi. La responsabilità non è dei morti.
L’arte come il luogo della “responsabilità”, anche quando essa significhi dare conto agli spettatori del perché si sia firmato un contratto con le “major americane”. Pochissimi scrittori, scrittrici, ti raccontano delle relazioni che intrattengono con gli editori e di quali fili ci siano dietro, a legarli. Lui l’ha fatto: con una modalità che non si può definire “onesta”: il rischio è di ridurla ad altra cosa. Per Bertolucci, il racconto della relazione con le major era, infatti, parte integrante della relazione col proprio lavoro, non un accessorio. Ed è proprio questo racconto che fa di lui un personaggio, e un artista, unico.
Ma qui sto, veramente, divagando.
Bertolucci fu uno dei primi a raccontare, con i suoi film, con il suo modo di farli, che si può amare il cinema, la poesia, la letteratura, la storia dell’arte, e si può provare a “vivere di esse” pur essendo “cresciuti in un piccolo paese” (Parma, nel suo caso) (“There’s no Michelangelo coming from Pittsburgh”, cantava Lou Reed).
Dietro questa “visione del mondo”, questo “modo di vivere” ci sono anche delle contraddizioni? Certo, come per qualsiasi cosa. E per quelle che riguardano la cultura, in particolare. E non solo perché Michelangelo (Buonarroti) è nato a Caprese, in provincia di Arezzo. E il modo di vedere “provinciale” è spesso, quindi, una risorsa, prima che una debolezza. Ma anche per altro. Per esempio alla domanda: “Quanto l’accesso alla cultura è davvero, libero?”, io credo che si possa e si debba rispondere esprimendo una serie di dubbi.

                             “Davvero il web offre più opportunità, oggi, a chi si occupa di cinema, di letteratura?” è, per esempio, uno di essi. Che dire della rabbia, delle frustrazioni che scatena? Che fare?

Resta una cosa: Bertolucci, col suo lavoro, mi ha insegnato che si può provare “a cambiare il proprio destino”, anche quando esso sembri costruito su uno schema di tranquillità ovattata e borghese, o piccolo-borghese.
Ci si può scegliere: anche quando il destino da “dottore(ssa)” sia già stampato sul certificato di nascita. Forse è per questo che non ho mai smesso di guardare a Bernardo Bertolucci come a un maestro, nonostante tutto. E comunque, “Partner” è un bellissimo film.

Postato 27 Novembre 2018 da 

Angela Scarparo

Scrittrice

scaprparo3

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *